Dopo l’avvertimento già lanciato dal Segretario di Stato Mike Pompeo sui rischi legati all’information sharing per i paesi che adotteranno la tecnologia 5G cinese, arriva adesso anche quello del Generale Curtis Scaparrotti, Comandante Supremo dello US European Command e Comandante Supremo delle Forze NATO in Europa: Washington chiede espressamente agli alleati del Patto Atlantico nel Vecchio Continente di mantenere una capacità di rete sicura. In parole povere, le telecomunicazioni dei Paesi europei non devono vedere la presenza dei colossi cinesi Huawei e ZTE, sospettati dagli Stati Uniti di fare spionaggio a vantaggio di Pechino.

Secondo il Generale, il 5G sarà fondamentale per le nuove reti di telecomunicazione non soltanto in ambito civile ma soprattutto militare, un fatto che renderebbe quindi la NATO vulnerabile e persino dipendente dalla Cina e dai suoi fornitori di tecnologie e di servizi. L’Italia, che sta intavolando con Huawei delle trattative sul 5G considerate a dir poco allarmanti dagli Stati Uniti, ospita nel suo territorio 131 basi NATO.

All’inizio di marzo, il Segretario alla Difesa ad interim Patrick Shanahan aveva già specificato quanto il 5G sarebbe stato vitale per il futuro delle telecomunicazioni, in termini di sicurezza e funzionalità. Successivamente è intervenuto Mike Pompeo, scendendo ancor più nei dettagli ed ammonendo che gli Stati Uniti potrebbero smettere di condividere le loro informazioni con qualsiasi paese che utilizzerà reti fornite dai colossi cinesi.

In un’intervista a Formiche.net, giornale vicino agli ambienti della Difesa, il Sottosegretario Guglielmo Picchi ha parlato di “una profonda riflessione sulla sicurezza delle nostre infrastrutture critiche. La nostra posizione non è di condanna preventiva, ma di un monitoraggio che ora entra nel vivo. Non possiamo tollerare anomalie nella gestione dei dati dei cittadini e delle aziende italiane, né tantomeno l’interferenza di una potenza straniera nel nostro sistema Paese”. Picchi, proveniente dalla Lega, fa parte dell’ala più atlantista e filostatunitense del governo italiana e ne rappresenta, con queste parole, gli attuali umori. Non c’è dunque soltanto la tematica legata all’adesione italiana alla Belt and Road Initiative ma anche quella relativa all’apertura delle infrastrutture italiane per le telecomunicazioni alle tecnologie e alla presenza dei colossi cinesi del settore.

Tuttavia, nel suo insieme, il governo italiano continua col suo processo d’avvicinamento alla Cina, ribadendo che ciò comunque non andrebbe a mettere in discussione la storica alleanza dell’Italia con gli Stati Uniti e men che meno la sua presenza fedele nella NATO e nell’Unione Europea. Al COPASIR il Primo Ministro Giuseppe Conte ha infatti ribadito la propria intenzione di voler proseguire gli accordi già avviati con Huawei per la fornitura di tecnologie 5G.

Nel frattempo, a Milano, Huawei inaugurava una nuova sede, di tutto prestigio, situata al Lorenteggio Village e dove ci sarà l’Innovation, Experience and Competence Center in cui è possibile sperimentare l’antenna intelligente dotata di tecnologia Massive MIMO utilizzata nei trial 5G di Milano, Bari e Matera che permette di aumentare le capacità trasmissiva della cella 5G. Commentando l’apertura del nuovo centro, Abraham Liu, vicepresidente di Huawei Europa ha spiegato che “Negli ultimi 18 anni, Huawei e l’Europa sono cresciuti insieme. Nell’ultimo decennio Huawei ha fornito prodotti e servizi nel vecchio continente per circa 40 mld di dollari, creando posti di lavoro per decine di migliaia di persone. Inoltre in Europa sono stati creati 23 istituti di ricerca e sviluppo”. Più o meno in quelle ore prendeva forma il Memorandum of Understanding fra Italia e Cina per la Belt and Road Initiative, ovvero l’altro pomo della discordia fra Roma e gli alleati europei e statunitensi.

Conte, sempre al COPASIR, ha precisato che la continuità dei rapporti fra Cina ed Italia su questi temi sarà comunque sempre soggetta ad una stretta vigilanza, riferendosi espressamente al “Centro di valutazione e certificazione nazionale per la verifica delle condizioni di sicurezza e dell’assenza di vulnerabilità di prodotti, apparati e sistemi destinati ad essere utilizzati per il funzionamento di reti, servizi e infrastrutture critiche” previsto dal Dpcm 17 gennaio 2017 ed in essere presso il Ministero dello Sviluppo Economico dal 19 febbraio.

5G e Belt and Road Initiative rappresentano, dunque, la maggior fonte di preoccupazione per gli Stati Uniti in questo momento, soprattutto quando da Washington si guarda all’Italia. All’agenzia di stampa AGI il Segretario di Stato Mike Pompeo ha detto che l’accordo sulla BRI sarebbe “opaco” e che l’Italia dovrebbe “fare attenzione” a firmare contratti che potrebbero dimostrarsi opposti o dannosi al “rispetto della sovranità e dello Stato di diritto”. Successivamente, tramite un suo portavoce, Pompeo avrebbe specificato che “Gli Stati Uniti esortano l’Italia a vagliare con attenzione gli accordi sugli scambi, sull’investimento e sugli aiuti commerciali per essere certi che siano economicamente sostenibili, operabili in base ai principi dell’apertura e dell’equità del libero mercato, nel rispetto della sovranità e delle leggi”.

Sul quotidiano Repubblica, vicino al Partito Democratico e dalla linea notoriamente molto atlantista, Antonello Soro, Garante della Privacy, ha rilasciato un’intervista dove invece ha preferito parlare soprattutto della Belt and Road Initiative, non senza però dimenticare nemmeno la questione del 5G: “Gli italiani e gli europei hanno vissuto le opportunità e i rischi dell’economia digitale con uno sguardo, direi, strabico”, ovvero puntando “i nostri riflettori (…) esclusivamente verso Occidente, dunque verso i giganti americani del web” e non “verso Oriente”. Ha poi aggiunto che il Regolamento comunitario di protezione dei dati “obbliga le imprese a un quadro cogente di regole quando operano in Europa, dunque quando trattano i dati dei cittadini europei”, e che “i governi e le istituzioni europee non hanno spostato verso Oriente i riflettori”, sottolineando infine come “nella competizione con gli USA per l’egemonia tecnologica, la Cina è in vantaggio. I cinesi sono di più, nessuna legge sulla privacy vige nel Paese, vantano una leadership nelle reti 5G”.

Pertanto, secondo Soro, “rischiamo di essere terra di consumo e di conquista. A meno che non si metta in campo uno strumento straordinario come è il Regolamento UE”, che però con molta probabilità inibirebbe proprio la possibilità di stringere simili accordi con la Cina. Soro caldeggia quindi l’idea di costringere i cinesi ad un ruolo di minoranza nei confronti degli Stati Uniti e dei loro alleati, almeno finché è possibile: “I cinesi hanno bisogno come l’acqua dell’accesso al ricchissimo mercato comunitario dei dati. Non è difficile costringerli al negoziato. Canada, Giappone, Australia, Brasile adottano leggi in sintonia con il Regolamento UE perchè necessitano dei facoltosi consumatori europei”.

L’obiettivo degli ambienti più vicino a Washington e a Bruxelles, in sintesi, è proprio quello d’impedire che il partenariato italo-cinese diventi realtà, anche spargendo a piene mani “fake news” volte a dimostrarne l’inefficacia e la mancanza di convenienza in tutti i sensi, dall’economia alla sicurezza. E’ un muoversi bipartisan, che spazia dal PD e +Europa fino a Forza Italia e a Fratelli d’Italia, potendo oltretutto contare anche su delle forti “quinte colonne” all’interno della maggioranza e del governo.