Santa Sofia, ufficialmente nota come l’Aghia Sophia, è tornata ad essere una moschea, esattamente come lo era stata dalla conquista ottomana di Costantinopoli e fino al 1934, quando il fondatore della Repubblica Turca Mustafa Kemal Ataturk l’aveva trasformata in un museo, simbolo della nazione laica e moderna che aveva in mente e che voleva chiudere i propri conti col passato non sempre vincente dell’impero e dei suoi sultani. Il decreto che proprio Ataturk aveva firmato il 24 novembre 1934 è stato annullato dal Consiglio di Stato turco due giorni fa, e l’attuale presidente, Recep Tayyip Erdogan, non ha perso tempo firmando subito il suo decreto, che stabilisce l’immediato passaggio di Santa Sofia alle autorità musulmane con relativa riapertura al culto. Non solo, ma la sera stessa Erdogan ha tenuto un discorso alla nazione, in cui ha dichiarato che “La prima preghiera è prevista il 24 luglio prossimo” e che, trattandosi ormai di un luogo di culto e non più di un museo, per accedere al suo interno non vi sarà più la necessità di pagare il biglietto.

Immediate sono state le preoccupazioni da parte di storici ed esperti d’arte, in merito ai famosi affreschi e mosaici che adornano gli interni di Santa Sofia, originariamente nata nel 537 come basilica bizantina, e che non si potrebbero mai conciliare col pensiero religioso musulmano. A tal proposito i media turchi hanno affermato che si potrebbe ricorrere, con molta probabilità, ad un sistema di tende automatiche, da mettersi in funzione in occasione delle preghiere, sulla falsariga di quanto già avvenuto in altri edifici di culto originariamente nati come cristiani e che sotto il “sultano” Erdogan sono ritornati ad essere, dopo la parentesi laica, delle moschee: ad esempio la basilica a Trebisonda, che fu pure l’ultimo bastione bizantino a cadere sotto i colpi ottomani, anni dopo quel 1453 che era stato la capitolazione di Costantinopoli.

Tuttavia, ben prima del 24 luglio, vi sarà l’inaugurazione vera e propria, che a questo punto potrebbe significativamente cadere il prossimo 15 luglio, nel quarto anniversario del fallito golpe contro Erdogan, che ha segnato un’accelerazione irreversibile del paese verso l’Islam politico, ovvero verso una visione dello Stato e della società che non va confusa con l’Islam inteso come religione. Di fronte ad una china tanto estremizzata, gli appelli al dialogo da parte delle varie realtà internazionali, dall’UNESCO all’UE, sono servite a ben poco, rimanendo di fatto inascoltate. E anche il parere delle varie opposizioni turche, parte delle quali legate all’eredità laica di Ataturk, è stato analogamente lasciato cadere nel vuoto.

Anche le reazioni da parte cristiana sono state ovviamente numerose: la Grecia ha parlato di una “provocazione al mondo civilizzato”, mentre la Chiesa Ortodossa Russa ha accusato la Turchia di “ignorare la voce di milioni di cristiani”. L’ultimo ad esprimersi, dopo due giorni di silenzio, proprio oggi, è stato Papa Francesco, che si è detto “molto addolorato” e che peraltro ha pure in programma per il futuro un viaggio in terra turca. Non sono mancate nemmeno le reazioni da parte del mondo musulmano, quello che ha sempre avversato l’Islam politico anche perché spesso è stato il primo ad esserne vittima: dall’Imam di Milano a quello di Roma – Magliana, le parole usate verso questa scelta di Erdogan sono state fin troppo chiare: “atto politico”, “doveva rimanere ciò che era”, “da secoli sono state fatte scelte politiche e culturali cui non sono d’accordo”, e via dicendo. Anche queste sono dichiarazioni estremamente importanti.

Tuttavia, quello che è avvenuto in Turchia non è certo una novità in senso assoluto (abbiamo detto che i precedenti erano già stati numerosi, con Erdogan premier prima e presidente poi, coinvolgendo non solo antichi luoghi di culto cristiani bizantini ritornati ad essere moschee dopo la fase di laicità avviata da Ataturk, ma anche altri luoghi pubblici come scuole ed università, dove il ritorno all’uso del velo è stato assecondato ed incoraggiato, e così via). Chi oggi si scandalizza, insomma, o cade dal pero o forse versa addirittura lacrime da coccodrillo.