Jurij Gagarin

Sono nato il 9 marzo 1934. I miei genitori lavoravano al colcos, mio padre come carpentiere e mia madre come mungitrice. Vengo da una famiglia comune, una famiglia di lavoratori come ce ne sono a milioni nella mia patria socialista. I miei genitori sono due semplici russi ai quali la Rivoluzione d’ottobre ha dato una vita piena e dignitosa.

Da queste poche parole di Jurij Gagarin si può capire quanto egli fosse una persona semplice e orgogliosa delle sue umili radici. Allo stesso tempo però, il giovane Gagarin era determinato e ambizioso, tanto che Il 12 aprile del 1961 lo troviamo al Cosmodromo di Baikonour in procinto di lasciare un segno indelebile nella Storia dell’umanità. “Pojechali!”, ovvero “andiamo!”, esclamò Gagarin appena un secondo prima dell’accensione dei reattori del Vostok 1, la navetta che avrebbe consentito al ventisettenne pioniere cosmonauta di compiere un’impresa mai riuscita prima, ovvero raggiungere lo spazio e riuscire a vedere la Terra da lassù. Tutto il mondo restò con il fiato sospeso, come dubitando che il figlio di un carpentiere potesse compiere una simile missione.

C’era in gioco, in quel momento, il senso stesso della Rivoluzione d’Ottobre: un’aspirazione alla giustizia e all’uguaglianza che passava attraverso la vita di Jurij Gagarin, dall’infanzia, trascorsa al tempo della resistenza contro l’invasore nazista, alla vittoria della Grande Guerra Patriottica, fino all’addestramento riservato ai piloti dell’aeronautica, passando per la vita nel colcos e per gli studi preliminari all’ammissione nel Partito Comunista.

E così Jurji Gagarin fu il primo uomo a volare nello spazio. Compì un’intera orbita attorno alla Terra viaggiando a una velocità di 27.400 kmh. Venne decorato da Nikita Kruscev con l’Ordine di Lenin, la più alta onorificenza russa, diventando Eroe dell’Unione Sovietica.

Jurij Gagarin morirà il 27 marzo 1968, 50 anni esatti or sono, in un incidente aereo. La versione ufficiale riportata allora dai sovietici specificava che, mentre stava compiendo un volo sperimentale insieme al pilota Vladimir Sereguine, a bordo di un MiG-15, il caccia si schiantò al suolo. Ma in molti non credettero a questa storia e cominciarono a fioccare diverse ipotesi: Gagarin fu ucciso perché era diventato un deputato troppo indipendente rispetto all’ortodossia comunista; Gagarin era stanco e ubriaco; non era stato un incidente ma un suicidio (circola una leggenda riguardo a suoi presunti rapporti con i servizi segreti occidentali), Gagarin si sarebbe ucciso perché scoperto dal KGB.

Niente di tutto ciò. Bensì, come dichiarato recentemente a Russia Today da Aleksei Leonov, collega di Gagarin che quel giorno volava a bordo di un elicottero nella stessa zona dell’incidente, a causarne la morte fu una manovra di volo errata da parte di un altro pilota. Una violazione delle procedure che l’aviazione sovietica a quel tempo preferì occultare, temendo uno scandalo capace di danneggiarne l’immagine.

Leonov racconta che Jurij Gagarin stava volando su un caccia Mig-15 sui cieli di Mosca. Una missione come tante altre. D’un tratto si trovò di fronte un altro aereo che non avrebbe dovuto essere lì, in quel corridoio di cielo a mille metri di altezza. Per evitare la collisione Gagarin virò bruscamente entrando però in «spin», ovvero una picchiata in vite incontrollabile. Il Mig di Gagarin cadde giù come un sasso. Impossibile evitare lo schianto con il suolo. Gagarin muore così, all’età di 34 anni, assieme al suo copilota Vladimir Seryogin.

“Niente sfuggiva ai nostri occhi di bambini. Un giorno sei aerei sovietici sorvolarono il villaggio e, dopo il fracasso di un bombardamento, li vedemmo tornare. Ci accorgemmo subito che la formazione era incompleta: un aereo mancava. Dirò che a quell’epoca sapevo contare solo fino a dieci e che ignoravo il meccanismo della sottrazione. Ma non potevo sbagliarmi: un nostro aereo mancava. Dove poteva essersi cacciato? Quasi allo stesso momento lo vedemmo arrivare. Bruciava come un torcia radendo la strada formicolante di tedeschi e sparando con tutti i suoi pezzi. I nazisti, presi dal panico, cercavano scampo gettandosi ai lati della strada.

Cominciammo a soffrire per il nostro aereo. Purché riuscisse a rientrare nelle nostre linee… Ma il pilota aveva un’altra idea in testa. Virò bruscamente per riprendere d’infilata la colonna tedesca e questa volta mollò le sue bombe. Poi, d’un tratto, picchiò deciso dove erano più fitte le schiere naziste.

S’alzò una colonna di fuoco che consumò in un attimo aereo e pilota. Non abbiamo mai saputo, al villaggio, chi fosse e da dove venisse quell’aviatore che s’era battuto fino all’ultimo soffio di vita. Parlammo di quell’eroe sconosciuto, di quel vero uomo sovietico, per tutta la giornata e, anche se nessuno osava dirlo, è certo che ognuno di noi ragazzi si riprometteva di vivere e morire come lui, per la nostra patria”. Jurij Gagarin, La via del cosmo.

A 50 anni esatti dalla sua scomparsa rimane vivo il ricordo di un grande uomo venuto da una famiglia umile e diventato eroe imperituro.

Fabrizio Conti