L’attentato avvenuto a Dacca venerdì 1 luglio è stato ridenominato dalla stampa internazionale “l’attentato degli italiani”; già al ‘Bardo’ e al ‘Bataclan’ dei connazionali avevano perso la vita, ma questa volta è italiana la maggior parte delle vittime.
Sono molte le voci che prevedono, prima o poi, un attentato sul nostro territorio, che finora non si è verificato: neppure da questi fatti si può dedurre con certezza una reale intenzione di colpire obiettivi italiani; l’impressione è che i terroristi avessero invece nel mirino gli stranieri in genere.
Mentre lo sgomento ed il cordoglio per i fatti di Dacca sono parsi piuttosto tiepidi, se rapportati all’efferatezza dell’accaduto e a confronto delle reazioni verso altri attentati precedenti, i soliti islamofobi hanno immediatamente fatto suonare la loro grancassa.
Il premier del Bangladesh è una donna, si chiama Sheykh Hasina Wazed e guida il Paese da dodici anni (due i periodi di governo). La sua reazione è stata chiedersi “che musulmani sono questi?”, simile a quella della quasi totalità dei musulmani di fronte al terrorismo. Ma questo a certi giornalisti nostrani non interessa.
Alessandro Sallusti ha scritto un editoriale il cui titolo, ‘Bestie islamiche’, già vuole suggerire una perfetta sovrapposizione tra terrorismo ed islam. Beninteso, gli assassini di Dacca sono davverio delle bestie. E sono anche islamici, perlomeno nel senso che tali si professano. Eppure una simile espressione, se non è accompagnata da necessari distinguo, suggerisce che tutti i musulani siano simili a loro.
Condividiamo Sallusti soltanto finché scrive “oggi non può essere solo un giorno di dolore e lutto. Oggi dobbiamo essere offesi nel profondo dell’animo”. Poi però aggiunge “oggi dobbiamo chiedere agli islamici che abbiamo accolto e ospitato di dire con chiarezza e con i fatti da che parte stanno, dobbiamo pretendere che scendano in guerra loro contro gli assassini che loro stessi hanno generato, allevato e spesso protetto fosse solo con l’omertà”.
Ebbene, la stragrande maggioranza di coloro che abbiamo accolto, dicono con chiarezza che sono contro il terrorismo, peccato che la nostra stampa non dia mai spazio a tali dichiarazioni. Dar voce ai deliri della minoranza dei favorevoli all’islamismo violento fa vendere molte copie in più e rafforza l’islamofobia: due piccioni con una fava, per chi come Vittorio Feltri ha scritto: “l’islam moderato, gentile, tollerante di cui vari illusi predicano l’ esistenza, non ha fiatato”.
E’ del tutto evidente la menzogna che questi ‘maestri’ del giornalismo propalano, ed è una fortuna: se così non fosse, ci troveremmo di fronte a più di un miliardo e mezzo di fanatici pronti a tutto pur di farci fuori, in pratica saremmo spacciati.
Dal punto di vista della psicologia si potrebbe parlare di pregiudizio che, come spiega Rupert Brown in ‘Psicologia sociale del pregiudizio’ (traduzione italiana del 1997, pubblicata da ‘Il Mulino’) non consiste in un giudizio avventato, sbagliato o irrazionale, dovuto all’incapacità di percepire correttamente un oggetto, ma è piuttosto una presa di posizione squalificante, originata da processi socio-cognitivi di gruppo, nei confronti dei membri di un gruppo sociale per la loro sola appartenenza a quest’ultimo.
Eppure il termine stereotipo, nonostante possieda giù di per sé una connotazione negativa, non ci soddisfa, non è abbastanza forte: nei casi in cui chi parla si rende conto di mentire, parleremmo di menzogna, invece nei casi in cui si cada nella rete della propaganda islamofoba, non potendo utlizzare qualche sinomimo più volgare, ci accontentiamo di usare il termine “vaccata”.
Ecco, speriamo che queste definizioni siano abbastanza nette da impedire ai succitati islamofobi di chiamarci ‘buonisti’, come sono usi a fare con chiunque non prenda le loro parole come oro colato.