Non sono certo tempi facili i nostri. Fake news, link non appropriati che spuntano sulle nostre bacheche social e vari pericoli non ben identificati che possono capitare sul web. Proprio per contrastare queste possibili pericoli e soprattutto per cercare di fermare la proliferazione di fake news, l’Unione Europea ha adottato nuove misure come la tanto discussa direttiva sul copyright. In teoria questa legge, in particolare l’articolo 11 e 13, dovrebbe garantire la protezione del diritto d’autore. Chi si è schierato contro questa nuova proposta europea (che dovrà poi essere votata da ogni singolo stato) dichiara che non è volta a proteggere il lavoro creativo ed intellettuale dei cittadini online, ma che scatenerà una censura preventiva su milioni di contenuti caricati da liberi cittadini.
Ma si tratta davvero di censura? In un certo senso sì, mettendo un filtro all’upload di file (soprattutto video, se pensiamo a YouTube) e facendo pagare per visualizzare dei contenuti, è molto probabile che si creerà una sorta di censura web a scapito dei siti minori e dei liberi cittadini che condividono i loro contenuti sul web.
Per altri versi no, si tratta di un primo sistema per cercare di contrastare la diffusione delle fake news, tutta quella serie di notizie senza basi e senza prove che circolano nel web a danno di persone, enti e stati. La disinformazione è ovviamente una piaga dei nostri anni, ed è compito di tutti contrastare e migliorare questa situazione, compreso dei comuni cittadini.
È però vero che un intervento massiccio da parte delle istituzioni, come in questo caso con la legge sul copyright, può sfociare in una forma di censura che aggrava, e di molto, la già difficile situazione dell’affidabilità sul web. Il rischio è che venga meno la pluralità di contenuti e che, sottoponendo ad un filtro le notizie e consentendo solo a chi stipula accordi commerciali di pubblicare, si permetta una sola voce, quella delle compagnie potenti e che già dominano il mercato. Certo, non si parla di censura di tipo dittatoriale come avviene in Cina, Iran o Korea del Nord, ma si tratta comunque di un tipo di censura che non permette ai cittadini di accedere a tutte le informazioni disponibili nella rete.
A proposito, come funziona la censura nei paesi in cui vige un regime? Semplice, lo stato blocca e gestisce tutto il flusso di dati che arriva nel paese modificando a piacimento ciò che non si vuole che la gente sappia.
Perché si censura? Per molti motivi, prima di tutto per mantenere il controllo sulla maggioranza della popolazione, per impedire di diffondere notizie che potrebbero danneggiare lo status quo e per mettere a tacere le voci del dissenso. Stati e poteri forti poi possono decidere di eliminare solo determinati contenuti, non l’intero sito web o possono chiedere alle compagnie tech di oscurare determinate parti giustificando il tutto come salvaguardia del buon costume o dell’integrità nazionale.
È possibile aggirare questo sistema? In realtà sì, è possibile, attraverso una connessione ultra sicura che crea un tunnel privato ed inganna la localizzazione. In questo modo, coloro che vivono sotto determinate condizioni, possono accedere ad informazioni altrimenti vietate. Naturalmente è un sistema legale, anche se molti stati cercando di contrastarlo, appunto per mantenere il controllo. La censura del web poi si aggira anche in altri modi, come l’utilizzo dei proxy o il cambio di DNS. Non serve essere hacker per utilizzare queste funzioni, basta solo un po’ di esperienza.
Serviranno anche a noi occidentali questi strumenti? Molti, dopo le notizie fatte trapelare da Edward Snowden e precedentemente da WikiLeaks, sono corsi ai ripari, e hanno adottato misure che aiutano a mantenere la privacy al sicuro, ad essere meno esposti ad attacchi di hacker e spionaggio web, e anche ad incappare meno nella temuta censura.