Sull’eliminazione della nazionale italiana dai mondiali che si terranno in Russia nel 2018 si è detto tutto, forse perfino troppo anche per un paese “malato di pallone” come il nostro.

La reazione eccessiva di fronte a quest’evento, percepito da molti addirittura come luttuoso, coesiste con la pesante sottovalutazione del problema di fondo, rispetto al quale la recente sconfitta azzurra va interpretata come soltanto un sintomo, sebbene il più vistoso.

In Italia il calcio è percepito  come uno sport diverso da tutti gli altri, sia da chi lo considera come l’unico sport che gli interessi sia da chi protesta per il fatto che toglie spazio a tutte le altre discipline: entrambe le posizioni hanno a proprio favore delle argomentazioni valide.

Non si può negare che da noi sia lo sport più diffuso, nel quale si cimenta un grandissimo numero di giovani che, com’è normale che sia, sognano di affermarsi, perciò è anche quello in cui è più difficile fare strada vista la grande concorrenza, tant’è che agli altri, da un punto di vista mediatico, rimangono le briciole. Tanto gli stipendi più alti dei calciatori che la maggiore esposizione sulla stampa e in televisione si spiegano col mercato ovvero, in altre parole, col maggiore interesse che il calcio riscuote.

Il fatto che sia i successi che gli insuccessi calcistici godano di una grancassa superiore rispetto agli altri sport, fa sì che a molti stia sfuggendo come l’Italia sportiva, negli ultimi anni, abbia vinto poco e, soprattutto, meno che nel passato, nel suo complesso. Un caso clamoroso è quello della “regina delle olimpiadi”, l’atletica leggera, dove non si conquistano più medaglie da anni.

Per un Paese, le vittorie ottenute dai suoi campioni possono essere una risorsa, accrescendo l’orgoglio dei cittadini, rafforzando il prestigio internazionale, potendo venir sfruttate a scopo di propaganda o, per dirlo in un modo più moderno, di ‘soft-power’.

Una nazione può mietere successi sportivi soltanto se cura l’attività di base, senza di essa può solo sperare nell’esplosione di qualche talento: il campione non è mai programmabile, si possono però creare le condizioni necessarie per la formazione di buoni atleti di tutte le discipline, consci del fatto che tra loro potrebbe venire fuori, ogni tanto, anche il fenomeno.

Talvolta può accadere che un singolo possa raggiungere risultati di livello assoluto senza nessun aiuto “federale”. La classe politica poi può comportarsi in modi diversi: ignorandolo, sfruttandolo per meri fini propagandistici, oppure facendo sì che diventi fonte d’ispirazione per le generazioni più giovani, investendo quindi nella disciplina in cui questi eccelle.

Tra i benefici d’una diffusa attività sportiva di base i successi internazionali sono però quelli meno importanti in confronto con la possibilità di educare le persone all’autodisciplina, alla scoperta del proprio corpo, nelle sue potenzialità e limiti, alla consapevolezza del fatto che se ci si mette impegno si può sempre migliorare, alla capacità di riconoscere ed accettare che può esistere qualcuno più bravo di te. Un altro vantaggio importante consiste nell’aumento del benessere e della salute dei cittadini che, oltre ad avere un valore etico, permette anche un risparmio per quanto riguarda la spesa pubblica in ambito sanitario.

Dispiace essere fuori dalla fase finale dei mondiali, ma dispiace molto di più che in Italia risulti così difficile e talvolta pure costoso fare attività sportiva di base. I nostri politici sono incapaci di comprenderne l’importanza, oppure se ne disinteressano, come fanno troppo spesso rispetto ai problemi concreti della popolazione. Una nazionale vincente nell’unico sport che da noi conta davvero sarebbe un bene, ma potrebbe servire a nascondere altri problemi, sia in ambito sportivo che più generali.

Una sconfitta può di contro avere anche un lato positivo ove se ne tragga una lezione e si cambi strada. Senza una nuova politica sportiva, auspicabilmente a partire dalla scuola, ci attendono ulteriori e dolorosi insuccessi, non soltanto in campo sportivo.