
Un tonfo più forte dei precedenti, altri crolli, la paura che aumenta, la corsa verso posti più sicuri, il freddo che congela il cuore e poi l’immancabile fiera della stupidità. Politici travestiti da scienziati, personaggetti in cerca di notorietà a colpi di provocazioni e i soliti “esperti”, invadono il web e le pagine dei giornali. Sciacalli che saltellano sulle macerie e sul dolore, pontificando dall’alto di pulpiti e cattedre di fondamenti di stupidologia, tuttologia dei massimi sistemi e catastrofismo applicato. Snocciolano numeri, teorie e battutacce senza un minimo di rispetto per chi ha perso tutto.
Ciò che è stato risparmiato dal terremoto, viene spazzato via da uno tzunami di saccenza e cattivo gusto. Fanno i fenomeni mentre centinaia di persone con gli occhi gonfi di lacrime, corrono stringendo forte quei sacchetti nei quali, sfidando il tempo e la forza bruta della natura, hanno riposto gli ultimi resti di un passato schiacciato dalle macerie e coperto dalla polvere.
I post della senatrice consacrata al complottismo e dello scrittore malato di protagonismo, sono fuori luogo e fuori tempo.
Al chiassoso protagonismo patologico da social, avremmo preferito la silenziosa ed umana pietà che non si esprime con la provocazione ma con la partecipazione intima e sentita al dramma dei nostri connazionali sfollati (tra Marche e Umbria potrebbero essere addirittura centomila). Con il crollo della Basilica di San Benedetto se ne è andato un pezzo importante non solo della cristianità ma della complessa identità culturale italiana ed europea.
L’ora et labora del patrono d’Europa, ha oggi, in questi tempi di alienazione sociale, consumismo esasperato e disgregazione comunitaria, una valenza ancor più rivoluzionaria. L’unità tra preghiera e lavoro, tra ascesi mistica ed operosità. Il lavoro che aiuta a pregare bene e la preghiera che permette di affrontare il lavoro nella maniera giusta. Ovvero, il lavoro che diventa strumento di ascesi e rende il posto in cui si lavora anche un luogo di vita spirituale, in cui esercitare il giusto atteggiamento da tenere: di ubbidienza, di indulgenza, di umiltà, di padronanza di sé, di fiducia, di rinuncia a sé e di amore.
Benedetto scrive: “Se nel monastero vi sono dei fratelli che conoscono un mestiere, lo esercitino con ogni umiltà. Ma se qualcuno di loro si insuperbisse per la competenza nel suo lavoro o perché gli sembra di procurare dei vantaggi al monastero, venga allontanato da quella attività e la riprenda solo dopo essersi umiliato e quando ne avrà nuovamente ricevuto il permesso dall’abate” (Regola, LVII). Con il suo lavoro e la sua laboriosità, l’uomo, partecipe dell’arte e della saggezza divina, rende più bello il creato e sprigiona quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune, a vantaggio soprattutto dei più deboli.
La scossa di terremoto di magnitudo 6.5 di ieri, ha aperto anche una profonda fessura nel colle dell’Infinito a Recanati, la città natale di Giacomo Leopardi. Il sindaco e i tecnici accorsi sul posto, hanno parlato di danni irreversibili a quell’ermo colle, descritto meravigliosamente nel suo “Idillio”, che precludendogli il “guardo”, lo induce a spaziare con la fantasia nell’infinito, immaginando spazi senza limite, silenzi profondi e pace assoluta, tanto da provarne sgomento. Ma poi l’improvviso stormire del vento tra le fronde degli alberi lo riporta alla realtà e, paragonando quel fruscio a “quello infinito silenzio”, avverte un altro infinito, quello del tempo, dell’eternità. E a questa sensazione di immensità, il poeta si abbandona dolcemente e totalmente.
L’infinita bellezza del pensiero di due giganti della nostra tradizione, per rimuovere dagli occhi e dalla mente la smisurata bruttezza delle castronerie formato social lette in queste ore.
Ai loro autori rivolgiamo un garbato invito al silenzio. Il dolore di chi ha visto sbriciolarsi luoghi cari e ricordi ed è costretto a lasciare la casa, frutto di anni di sacrifici, merita profondo rispetto.