“Ivrea Città Industriale del XX Secolo”: con questa lista la città che diede i natali alla Olivetti è stata iscritta alla Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. La decisione è avvenuta durante i lavori del 42esimo comitato del Patrimonio Mondiale che si svolge a Manama, in Bahrein, dal 24 giugno al 4 luglio. In questo modo la città piemontese è divenuta il 54esimo sito italiano Patrimonio dell’Umanità.
L’annuncio in Italia è stato dato dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Alberto Bonisoli, che così ha dichiarato alla stampa: “vrea, la città ideale della rivoluzione industriale del Novecento, è il 54esimo sito Unesco italiano. Un riconoscimento che va a una concezione umanistica del lavoro propria di Adriano Olivetti”.
Il centro industriale di Ivrea è effettivamente frutto del razionalismo e del modernismo novecenteschi, e deve la propria esistenza a Camillo Olivetti, il padre di Adriano e fondatore della celebre azienda produttrice di macchine da scrivere, che in Italia non si limitò soltanto ad introdurre le più moderne ed avveniristiche concezioni industriali, ma anche quelle di stampo artistico ed architettonico. L’obiettivo del fondatore, in quell’ormai lontano 1908, era di portare il benessere alle comunità locali, secondo un concetto per cui la fabbrica al territorio e a chi lo abitava dovesse anche dare e non soltanto prendere.
Quelle idee così moderne anche per i nostri tempi, e che si potrebbero riassumere in un vero e proprio “umanesimo industriale”, furono poi rilanciate alla grande da Adriano, il figlio di Camillo, che fece della Olivetti non soltanto un colosso nazionale ma soprattutto internazionale, candidatosi a guidare la corsa verso la modernità contro concorrenti molto più grandi ed agguerriti. Così, dopo la meccanica fine, il passaggio all’elettronica, un settore che nel Secondo Dopoguerra era semplicemente pioneristico, fu un passaggio tanto coraggioso quanto obbligato. Già nel 1948 la Olivetti offriva, oltre alle sue ben note ed apprezzate macchine da scrivere, la Divisumma, la prima calcolatrice da ufficio.
Negli anni successivi arrivarono altri prodotti destinati a fare la storia, come ad esempio la Lettera 22, la celebre macchina da scrivere portatile tanto cara anche ad Indro Montanelli. La Olivetti, col suo modello industriale democratico, progressista ed umanista, creava non poche problematiche ai concorrenti nazionali ed esteri, anche di altri settori, perché rappresentava un’alternativa a dir poco sgradita a chi concepiva la fabbrica come una struttura gerarchica e verticistica. Soprattutto la FIAT, ma anche gli inglesi e gli americani, guardavano con antipatia ad Adriano Olivetti, come del resto con la stessa antipatia guardavano, in quegli anni, ad Enrico Mattei e al suo modo “alternativo” e progressista di intrattenere affari coi paesi del Terzo Mondo.
Tanto Mattei quanto Olivetti se ne dovevano andare al più presto: la loro colpa era quella di voler fare dell’Italia, paese uscito sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale, il leader nella corsa alla modernità sostituendo in questo campo le potenze vincitrici, in primo luogo gli anglo-americani. L’equilibrio di Jalta, addirittura, in caso contrario ne poteva risentire.
Nel frattempo la Olivetti continuava a crescere. Con l’aiuto di Mario Tchou, ingegnere italo-cinese che Olivetti aveva strappato alla Columbia University, suo stretto braccio destro ed animatore della nuova divisione elettronica, naque l’Elea, all’epoca giudicato il miglior “cervello elettronico” al mondo. Il termine “computer” non esisteva ancora e settori come l’elettronica e l’informatica sembravano aperti a tutti, non vincolati a monopoli o ad esclusive derivanti da certi equilibri internazionali. Allo stabilimento di Ivrea si era affiancato quello di Pozzuoli, a Napoli, dove la resa del lavoro superava persino quella dell’impianto piemontese, e successivamente si era aggiunto anche quello di San Paolo del Brasile. La Olivetti aveva ormai filiali e sedi di vendita in quasi tutto il mondo.
Non contento, Adriano Olivetti decise di portare anche in politica il suo modello di fabbrica, le sue idee umaniste. Proprio agli ideali del socialismo umanista fece ricorso col suo “Movimento Comunità”, con cui divenne sindaco di Ivrea.
Quando Adriano Olivetti morì, mentre era sul treno per la Svizzera, tutto parve molto strano. Si parlò di un’emorragia cerebrale, ma non venne eseguita nessuna autopsia. Si sapeva, però, che Adriano Olivetti era in perfette condizioni di salute. Mario Tchou morì l’anno dopo in un altrettanto misterioso incidente automobilistico. Anche in quel caso si fecero ben pochi controlli per ricostruire esattamente le cause e le dinamiche. Poco dopo la divisione elettronica della Olivetti finì nelle mani di General Eletrics, e ad Ivrea si ritornò a parlare quasi esclusivamente solo di macchine da scrivere. Il primo Personal Computer della storia, il P101, non ebbe grandi fortune, anche perché la Olivetti aveva ormai capito, insieme alla politica italiana, di non potersi permettere più certe “esagerazioni”. Del resto il P101 era orfano di tutti: di Olivetti, di Tchou e della divisione elettronica.
Iniziò, per la Olivetti, un lungo declino, che culminò negli Anni ’90 col crollo definitivo, comune del resto a molti altri colossi italiani che pure avevano segnato la storia della Prima Repubblica. Rimane, oggi, la memoria unita al rimpianto per ciò che sarebbe potuto essere e che non è stato.