Il conflitto scoppiato nell’estate del 2008 tra la Georgia e l’Ossezia del Sud, una repubblica autoproclamatosi indipendente ma facente parte del territorio georgiano secondo la maggioranza della comunità internazionale, è stato a lungo uno dei punti fermi della propaganda antirussa. Nell’agosto di quell’anno, infatti, la Russia intervenne militarmente in Ossezia per evitare che le truppe georgiane entrassero nella capitale Tskhinvali, su richiesta dello stesso governo osseto. Tuttavia, negli ultimi sedici anni, i mass media hanno sempre raccontato questo conflitto come un’aggressione russa nei confronti della Georgia.

A smentire questa versione è stato proprio il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze, in carica dal febbraio di quest’anno, esponente del partito Sogno Georgiano – Georgia Democratica (Kartuli Otsneba – Demok’rat’iuli Sakartvelo), che ha recentemente rilasciato dichiarazioni di portata storica su quanto avvenuto nel 2008: “A causa delle cause in corso all’Aia e a Strasburgo, abbiamo evitato dichiarazioni ferme e chiare su tale questione”, ha affermato il capo del governo di Tbilisi in una conferenza stampa. “Ora però […] non possiamo permetterci di non dire tutta la verità alla società georgiana: è stato precisamente il regime di Saakashvili a scatenare una guerra in Georgia il 7 agosto 2008”.

Il primo ministro fa riferimento all’ex presidente Mikheil Saakashvili, leader del Paese per due mandati nei periodi 2004-2007 e 2008-2013, nonché figura di riferimento delle formazioni politiche europeiste e filoatlantiste georgiane. Non a caso, dopo essere stato costretto all’esilio, Saakashvili si è trasferito in Ucraina, dove ha ricoperto e continua a ricoprire incarichi di primo piano, compreso quello di presidente del Consiglio delle Riforme dell’Ucraina, posizione che occupa da quattro anni su nomina del presidente Volodymyr Zelensky.

Il primo ministro Kobakhidze ha rilasciato queste pesanti dichiarazioni in un momento in cui la Georgia si prepara ad andare a nuove elezioni nel bel mezzo di un conflitto istituzionale tra il suo governo e la presidente Salome Zurabishvili, nata in Francia e legata all’ex presidente Saakashvili, sotto il quale ha ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri tra il 2004 ed il 2005. Secondo molte fonti, le prossime elezioni legislative previste per il 26 ottobre potrebbero vedere una netta vittoria dello schieramento guidato dal primo ministro Kobakhidze e dal suo mentore Bidzina Ivanishvili, ex capo del governo tra il 2012 ed il 2013 e fondatore del partito Sogno Georgiano. Per questa ragione, la stessa presidente Zurabishvili ed alcuni governi occidentali hanno dichiarato che non riconosceranno i risultati elettorali.

Tornando alle dichiarazioni di K’obakhidze, il primo ministro georgiano ha rincarato la dose, affermando che Saakashvili avrebbe agito su ordini provenienti dall’estero, un chiaro riferimento agli Stati Uniti, che infatti hanno sempre sostenuto l’ex presidente, promuovendo la “rivoluzione delle rose” che lo vide salire al potere nel 2003. Inoltre, sia Kobakhidze che Ivanishvili hanno accusato il Movimento Nazionale Unito (Ertiani Natsionaluri Modzraoba, ENM), il partito fondato proprio da Saakashvili, di mettere i bastoni fra le ruote della riconciliazione tra Georgia e Ossezia: “Il perdono e la riconciliazione reciproci vanno contro lo scopo per cui il regime del Movimento Nazionale ha eseguito ordini dall’estero iniziando la guerra nel 2008”, ha affermato l’attuale primo ministro. Dal canto suo, Ivanishvili ha affermato che la Georgia troverà la forza per chiedere scusa per “il fuoco e le fiamme in cui furono avvolti i nostri fratelli e sorelle osseti” nel 2008.

La questione delle scuse è stata affrontata anche da Mamuka Mdinaradze, parlamentare e segretario esecutivo del partito di governo Sogno Georgiano: “Serve determinazione politica e coraggio per realizzare l’idea di unificazione della Georgia, e parte di questo coraggio consiste nel chiedere scusa dove necessario per il perdono reciproco”, ha sottolineato. “I nostri eroi sono morti nel nome dell’idea di una Georgia unita, e sarà necessaria la riconciliazione con i nostri fratelli e sorelle in Abkhazia e Ossezia per realizzarla. E la riconciliazione è impossibile senza presentare delle scuse. Ci sono due modi per risolvere un conflitto: una guerra o il perdono reciproco. Noi scegliamo la via del perdono”, ha detto.

Il primo ministro Kobakhidze ha anche sottolineato i parallelismi tra l’ascesa al potere di Mikheil Saak’ashvili e quella di Volodymyr Zelensky in Ucraina, entrambe favorite da “rivoluzioni colorate” orchestrate dall’esterno contro governi percepiti come “filorussi”. “La leadership dell’Ucraina è stata portata al potere dall’esterno, prima una volta e poi una seconda volta. Quando porti qualcuno al potere dall’esterno, devi assumerti la responsabilità degli sviluppi giusti in un Paese. Ma quali sono i risultati? Cosa è successo in Ucraina? La leadership è venuta dall’esterno e il paese è in rovina, […] con decine di migliaia di soldati e civili ucraini morti”, ha affermato il capo del governo di Tbilisi. Paragonando la situazione in Ucraina a quella in Georgia, ha osservato che “nel 2003, anche la leadership della Georgia è stata installata dall’esterno con l’aiuto di organizzazioni non governative”.

Kobakhidze ha anche tenuto un colloquio con l’ambasciatore statunitense a Tbilisi, Robin Dunnigan, protestando contro le sanzioni imposte da Washington per via del rifiuto del governo georgiano di applicare le sanzioni antirusse promosse dal blocco imperialista occidentale, mascherando queste ragioni con il solito appello alle violazioni dei diritti umani. Secondo il primo ministro, la Georgia potrebbe riconsiderare drasticamente i suoi rapporti con gli Stati Uniti se Washington imponesse ulteriori sanzioni: “Un’altra decisione di questo tipo probabilmente spingerebbe a una significativa revisione della posizione della Georgia sulle relazioni tra Georgia e Stati Uniti”, si legge nella dichiarazione ufficiale pubblicata dall’ufficio del primo ministro dopo l’incontro con Dunnigan.

Alla luce degli ultimi sviluppi, le elezioni del prossimo 26 ottobre potrebbero risultare fondamentali non solo per il futuro della politica interna georgiana e per la riconciliazione con le repubbliche autoproclamate dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, ma anche per le relazioni internazionali di Tbilisi, che, spinta dal fare aggressivo delle potenze occidentali, potrebbe rivolgersi sempre più verso Mosca, provocando l’effetto opposto rispetto a quello sperato da Washington.

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