Il governo francese, nella persona del Ministro del Lavoro Myriam El Khomri, ha presentato, nel settembre del 2015, un progetto di legge di modifica del Codice del Lavoro. Tra le novità proposte dal documento, la cui approvazione dovrebbe essere discussa a breve, figura il “diritto alla disconnessione” digitale a favore dei lavoratori.
La concessione di un tale diritto è stata richiesta dai sindacati, che hanno fatto notare come oramai la consultazione di email e sms faccia parte del quotidiano, eppure non venga contabilizzata né retribuita quando avviene al di fuori dell’orario di lavoro e nei giorni festivi. L’articolo 24 del progetto di legge in questione introdurrebbe la nuova norma allo scopo di garantire l’esercizio reale del diritto al riposo e per sostenere un buon equilibrio tra lavoro e vita privata. Non ci sono ancora misure concrete, che nel progetto di legge vengono affidate alle trattative interne alle imprese per assicurare “il rispetto dei tempi di riposo e di ferie”.
Già esistono casi di regolamentazione, decisi però di propria iniziativa da alcune aziende, soprattutto in Germania: la Volkswagen nel 2011 ha deciso di spegnere i server delle email mezz’ora dopo la fine dell’orario di lavoro per riaccenderli mezz’ora prima dell’inizio. Esempio seguito dall’azienda rivale Bmw e poi da altri grandi gruppi come ad esempio Deutsche Telekom.
La questione è stata affrontata anche in alcune aziende francesi e l’anno scorso le associazioni degli industriali ‘Syntec’ (ingegneria) e Cinov (studi di consulenza) hanno firmato un accordo sindacale per riconoscere ai quadri il diritto alla disconnessione. Il ministro El Khomri ora vorrebbe rendere queste pratiche obbligatorie, dando tempo fino al 31 dicembre 2017 perché le aziende trovino degli accordi con i dipendenti.
L’azienda transalpina che ha giocato un ruolo decisivo è Orange, la maggior impresa di telecomunicazioni, che era France Telecom prima di cambiare denominazione a luglio del 2013. Il progetto di legge si fonda infatti su un rapporto presentato nel settembre scorso anno proprio dal vicedirettore generale di Orange, Bruno Mettling, che ha affermato: “Il diritto a staccare deve essere riconosciuto e completato dal dovere di disconnessione. L’essere sempre collegati rappresenta un rischio per la salute dei dipendenti”. Ha anche aggiunto che “quelli che rispettano l’equilibrio tra lavoro e vita privata sono molto più produttivi degli altri” e che “la capacità di staccare dev’essere considerata una competenza’ del lavoratore: si tratta di affermazioni che gli psicologi del lavoro non solo sanno essere vere, ma che tendono a dare per scontate vista la loro ovvietà, considerate le conferme ricevute a livello scientifico. Del resto, se una pratica rovinasse la vita e la salute dei dipendenti, ma risultasse davvero produttiva ed efficace, sarebbe illusorio sperare di contrastarne l’adozione, invece diffondendo i risultati degli studi che ne dimostrano l’inefficacia forse si potrebbe convincere le aziende a rinunciarvi, non perché siano disumane, questo in genere non interessa, ma perché non sono convenienti.
L’idea di introdurre anche un obbligo di disconnessione ci sembra sensata, ma più difficile da comprende e da accettare soprattutto dai giovani, in quanto l’iperconnessione, con il sovraccarico di informazioni e stimoli che comporta, di certo non riguarda solo le risposte alle email di lavoro, ed è considerata come un vero e proprio ”status symbol”.
Jean-Emmanuel Ray, docente di diritto alla Sorbona, ha spiegato in un’intervista a Le Monde come le generazioni formate dai cosiddetti ‘nativi digitali’ oramai “non si connettono più: vivono connesse, e considerano la disconnessione imposta come un insopportabile paternalismo”.
Secondo la nozione di ”lavoro digitale” elaborata dal sociologo tedesco Trebor Scholz addirittura la stessa vita privata, se vissuta online, diventa una forma di lavoro non retribuito che va a vantaggio dei ”Gafa” (Google, Apple, Facebook, Amazon): forse si tratta di un’esagerazione, ma non si può disconoscere che il confine tra vita privata e professionale tende a essere sempre meno rigido.
In questo scenario è plausibile tenare di contrastare le pretese dei datori di lavoro, molto più difficile impedire ai singoli lavoratori di dare la propria disponibilità ‘h24’ anche dove ciò non sia espressamente previsto dal loro contratto e questo per due ordini di motivi: primo, chi è in grado di assegnare dei posti di lavoro è anche nella condizione di ricattare coloro che ne stanno cercando o difendendo uno (ne abbiamo parlato in un precedente articolo, ‘La crisi e la balla della produttività, l’Opinione Pubblica, 16 luglio 2015); secondo, avere un posto di lavoro, soprattutto di un certo tipo, ed essere sempre connessi sono entrambe condizioni cui molte persone ambiscono, considerandole non solo necessarie o utili, bensì una fonte di prestigio.
Non è un caso che internet e lavoro siano gli oggetti di due dipendenze ”senza sostanza”, la cui incidenza è in grande crescita in questi anni.
Il vissuto dei soggetti dipendenti da internet o dal lavoro è analogo a quello di coloro che utilizzano sostanze stupefacenti: non sono capaci di smettere, se lo fanno accusano sintomi simili a quelli di una vera e propria crisi di astinenza e devono navigare in internet oppure lavorare sempre di più per sentirsi bene. Questo genere di disagi stentano ad essere riconosciuti e quindi curati, perché riguardano comportamenti molto rinforzati a livello sociale. Il fatto che un cospicuo numero di individui sia impegnato per la maggior parte del suo tempo lavorativo al pc o con uno smartphone in mano fa pensare che possano essere numerosi i casi di ”comorbidità”, termine medico che indica la compresenza di più patologie diverse in uno stesso soggetto.
Tanto il lavoro che la tecnologia possono diventare delle trappole, ma è possibile non farsi catturare se si è capaci di comprendere che non si tratta di fini da perseguire, ma soltanto di mezzi da usare. Inoltre è necessario sviluppare la già citata capacità di staccare, sapere quando dire “basta”: la via per acquisirla è antica, si devono scoprire i propri limiti e poi imparare a rispettarli.