
L’annuncio delle dimissioni del 78enne Nursultan Nazarbayev, fino a ieri Presidente e vero e proprio “Padre della Patria” del Kazakistan, hanno sorpreso tutti, in Patria e all’estero. Nato in una umile famiglia di pastori e definito un “autocrate” ed un “satrapo”, è stato in realtà una figura di notevole spessore politico e diplomatico, riuscendo a traghettare in modo morbido il suo paese dall’epoca sovietica al suo attuale ruolo d’importante potenza regionale, ma soprattutto creandogli quella solida “oil economy” per cui oggi è universalmente conosciuto.
Nazarbayev ha parlato alla televisione ai suoi cittadini, annunciando proprio la sua intenzione di lasciare le redini ad una nuova generazione di dirigenti pronta a guidare il futuro del Paese. Infatti, nel congedarsi, ha affidato l’interim ad un “fedelissimo”, il Presidente del Senato ed ex premier Kasym Zhomart Tokayev, che a questo punto svolgerà il ruolo di Presidente fino alla scadenza dell’attuale mandato, prevista per il marzo del prossimo anno.
Nel 1984, quando il crollo dell’Unione Sovietica sembrava ancora ben lontano ed improbabile, perlomeno nei tempi e nei modi che si sarebbero invece palesati di là a pochi anni, Nazarbayev divenne Primo Ministro del Kazakistan, a quel tempo ancora una delle quindici Repubbliche Socialiste Federative Sovietiche dell’URSS. Nel 1989 divenne anche Segretario del Partito Comunista kazako. L’economia kazaka del momento era ancora basata soprattutto sull’allevamento e su importanti monocolture a scopo industriale come il cotone o i cereali. L’epoca del petrolio, che in parte già c’era, risultava dunque ancora lontana e sarebbe completamente fiorita solo negli anni successivi all’indipendenza, giunta nel 1991.
Quell’indipendenza non fu mai particolarmente desiderata dal Kazakistan, dal momento che a provocarla furono soprattutto le dirigenze liberali della Russia, dell’Ucraina e della Bielorussia, insediatesi dopo l’arrivo di Michail Gorbaciov. Il gorbaciovismo non scalfì la presenza in Kazakistan di Nazarbayev, al quale toccò pertanto gestire quella novità e il crollo dell’URSS cercando d’assicurare al proprio Paese una transizione che fosse la più “morbida” possibile.
In effetti, guardando a quant’è avvenuto nelle altre ex repubbliche sovietiche soprattutto nei convulsi Anni Novanta, sembrerebbe che Nazarbayev sia stato davvero in grado di garantire al proprio Paese tale risultato. Senza perdere quegli anni preziosi che invece in molte altre parti dell’ex impero sovietico sono stati bruciati, il Kazakistan ha potuto così cominciare a gettare le basi di una politica che col tempo ha dato i suoi frutti. Nei 27 anni di Nazarbayev alla presidenza, il Kazakistan ha conosciuto stabilità politica, condizione base per quella economica, ed ha evitato quei conflitti interetnici che si sono invece visti con abbondanza altrove.
Oggi il Paese si presenta, come dicevamo in principio, come una potente “oil economy”, forte d’importantissimi giacimenti di gas e di petrolio e di una disponibilità di cassa che lo rendono un partner da trattare con rispetto agli occhi di tutti: dalla Russia alla Cina, fino all’Europa e agli Stati Uniti, anche se con quest’ultimi due non sono mancate le schermaglie. Qualcuno ricorderà, ai tempi di Alfano Ministro degli Interni, il caso della Shalabayeva.
Il coronamento della nuova immagine del Paese si ebbe infine con la nascita della nuova capitale, la modernissima e faraonica Astana, che prese il posto della vecchia Alma Ata, oggi chiamata Almaty, di sovietica memoria. Con quella nuova capitale il Paese voleva mostrare al mondo la sua nuova immagine di grande potenza energetica e di protagonista chiave nel mantenimento della stabilità e della sicurezza regionali.
Ora, per il Paese s’apre una fase di transizione che durerà quantomeno un anno. Nazarbayev resterà alla guida del Consiglio di Sicurezza Nazionale e del Nur Otan, il grande partito che domina la scena politica nazionale e che ha ereditato il ruolo detenuto in epoca sovietica dal partito comunista. L’impressione è che l’anziano leader avesse cominciato già da tempo a preparare questa transizione: qualche settimana fa, per esempio, aveva fortemente messo mano al governo, di fatto sostituendolo con uno nuovo. Già nel 2015, del resto, aveva accennato alla possibilità di dimettersi per “fare largo ai giovani”; ma, a quanto pare, gli erano arrivate migliaia di lettere da suoi concittadini che gli chiedevano d’andare avanti.
Nell’epoca della sempre più forte partnership fra Russia e Cina, anche dal punto di vista della Nuova Via della Seta, il ruolo del Kazakistan si fa sempre più essenziale sia come area di collegamento fra Oriente ed Occidente sia per tutte le ricchezze ed il potenziale che si porta in dote. Tanto Mosca quanto Pechino rappresentano per il Kazakistan due alleati strategici, una considerazione del resto fortemente ricambiata dagli altri due colossi. Mosca, Pechino ed Astana compongono insomma un vero e proprio “triangolo euroasiatico”.