La giornata numero 24 di Campionato, la quinta del girone di ritorno, è stata senza dubbio quella degli attaccanti milanesi. In campo, fuori dal campo e negli studi televisivi.
Sul rettangolo di gioco, e in modo particolare su quello non semplice di Bergamo, a raccogliere le prime pagine dei giornali sportivi è stato Krzysztof Piątek, il bomber polacco che sta spingendo il Milan al ritorno in Champions. L’ex Genoa, arrivato già a 25 reti in stagione, oltre ai goal – ed è stato preso per quello – ha dato tante iniezioni alla squadra rossonera. Entusiasmo, in quanto giunto con l’adrenalina giusta e la volontà, come se fosse un leader, di prendere la squadra e portarsela sulle spalle. Fame, perché da come si muove, si comporta, si destreggia, capisci bene che il numero 19 di Gennaro Gattuso ha voglia soltanto di mettere la sfera alle spalle del portiere avversario. Lo ha fatto già sei volte in cinque partite con la nuova casacca. E in tanti modi possibili. Con le sue invenzioni personali, da bomber di razza e rapace sotto porta, di testa. Al netto delle cose, finora, lui e Paquetà sono da annoverare nella categoria “rinforzi” e che mettono il Milan come favorito per accaparrarsi l’ultimo posto per la Coppa dalle grandi orecchie.
Oltre tutto è una fase psicofisica alquanto favorevole per i rossoneri, che hanno fatto il colpo del weekend superando l’Atalanta, tenendosi dietro soltanto la Roma (sempre a -1, con Kolarov, a quota 7, il difensore goleador d’Europa e il terzino sinistro più forte della serie A, e vittoriosa con affanno sul Bologna) e mandando a -4 proprio i bergamaschi e la Lazio, andata ko nel recupero a Genova sponda rossoblù. E, se si vuole davvero arrivare all’obiettivo, questa è la fase cruciale del Campionato, in cui accelerare e dare un chiaro segnale alla concorrenza. Anche sfruttando un calendario agevole. Sulla carta.
E poi c’è la casistica, che non aiuta ma fa per lo meno sorridere. In tutte le precedenti 13 stagioni nelle quali si è realizzato 42 punti dopo 24 partite, il Milan è sempre arrivato tra le prime quattro della serie A.
Sull’altra sponda del Naviglio, invece, continua la serie televisiva (o soap opera fate voi), di Mauro Icardi, senza più fascia di capitano e pure fuori per un infortunio. L’ultima puntata è andata in scena, guarda caso, sugli schermi televisivi, dove la sua campagna e procuratore, Wanda Nara, domina, sproloquia e piange pure. Partendo dal presupposto che la vicenda è stata gestita malissimo, la sensazione è che il figliol prodigo argentino sarà perdonato e reintegrato, ma sarà lui a doversi piegare alle condizioni imposte dalla società. Ma quanto sarebbe serio far finta di nulla su un giocatore, già capitano, che rifiuta la convocazione, è ai margini dello spogliatoio ed è in rotta con l’allenatore? Tutto per un contratto in scadenza nel 2021…
Sul campo, però, l’Inter ha ripreso a navigare, battendo una ostica Sampdoria grazie ad altri due punti interrogativi, Perisic e Nainggolan, dando continuità al successo di Parma e a quello in Europa League, e mettendo a protezione il terzo posto. I nerazzurri non sono belli ma cinici, e dimostrano di essere in ripresa anche da un punto di vista fisico (con i gialloblu e i blucerchiati le reti sono arrivate nell’ultimo quarto d’ora) e confermano un dato. È la 20esima volta in stagione che mantengono la propria porta a reti inviolate nel primo tempo.
Ma quello della solidità difensiva non è mai stato un problema per la banda spallettiana. Lui, invece, il mister di Certaldo dimostra di avere un talento per mettersi contro gli uomini simbolo. Totti a Roma e Icardi all’Inter. Solo colpa degli altri?
In vetta, invece, c’è da registrare un ennesimo allungo della Juventus, che ha portato a 13 il vantaggio sul Napoli, secondo. Soltanto una volta, a questo punto della stagione, il distacco tra le prime due era più ampio. Anno domini 2006-2007, e l’Inter di Roberto Mancini vantava 14 punti in più della Roma. A fine anno diventarono 22. I Campioni d’Italia hanno già dimenticato quel piccolissimo periodo di appannamento fisico e di infortuni, e hanno ripreso a correre senza ostacoli.
Per i partenopei, invece, è il secondo pareggio a reti bianche consecutivo. E, ancora più che a Firenze, il risultato è bugiardo perché gli azzurri recriminano per non aver saputo sfruttare nessuna delle 26 conclusioni tentate verso la porta avversaria. E pure con la sfortuna, tutta in un numero: 18. Sono i legni colpiti in tutta la stagione. Più di tutti nel vecchio continente.
Al di là dei numeri, però, è visibile un certo appagamento mentale dei vicecampioni dello Stivale, comprensibile, a cui si aggiunge anche un Mertens in crisi – il passaggio al 4-4-2 non lo ha digerito – un Milik un po’ annebbiato rispetto alle ultime uscite, alcune vicende di mercato (Allan trattenuto a stento, Hamsik via e senza poterlo rimpiazzare) che hanno fatto rumore.
Il discorso, però, è più ampio. Si può fare di più? Diciamo la verità. Carlo Ancelotti ha portato una ventata di ottimismo e freschezza all’ambiente, ha resuscitato giocatori che con Sarri erano in perenne stato di ibernazione, ma la rosa, né in estate e né in inverno, si è rinforzata. E non ha saputo rispondere al colpo juventino di Cristiano Ronaldo. Si fa quel che si può, dunque, con un distacco che forse poteva essere inferiore. I rimpianti, a Castelvolturno, sono per le coppe nazionale ed europea. Ma proprio all’Europa (minore) bisogna guardare e magari sperare in un exploit. Non impensabile, tra l’altro.
In chiusura, c’è da fare una postilla. Detto tante volte di Atalanta e Sampdoria, si deve dare il giusto riconoscimento anche al Torino, ad alti livelli quest’anno. Non è una squadra da gioia per gli occhi, non segna molto – 26 volte – ma è scorbutica, fastidiosa, forte fisicamente, rognosa, combattiva e volitiva. Ha perso soltanto cinque volte, ha subito soltanto 22 reti – è la quarta difesa del Campionato – e ha pareggiato a Napoli, due volte a Milano, a Roma contro la Lazio. Walter Mazzarri, in silenzio e lontano dagli occhi dei media, le sue impronte le sta lasciando eccome.