sergio marchionne

L’operazione a cui è stato sottoposto Sergio Marchionne, per la rimozione di una massa tumorale ossea alla spalla destra, è stata resa nota solo pochi giorni fa, dopo che praticamente ha avuto esiti negativi rispetto a quelli inizialmente sperati. Di Marchionne si sapeva che era un grande fumatore: questa cattiva abitudine ha certamente inciso sulla sua salute, minandone i polmoni. S’è formato un tumore, che come sapranno tutti coloro che di queste cose se ne intendono, soprattutto quando è localizzato in organi del genere, ci mette un attimo a propagarsi altrove. Così infatti è stato. L’agonia di Marchionne è stata breve e s’è conclusa oggi, poco fa, con la sua morte.

Marchionne aveva anche altri problemi di salute: alla tiroide, ma anche alla vista. Il suo quadro medico, insomma, era caratterizzato da una grave degenerazione che non lasciava spazio, in ogni caso, a molte speranze. L’ex amministratore delegato di FCA sapeva che in qualunque caso la sua vita non sarebbe mai stata facile. Chi non ha avuto a che fare con certe patologie non può capire certe cose. In questi giorni soprattutto sui social sono stati fatti discorsi, da molte persone, caratterizzati da un’imperdonabile leggerezza, da un’enorme incoscienza. Ben difficilmente chi ha avuto in famiglia, in casa, persone malate di tumore o di altre gravi patologie del genere si sarebbe permesso commenti così sciocchi ed inopportuni. Non si augura la morte a nessuno e men che meno essa può essere motivo di gioia, al pari della sofferenza e della malattia. Chi ha fatto discorsi tanto insulsi dovrebbe seriamente riflettere sulla propria inconsistenza morale e di pensiero.

Ce n’è per tutti, in questo senso: anche per il mondo dei media e persino per la stessa FCA, dato che entrambi hanno sepolto Marchionne quando ancora era in vita. Lottava contro la morte in un letto d’ospedale, ma già ne parlavano al passato, come se fosse già morto. Basta ricordarsi cosa si diceva in televisione in tutti questi giorni.

Ma proprio perché ce n’è per tutti, allora bisognerebbe dire che soprattutto i grandi critici del “modello Marchionne”, sempre pronti ad attaccarlo per le sue strategie aziendali, spesso e volentieri sono gli stessi individui che invece, quando nel 2011 è morto Steve Jobs, per quest’ultimo hanno manifestato subito una commossa venerazione. Sì, quello Steve Jobs stroncato da una gravissima malattia, ma che per rilanciare la sua azienda, la Apple, non esitò a puntare tutto sul “software chiuso” (non dimentichiamoci le feroci critiche del padre del “software libero” Richard Stallman, sicuramente inopportune quando Steve Jobs morì, ma in ogni caso fondate), sullo sfruttamento degli operai in Cina (ma in nome dell’edonismo questo ed altro) e sull’esclusione di particolari tecnici estremamente economici ma semplicemente non convenienti agli interessi della Casa madre (come il chip che permetteva d’ascoltare le radio via etere, cosa a cui Steve Jobs nettamente s’oppose perché non gli permetteva di lucrarvi, e poco importa se tale chip del valore di pochi centesimi si trovasse comunque su qualsiasi altro smartphone da poco prezzo). Eppure, Steve Jobs è passato alla storia agli occhi di tutti costoro come un vero e proprio santone, mentre Marchionne è oggetto del loro odio più esibito.

Nel caso di Steve Jobs, andrebbe ricordato come l’attività della Apple in Cina abbia provocato suicidi a catena a causa dello sfruttamento intensivo sui lavoratori, non senza dimenticare gli altrettanto innumerevoli casi di mobbing che hanno coinvolto la multinazionale pure in America. In questo senso Apple non è stata certamente migliore delle altre multinazionali, americane e non, come Coca Cola, Nike, Bayer-Monsanto, ecc, che hanno un lunghissimo elenco di nefandezze di cui rendere conto dinanzi all’Umanità.

Ritornando a parlare di Sergio Marchionne, sarebbe opportuno ricordare come al suo arrivo il Gruppo FIAT, ben più piccolo di ciò che è oggi in termini di vendite e presenza nel mondo, perdesse un miliardo di euro all’anno, mentre oggi l’assai più grande e diffusa FCA, formatasi dalla fusione di FIAT e Chrysler, vanti un utile di tutto rispetto. Forse chi critica Marchionne avrebbe preferito che la FIAT finisse in blocco, come da accordi firmati dalla precedente dirigenza, a General Motors, altro gruppo in crisi e destinato a crollare di lì a breve con la crisi del 2008, che in Italia avrebbe intuibilmente chiuso gran parte degli stabilimenti, soppresso la maggior parte dei marchi, venduto tutto quel che non le serviva (per esempio CNH Industrial), tenendosi per sé soltanto Alfa Romeo e i brevetti sviluppati dal CRF, il Centro Ricerche FIAT, e altri come quelli di Magneti Marelli. Perché quella, parliamoci chiaro, sarebbe stata la fine: Pomigliano, per dirne una, non avrebbe avuto seconde possibilità, e non sarebbe stata certamente l’unica sede produttiva a sparire.

Anzi, parlando di Pomigliano: chi ha una certa età si ricorderà le Alfasud che facevano la ruggine, l’assenteismo a livelli mostruosi soprattutto quando giocava la squadra del cuore, e non parliamo poi della produzione successiva, anche in epoca FIAT, come le 145 e le 146 che progettualmente erano validissime ma che avevano assemblaggi e livelli qualitativi da far fare bella figura persino alle automobili francesi, note universalmente per la loro opinabile “plasticosità”. Oggi Pomigliano è, insieme agli stabilimenti FIAT in Turchia e in Polonia, lo stabilimento coi più alti livelli qualitativi. Anche gli stabilimenti in Polonia e in Turchia avevano una produzione a dir poco opinabile, e chi ha posseduto le vecchie 126 “by FSM” sa di cosa stiamo parlando. Oggi, invece, sono modelli industriali studiati dalla concorrenza per il loro livello di qualità e resa industriale: basti dire solo questo.

Nel loro attacco a Marchionne, molti dicono che grazie a lui la FIAT sia diventata americana. In realtà è un errore, perché questo era invece l’intendimento di Obama, oltre che del governo canadese e dei sindacati di Canada e Stati Uniti. Marchionne ha fatto la fusione FIAT-Chrysler, ma poi ha restituito i soldi e ha dato ad Obama il ben servito. Oggi FCA non è americana, come sostengono i detrattori di Marchionne, ma è una realtà che ha sede legale in Inghilterra e sede fiscale in Olanda. Praticamente è quello che, ben dieci anni prima, è stato fatto dal Gruppo Renault-Nissan, e non mi pare che in quel caso i soliti detrattori abbiano avuto alcunché da ridire. Carlos Ghosn, il leader di Renault-Nissan, “il Marchionne francese”, ha dato un bel ceffone a Parigi, che pure per anni aveva mantenuto a suon di miliardi la Renault, e all’Eliseo gli hanno pure impartito la benedizione. Ve lo ricordate quando la Renault era un’azienda statale francese, chiamata per questo anche Régie? Ecco, quell’epoca è finita ormai da un pezzo. E lo stesso possono dire anche in Giappone per quanto riguarda Nissan, anch’essa mantenuta per anni a suon di miliardi, ma oggi andata altrove. E lo stesso possono dire anche in Corea per quanto riguarda il ramo auto di Samsung, che è diventato proprietà di Renault-Nissan al pari della romena Dacia e della russa AVTOVAZ (la Lada).

Anche il governatore della Toscana Enrico Rossi, forse, farebbe bene a farsi qualche domanda. Invece di sfogare nei social critiche poco commendevoli su Marchionne in fin di vita, bene avrebbe fatto a chiedersi dove si trovasse quando la Piaggio veniva acquistata da Colaninno diventando anch’essa società di diritto olandese, ovvero con sede legale e fiscale in Olanda, e non più a Pontedera. Perché andrebbe ricordato come Pontedera si trovi in Toscana, regione di cui Rossi è presidente, e che Rossi prima d’andare in Regione è stato a lungo sindaco proprio di Pontedera, dove sorgono gli stabilimenti Piaggio. Piaggio, proprietaria anche di Aprilia e Moto Guzzi, oggi è il terzo gruppo motociclistico al mondo dopo Honda e Yamaha, ha rapporti e joint-ventures con vari gruppi asiatici (produce fra l’altro i suoi scooter in Vietnam, dove ha spostato molta produzione un tempo esistente a Pontedera) e l’ultimo è quello con la cinese Foton, stabilito proprio pochi giorni fa, per la produzione a Pontedera di una nuova linea di piccoli veicoli commerciali a quattro ruote.

Ma non è soltanto la Piaggio di Colaninno, di diritto olandese, a voler portare nuova produzione in Italia. Anche FCA vuol fare la stessa cosa: si legga, a tal proposito, il Piano Industriale presentato proprio da Marchionne lo scorso primo giugno, che copre un periodo che va fino al 2022. Si parla apertamente di aumentare in modo ben più che consistente la produzione nel nostro paese, citando modelli, marchi e stabilimenti. Quel Piano Industriale, che rappresenta di fatto il “testamento aziendale” di Sergio Marchionne, andrebbe forse letto con attenzione prima di sparare certe chiacchiere a vanvera. Soprattutto quando a fare certe critiche è gente che spara contro la FIAT perché “produce all’estero” ma poi per partito preso compra solo Volkswagen, che notoriamente come tutti sanno è un marchio italiano al 100% (Wolfsburg, lo sanno tutti, si trova a due passi da Martina Franca in provincia di Taranto…).