Il terrorista rappresenta, agli occhi dei contemporanei, una figura profondamente negativa, una sorta di supereroe del male a cui mancano tutte le debolezze proprie dei comuni mortali. Questo luogo comune ovviamente fa la fortuna del terrorista, visto come diabolico ed infallibile, e soprattutto imprendibile. Ma tutta questa impalcatura crolla miseramente nel momento in cui il terrorista viene inaspettatamente catturato, magari proprio grazie a quelle insospettate ed insospettabili debolezze che lo hanno reso rintracciabile e vulnerabile all’operato degli inquirenti. Ed ecco che allora il grande pubblico si trova dinanzi ad un omuncolo, disprezzabile non soltanto per il male che ha sparso intorno a sé, ma anche per la meschinità di cui è intrisa la sua esistenza.

La vicenda di Salah Abdeslam risponde abbastanza bene a questa descrizione. Uomini profondamente feroci, accecati dai loro obiettivi e dal loro fanatismo, dimostrano nel momento della verità una grande viltà, e persino un’impensabile docilità. La storia merita d’essere raccontata, perché certamente quei nostri lettori che avranno studiato certi aneddoti del terrorismo degli Anni Settanta non faticheranno a ritrovare delle similitudini o dei punti in comune con gli stragisti d’oggigiorno.

Mohammed Belkaid, che si faceva chiamare Samir Bouzid, complice degli attentati del 13 novembre, addirittura sospettato d’essere il coordinatore dei tre commandos suicida che quella notte cosparsero di sangue il Bataclan, lo Stade de France e i ristoranti dell’undicesimo arrondissement, nella vita quotidiana era un banale inquilino moroso, che da cinque mesi non pagava l’affitto della sua casa di Rue de Dries a Forest. Ciò ovviamente gli attirò l’interesse della polizia belga, che decise di perquisire l’abitazione. In quell’occasione, anche a testimonianza della sostanziale sciatteria con cui si mosse la polizia, Salah riuscì a fuggire insieme ad un complice (anche se gli inquirenti s’affrettano a smentire tale ricostruzione), mentre Belkaid rimase ucciso.

All’interno dell’appartamento non mancavano segni del passaggio di Salah. Su un bicchiere appoggiato ad un tavolo ed usato da poco, furono rilevate infatti le sue impronte digitali: e questa era la prova che il ricercato numero uno non doveva poi trovarsi molto lontano. Se Belkaid aveva fatto di tutto per attirare su di sé l’attenzione della polizia non pagando l’affitto (un normale controllo di routine per morosità, data la sua situazione, era fin troppo rischioso), anche Salah non si dimostrò molto più accorto. La casa al numero 60 di Rue du Quatre Vents a Molenbeek, il comune in provincia di Bruxelles da cui provenivano Salah e gli altri membri del gruppo terrorista, da mesi era infatti tenuta d’occhio dalle forze dell’ordine. Non perché quest’ultime sapessero che vi si trovasse Salah, chè altrimenti vi avrebbero fatto irruzione fin da subito, ma semplicemente perché vi viveva Amin Choukri, poi arrestato, suo amico di vecchia data.

Gli agenti presero le impronte digitali di Choukri, corrispondenti a quelle ritrovate nella casa di Auvelais usata dal commando suicida nella settimana precedente alla sua catena d’attentati a Parigi. Mettere il telefono di quell’abitazione sotto controllo, intercettandone tutte le chiamate, fu così la diretta conseguenza. Ed ecco l’ennesimo errore di Salah e dei suoi complici: ordinare, col telefono di casa, un abbondante numero di pizze: troppe rispetto alle tre persone che ufficialmente vivevano in quella casa popolare. Era evidente che c’erano anche altre persone e, dato che Salah era ancora ricercato e che gli inquilini di quell’alloggio non erano proprio al di sopra di ogni sospetto, un controllo risultava quantomeno opportuno. E così Salah è stato individuato e catturato.

Troppa pizza ordinata dalla casa di un amico decisamente sospetto: una grave imprudenza, per quello che la polizia belga definiva come il ricercato numero uno. Ora Salah è sotto torchio. “Volevo farmi esplodere allo Stade de France ma ci ho ripensato”, ha detto oggi durante l’interrogatorio, manifestando così la stoffa di questi terroristi del Califfato: prontissimi a mandare a morire i loro seguaci e famigli, ma a loro volta estremamente pavidi di fronte alla morte.

Così, mentre i suoi “fratelli”, accecati dall’indottrinamento, si davano alla morte, Salah fuggiva dandosi ad una fuga costellata di errori grossolani, che in verità ne avrebbero permesso assai prima d’ora la cattura se non fosse stato per la già notata sciatteria della polizia di Bruxelles. Una sciatteria che risulta a dir poco imbarazzante se pensiamo che invece in Camerun e in Indonesia, in occasione dei recenti attentati compiuti dai fondamentalisti islamici affiliati all’ISIS, la risposta delle forze di sicurezza è stata immediata ed estremamente efficiente: tutti i responsabili sono stati catturati o eliminati. Certo, nella moderna e civile Europa ci sono tanti ostacoli all’operato delle forze dell’ordine (la privacy, ecc), che negli altri due paesi presi ad esempio, uno africano e l’altro asiatico, le istituzioni non sono tenute a prendere in considerazione.

Ma intanto questi sono i fatti: la ricca Europa impiega quattro mesi per catturare un latitante che dissemina d’impronte ed errori il proprio percorso, mentre paesi ben meno attrezzati risolvono in quattro e quattr’otto il problema. Anche su questo, probabilmente, sarà il caso che nel Vecchio Continente s’apra una piccola ma doverosa riflessione.