
Giunti al mese di luglio lo possiamo dire con più chiarezza: il Jobs Act non ha avviato la ripresa che il Governo Renzi sperava (almeno a parole). Gli ultimi dati ISTAT confermano che nel mese di maggio il tasso di disoccupazione è rimasto invariato al 12,4% rispetto ad aprile e che quindi sembra essersi arrestata la spinta che aveva portato in soli 30 giorni a 160mila occupati in più. Invece l’occupazione diminuisce di 63mila unità rispetto al mese precedente.
Appare evidente che il Jobs Act di Renzi sia servito agli imprenditori più per convertire contratti già esistenti, sfruttando l’opportunità degli sgravi fiscali triennali del nuovo contratto a tempo indeterminato, che non ad assumere personale ex novo. D’altronde a noi appare evidente che senza una ripresa della domanda sia difficile per le aziende assumere nuovo personale, anche concedendo loro tutta la flessibilità possibile.
I non molto confortanti dati ISTAT sull’occupazione e sull’inflazione sono stati accompagnati dalle parole del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, il quale ha parlato di un’Europa ancora in “stagnazione” aggiungendo che per raggiungere i livelli precedenti al 2008 “ci vorranno anni”. Sembra finito quindi tutto l’ottimismo portato dall’abbassamento del prezzo del petrolio e dalle politiche della BCE che hanno permesso una svalutazione dell’Euro di circa il 20%. Svalutazione che, lo ricordiamo, porta benefici solamente nel mercato extra-UE, che per l’Italia vale circa il 10% delle sue esportazioni.
Così negli ultimi giorni qualcuno è tornato a parlare di una possibile manovra del Governo per trovare circa 20 miliardi destinati a coprire lo scatto delle clausole di salvaguardia sull’IVA, l’adeguamento delle pensioni, il problema del reverse charge, e il rinnovo del contratto del pubblico impiego. Per chi non lo sapesse, la principale clausola di salvaguardia riguarda la norma che prevede l’aumento automatico dell’IVA nel caso non fossero stati recuperati 6,5 miliardi all’anno per il riordino dei bonus fiscali e assistenziali. Nel Def di aprile il Governo scongiurava lo scatto delle clausole di salvaguardia, prevedendo “di realizzare ulteriori risparmi e rimuovere la restante parte delle clausole di salvaguardia con interventi anche di riduzione delle spese e delle agevolazioni fiscali per almeno 10 miliardi nel 2016 e 5 miliardi nel 2017”. In parole povere, il Governo eviterebbe l’aumento dell’IVA attraverso il taglio della spesa (che purtroppo non è mai quella improduttiva!). Ciò tuttavia non evita l’aumento di altre tasse.
Ci sarebbe poi il problema dell’adeguamento delle pensioni per gli anni 2012 e 2013, stabilito dalla Corte Costituzionale con la bocciatura del blocco previsto dalla riforma Fornero. Il Governo in questo caso ha deciso di recepire la sentenza sono in parte e di rimborsare solo i pensionati che percepiscono un importo compreso tra i 1.450 ed i 2.850 euro mensili lordi. Ma non è tutto: Il meccanismo per il calcolo del rimborso delle pensioni prevede la restituzione parziale tra il 10 ed il 40% di quanto perduto nel biennio 2012/2013 ed il 20% di quanto erogato per gli anni prima del 2014. Un ulteriore ostacolo da superare è costituito dalla bocciatura della Commissione Europea riguardo al reverse charge, il meccanismo di inversione contabile del’IVA che il Governo aveva esteso alla grande distribuzione. Il Governo con questa misura prevedeva di recuperare circa 730 milioni all’evasione fiscale.
Nei mesi scorsi si era parlato di un presunto ‘tesoretto’ che il Governo aveva accumulato e che poteva sfruttare per promuovere nuove misure volte alla crescita. Ora purtroppo andrebbe anch’esso a coprire questi buchi di spesa. Come se non bastasse, il 24 giugno scorso, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco del contrato collettivo del pubblico impiego. Fortunatamente per il Governo, la Corte ha accolto soltanto parzialmente il ricorso presentato dal sindacato Confsal-Unsa, in quanto l’illegittimità decorrerebbe “dalla pubblicazione della sentenza” e non dagli anni precedenti. Qualora accolto in pieno, avrebbe comportato un esborso per lo Stato di almeno 35 miliardi per il periodo 2010-2015.
In virtù di questa situazione come credere alle parole del Presidente del Consiglio, il quale giusto ieri dichiarava che “Le clausole di salvaguardia non scatteranno.[…] Nel 2016 scommetto su una ulteriore riduzione del carico fiscale” ? Non è molto rassicurante se pensiamo che Matteo Renzi è solito smentire con i fatti le parole pronunciate. Comunque vadano le cose, possiamo con certezza dar ragione al Governatore Visco: la ripresa è ancora molto lontana.
Ricordiamo in ultimo che l’UE ci impone dal 2016 di rispettare i parametri del Fiscal Compact, che ci obbligheranno a non superare la soglia di deficit strutturale pari allo 0,5% del PIL e di ridurre il debito pubblico al ritmo di un ventesimo all’anno, fino al raggiungimento del 60% del PIL nell’arco di un ventennio.
Sono misure che, come spiega il Sole 24 Ore, possono essere sopportate solamente se accompagnate da una crescita nominale del 3%. Ma senza di questa e con un debito pubblico che, proprio a causa di politiche troppo recessive, aumenta sempre di più, saremo costretti a subire altre manovre restrittive.
Per cui abbiamo poco da illuderci; l’Europa è entrata in un limbo da cui non riesce a uscire. Non possiamo che sperare che la situazione greca porti al più presto a un radicale cambiamento.
Marco Muscillo