Ho conosciuto l’autore Parag Khanna da un’intervista apparsa il 31 ottobre 2018 su ISPI (Istituto Studi di Politica Internazionale) dal titolo “La connettività rivoluzionerà la geopolitica”. L’intervista spiega, anche ai non addetti ai lavori, quanto scritto nel libro Connectography: Mapping the Future of Global Civilization del 2016. Sono rimasta colpita dalla capacità di Khanna di essere pragmatico, poco ideologico, acuto nell’osservare i grandi fenomeni di comunicazione che interessano popoli, stati, spazi geografici e confini.
Dice Khanna che la connettività è la forza più rivoluzionaria che si è palesata nella storia dell’uomo, un fatto antropologico più importante del tribalismo, del populismo, della costruzione di frontiere e muri, o altri strumenti di separazione o alleanza. La connettività crea una realtà oltre la dimensione statuale in quanto consente il passaggio da Stati (o imperi) con confini definiti in modo legalistico, a Stati interdipendenti, proiettati a superare ostacoli naturali e politici. La vecchia organizzazione del mondo secondo uno spazio politico starebbe dunque cedendo il passo alla pianificazione in senso funzionalistico, cioè a come si utilizza lo spazio secondo l’utilità. Per cui la connettività – e non la sovranità – sarà il principio organizzativo della specie umana.
E la geopolitica è profondamente condizionata dalla geografia funzionale: vie di trasporto, reti energetiche, internet sono i veicoli attraverso cui si esercita l’influenza (che è più importante del potere!). in realtà lo scenario globale attuale vede dispiegamento di connettività… benché il nostro scenario politico sia ancora dominato da vane discussioni su protezionismo economico, sanzioni e protezione dei confini.
Queste riflessioni sulla connettività sono la necessaria premessa a quanto viene esposto nel libro “Il Secolo Asiatico?”, appena andato in stampa per Fazi editore (tradotto in italiano). Nell’introduzione si legge: “Quando nel 2100 ripenseremo all’anno in cui è stata posta la pietra angolare di un nuovo ordine mondiale a trazione asiatica, sarà il 2017. Nel maggio di quell’anno sessantotto paesi che comprendono i due terzi della popolazione e la metà del PIL mondiale si sono riuniti a Pechino per il primo vertice della Belt and Road Iniziative (BRI). In quell’occasione, leader asiatici, europei e africani hanno simbolicamente inaugurato il lancio del più grande piano coordinato di investimenti infrastrutturali della storia umana.
I governi presenti si sono impegnati a spendere collettivamente svariate migliaia di miliardi di dollari nel prossimo decennio per collegare i principali centri abitati del mondo in una costellazione di interscambi commerciali e culturali: una nuova Via della Seta. La Belt and Road Iniziative è il progetto diplomatico più significativo del XXI secolo, l’equivalente di ciò che la creazione delle Nazioni Unite, della Banca Mondiale e del Piano Marshall hanno rappresentato per il XX secolo. Con una differenza cruciale: la BRI è stata concepita e lanciata in Asia e sarà guidata dagli asiatici”.
Nei 10 capitoli del libro, attraverso l’analisi di vari scenari asiatici, è sostenuta una tesi di fondo difforme da quella degli analisti occidentali che usano, secondo Khanna, vecchi paradigmi. La tesi è che l’ascesa asiatica non è dovuta al declino occidentale ma alle grandi potenzialità espresse dai tanti Paesi che compongono l’Asia, compresi quelli svantaggiati e le sacche di povertà tribali-rurali. Mentre l’economia occidentale è ancora in crisi, i tassi di crescita asiatici infatti continuano a crescere (nel 2018 i tassi di crescita più alti del pianeta si sono registrati in India, Cina, Indonesia, Malesia e Uzbekistan).
Se crisi finanziarie, guerre a distanza, incapacità di gestire il malessere sociale ed economico hanno fatto sì che Europa e Nord America abbiano perso la legittimazione per guidare il mondo, al contrario nel corso degli ultimi due decenni l’ Asia ha conosciuto stabilità geopolitica, economie in ascesa e crescente orgoglio nazionale. Proprio per questo motivo, è lecito chiedersi se sia iniziato Il secolo asiatico.
Ma, sostiene Khanna, l’Asia non arriverà al successo attraverso la costruzione di una “Unione Asiatica” , bensì risolvendo i propri conflitti interni. Quei conflitti -spesso inter-etnici o di dominio su zone strategiche o dovuti a terrorismo – che gli occhi occidentali, offuscati dai loro pregiudizi sull’ordine mondiale, leggono come devastanti e impossibili da superare. L’attuale fase geopolitica non può dunque essere interpretata come “un disordine globale”, perché si tratta invece di una forma di assestamento.
Il futuro ordine globale sembra , inoltre, che non sarà determinato da un unico sistema valoriale né da un unico paese, ma, anzi, da tanti ed eterogenei sistemi, nella prospettiva di un ordine multipolare e multi-civilizzato poiché “Nessun Paese si inchinerà agli altri. Il futuro ordine geopolitico asiatico non sarà quindi né americano né cinese. Il Giappone, la Corea del Sud, l’India, la Russia, l’Indonesia, l’Australia, l’Iran e l’Arabia Saudita non accetteranno mai di raccogliersi sotto un unico ombrello egemonico o di riunirsi attorno a un unico polo di potere. In altre parole, non accetteranno mai di schierarsi apertamente con o contro la Cina.
Ciò da cui cercano di difendersi, piuttosto, è un’eccessiva influenza sia degli americani che dei cinesi nei loro affari interni”. “Il populismo, dalla Brexit a Trump, –scrive Khanna- non ha contagiato l’Asia, dove governi pragmatici si sono concentrati sulla crescita inclusiva e sulla coesione sociale. In America e in Europa vengono creati nuovi muri, mentre in Asia vengono smantellati. Laddove gli europei sono nostalgici, ossessionati da se stessi e pessimisti, miliardi di asiatici sono proiettati verso il futuro, aperti verso l’esterno e ottimisti”.
Per concludere, mi permetto di trarre qualche conclusione relativa al nostro mondo occidentale. È responsabilità dei governi determinare cosa dovrebbe e non dovrebbe circolare tra i confini degli Stati. Ma i governi non possono ignorare che nel mondo si sta già costituendo una rete di civilizzazione urbana globale che è una piattaforma che permette di eseguire transazioni al fine di sfruttare complementarietà e vantaggi. Il fatto che vi siano “perdenti” nel processo di capitalismo finanziario e commercio internazionale non è da attribuire alla malvagità del sistema, si tratta invece di una precisa responsabilità dei governi che non hanno adempiuto al compito di anticipare le “perturbazioni” a schemi industriali e mercato del lavoro, non hanno modificato le loro politiche fiscali, di investimento, industriali ed educative, e non hanno disposto politiche attive di welfare redistributivo. Gli asiatici invece, dopo essere stati massacrati dal colonialismo occidentale, pare che abbiano fatto tutto ciò molto meglio di noi…
[Parag Khanna, nato nel 1977 a Kanpur, in India, è vissuto tra l’India e gli Emirati Arabi Uniti prima che la sua famiglia si trasferisse a New York, ha conseguito un Bachelor of Science in International Affairs presso la School of Foreign Service della Georgetown University , un Master of Arts in Security Studies presso la stessa Università e il dottorato di ricerca in relazioni internazionali alla London School of Economics. E’ stato consigliere geopolitico delle forze speciali statunitensi in Iraq e Afghanistan, consulente del programma Global Trends 2030 del National Intelligence Council statunitense, consulente del Singapore Institute of International Affairs (2012-2014) e senior fellow presso Consiglio europeo per le relazioni estere (2011-2013). Ricercatore, analista, teorico, consulente esperto di relazioni internazionali ha pubblicato The Second World: Empires and Influence in the New Global Order (2008); How to Run the World: Tracciare un corso per il prossimo Rinascimento(2011); Connectography: Mapping the Future of Global Civilization (2016); The Future in Asian. Commerce, Conflict, and Culture in the 21st Century, edito da Fazi Editore nel 2019 in traduzione italiana, col titolo Il secolo asiatico? è l’ultimo libro di Parag Khanna]
Maria Morigi