Il Tempio buddhista Puhua a Prato.

Una grande occasione per alcune sette e gruppi settari malintenzionati, più interessati alla politica che alla religione, è stato senza dubbio rappresentata dalla crescita dell’immigrazione cinese registratasi nel nostro paese nel corso del tempo. Ciò è avvenuto fino ai primi anni 2000, perché in seguito vi è stata una notevole battuta d’arresto: ad esempio, dal 2010 al 2016 il numero dei permessi di soggiorno annualmente rilasciati a cittadini cinesi s’è ridotto del 76%, e nel solo 2016 gli ingressi di cittadini cinesi nel nostro paese sono calati del 20% rispetto all’anno prima. Su ciò, naturalmente, ha influito soprattutto la forte crescita economica vissuta dalla Cina nel corso di questi ultimi anni, che ha dato nuove possibilità a persone che in precedenza cercavano fortuna soprattutto all’estero, abbinata alle forti politiche di lotta alla povertà intraprese dal governo di Pechino e che hanno avuto soprattutto nelle campagne e nelle province (da cui proveniva il maggior numero di cinesi che emigravano) il suo più alto eco.

Di conseguenza, soprattutto per quanto riguarda la comunità cinese in Italia, la sua crescita dipende ormai in particolare dalle nascite di bambini da coppie di giovani a loro volta della seconda generazione, nati quindi in Italia da genitori in precedenza giunti dalla Cina. Tale crescita, tuttavia, risente dell’attitudine da parte dei più giovani a sposarsi e a generare figli in età sempre più tarda rispetto ai loro genitori, esattamente come del resto avviene fra noi italiani. Per questo motivo la comunità cinese in Italia sta assumendo sempre più le sembianze di “minoranza etnica italiana” vera e propria, anziché di risultato di un sia pur lontano processo migratorio. Ciò, in molti casi, oltre ad arginare o quantomeno a parzialmente superare certe vecchie diffidenze, ha anche un effetto tutt’altro che irrilevante nel modo con cui questi stessi “nuovi cinesi italiani” guardano alla religione e alla religiosità in generale.

In generale, l’Italia non è ancora al livello di altri paesi europei, dove tale processo di radicamento e naturalizzazione è giunto ad una fase visibilmente più avanzata; tuttavia la velocità di tale processo sociale è innegabile. Non vi è ancora la stessa diffusione di luoghi di culto paragonabile all’Europa continentale, ma ne stanno comunque sorgendo rapidamente di nuovi e di numerosi, in prevalenza dediti ad un culto in particolare, e soprattutto nelle più grandi città. A Prato, però, dove la comunità cinese è storicamente molto forte, abbiamo il tempio buddista Puhua, molto attivo ed unanimemente riconosciuto, nato nel 2009 per iniziativa dell’omonima associazione che lo presiede. La sua importanza religiosa è tale da non limitarsi non soltanto alla comunità cinese in Toscana, ma da andare persino al di fuori della regione finendo col lambire anche il resto del paese. A Roma, invece, dal 2013 sorge il più grande tempio buddista cinese in Europa, il tempio Huayi, legato però ad un’associazione buddista taiwanese, ovvero di quella che è conosciuta dai più come “l’altra Cina” o “la provincia ribelle di Pechino”. Partecipare alle funzioni di quel tempio, dunque, almeno nel caso dei fedeli più abituali se non proprio assidui, può dunque significare una vera e propria “presa di posizione” nel conflitto politico-diplomatico (e persino religioso) fra Pechino e Taipei, e in senso più ampio fra Pechino e Washington. Non si può, invece, fare comprensibilmente fare lo stesso ragionamento per chi si trovi a partecipare alle sue funzioni solo occasionalmente, e magari senza conoscere tutti i vari “retroscena”.

La situazione di Milano, invece, è molto più complessa, giacché al momento non si ha ancora un tempio del Buddhismo cinese vero e proprio, e quindi quei cinesi che necessitino di tale supporto religioso devono in qualche modo arrangiarsi ricorrendo magari a monaci daoisti o buddisti appartenenti a varie associazioni provenienti dall’estero, soprattutto (ma non solo) dalla Francia. Le ricorrenze per cui si può averne bisogno sono numerose, e sono più o meno le stesse per cui noi italiani andiamo magari alla ricerca di un prete: per esempio i matrimoni o un funerale, oppure rituali particolari della tradizione come il Capodanno Cinese. Non di rado, ma ciò dipende anche dall’orientamento politico e dall’attaccamento alla madrepatria dei fedeli, si ricorre a lama appartenenti ad associazioni considerate “filo-cinesi”: tuttavia, in questi casi si entra nell’ambito delle scelte individuali, e quindi andare caso per caso significa entrare in un complesso ginepraio sia politico che teologico, non di rado ostico da comprendere persino per i diretti interessati (figuriamoci, dunque, per noi italiani).

Avvicinandoci invece al tema delle sette vere e proprie, o riconosciute ufficialmente come tali, con tutti gli annessi e connessi in termini di pericolosità ed inaffidabilità, sia a Roma che a Milano si nota una forte o comunque avvertibile presenza dei cristiani evangelici dello Zhejiang. E’ bene precisare come non tutti costoro siano adepti di sette ritenute pericolose da Pechino e anche da altri governi stranieri: la tradizione del Cristianesimo in quelle zone, infatti, ebbe inizio negli Anni ’60 del 1800 dalla predicazione del missionario scozzese George Scott soprattutto nell’area di Wenzhou. Ma ciò ha permesso di gettare le basi di un terreno fertile anche per la predicazione e l’espansione di altri movimenti, come possiamo ben intuire non caratterizzati sempre da buone intenzioni. Col fluire e l’avvicendarsi delle generazioni, il Cristianesimo evangelico è divenuto un nuovo fenomeno della religiosità cinese, di fatto naturalizzandosi e venendo infine riconosciuto dallo Stato, che ne tutela e regolamenta le attività. Tali comunità non vanno dunque confuse con quelle di stampo pentecostale, eterodirette e che propagandano materiale ideologico e teologico difficilmente compatibile con le Sacre Scritture: sono queste le realtà che hanno creato, in Cina ma anche altrove, gravi problemi di ordine pubblico e alla vita di molti loro adepti oltre che di persone del tutto estranee ed incolpevoli, e che pertanto sono state ad un certo punto bandite e messe fuori legge. Tra queste, come spesso abbiamo detto, figura per esempio la Chiesa di Dio Onnipotente, che gode di forte influenza e riconoscimento anche in Occidente, dagli Stati Uniti all’Europa fino all’Italia; ma non si tratta certo dell’unico caso.

Un’altra setta pericolosa è il Falun Gong, anch’esso un culto eterodosso ma non imparentato col Cristianesimo: la sua base identitaria, per così dire, appare come un sincretismo fortemente derivato dal Buddhismo ma anche con riconoscibili elementi estetici del Daoismo. Al pari della Chiesa di Dio Onnipotente, è anch’essa un’organizzazione ormai molto forte, che gode di saldi sostegni in Occidente sia in senso politico che finanziario e soprattutto in ambienti che almeno all’apparenza potrebbero apparire quantomeno “insospettabili”. Pur avendo a più riprese cercato d’infiltrarsi nella comunità cinese in Italia e fra i suoi esponenti, queste sette non sono mai riuscite comunque davvero a “sfondare”, dovendosi quindi accontentare di posizioni marginali. Hanno quindi cercato, come già accennavamo nell’articolo precedente, di puntare sul pubblico italiano, anche in questo caso con alterne fortune ma riuscendo comunque a ricavarsi una nicchia più fortunata.

La spiegazione sta essenzialmente in questi semplici fattori: nel caso di Shen Yun, corpo di ballo del Falun Gong, la sua arte canora e teatrale spacciata per “la vera e millenaria tradizione cinese” può convincere un pubblico italiano che spesso si crede molto più preparato di quanto in realtà sia, e del resto il denaro per affittare serate in teatri importanti non mancano; di conseguenza, sfruttando la buona fede del pubblico, le possibilità di successo possono pure esserci. Lo stesso vale per certe pubblicazioni come Epoch Times o Vision Times, senza dubbio lette più da (pochi) italiani che da cinesi in Italia, e per i volantinaggi effettuati di tanto in tanto da militanti di questa setta nelle vie o piazze di alcune città italiane. Di fronte ad un pubblico impreparato, che magari coltiva già di per sé una visione politicamente ostile verso la Cina o carica di pregiudizi, certi slogan ed espedienti possono insomma sortire un sia pur effimero successo.

Nel caso della Chiesa di Dio Onnipotente, invece, sempre facendo perno sullo stesso punto di vista molto prevenuto di molti italiani verso la Cina ed il suo governo, si può cercare d’ottenere consenso parlando magari della persecuzione dei cristiani in quel paese, enfatizzando certi resoconti o meglio ancora inventandoseli di sana pianta. La sponda fornita da giornali, associazioni ed ambienti politici trasversali permette poi di disporre, per lanciare un simile messaggio di propaganda, anche di aule universitarie o di ambienti comunque prestigiosi (non sono mancate persino conferenze alla Camera dei Deputati, ad esempio), col risultato di guadagnare molto agli occhi di tante persone in termini di autorevolezza e di credibilità. Pure la scarsa popolarità che l’attuale Papa sta avendo in questi ultimi tempi tra molti fedeli italiani è d’aiuto nel portare avanti un simile messaggio ideologico, politico e propagandistico, e talvolta è persino utile a strappare alla Chiesa Cattolica qualche credente per portarlo dalla propria parte. Infatti, soprattutto nell’ambito dei social e di internet, la Chiesa di Dio Onnipotente è molto attiva e potente, e riesce a raggiungere numerose persone svolgendo un vero e proprio apostolato e proselitismo quotidiano. Ciò ha portato però anche ad un cambiamento delle metodologie che questa setta usava tradizionalmente per le sue riunioni, dato che in passato tendeva a frazionare i suoi fedeli in gruppi di preghiera formati da piccole unità di persone, mentre ora prevale un vero e proprio “stile libero” che, potenzialmente, può portare anche alla nascita di nuove realtà settarie a sé stante ma che comunque, almeno nei primi tempi, si rifanno alla matrice religiosa originaria.

A sostenere queste sette, per concludere, vi è poi un vero e proprio esercito mediatico, con alcune testate di settore che hanno un’enorme influenza anche sulle altre e che, per uscire ogni giorno con più articoli alla volta disponibili in più articoli contemporaneamente, senza dubbio non si basano sulle poche lire di un semplice lavoro di autotassazione o mero volontariato. E ciò è, in sintesi, la riprova del fatto di quanto esse siano lautamente e solidamente appoggiate da più realtà, anche molto in alto e che vedono nel loro operare e prosperare qualcosa di funzionale al loro interesse

In generale, in tutto questo scenario, la Chiesa Cattolica tende davvero ad avere un ruolo defilato. Scarsissimo è per esempio il suo apostolato fra i membri della comunità cinese, che solitamente se vi si sono rivolti è stato soltanto, in passato, per questioni legate alla politica migratoria, ma ben di rado per ragioni confessionali. Come abbiamo visto, infatti, la parte del leone nelle varie comunità cinesi d’Italia è svolta da buddisti ed evangelici. Si può tranquillamente dire che la Chiesa Evangelica, in Italia, sia più radicata e numerosa in termini di fedeli della Chiesa Cattolica: rispetto a quest’ultima, infatti, si muove con maggior dinamismo e motivazione, e dispone anche di superiori finanziamenti. Soprattutto nella grandi città, cominciando da Roma, la Chiesa Evangelica assolve ad un vero e proprio ruolo sociale, con molti cinesi che la frequentano come un luogo di ritrovo, allo scopo soprattutto d’incontrarsi con persone nuove, conversare ed allargare la propria cerchia di conoscenze: l’aspetto religioso passa in questo caso nettamente in secondo piano. Viene dunque nettamente surclassata la Chiesa Cattolica, a cui invece tale ruolo non è quasi mai riconosciuto.

Tuttavia, è proprio il fatto che molti cittadini cinesi si rechino nei luoghi di ritrovo della Chiesa Evangelica per mere questioni di socialità a renderli più facilmente soggetti ai tentativi d’abbordaggio di predicatori provenienti da altri culti, come ad esempio quelli dei gruppi pentacostali quali la stessa Chiesa di Dio Onnipotente oppure i Testimoni di Geova: tra costoro, addirittura, non mancano predicatori italiani che parlano in cinese, pure in maniera fluente. E’ probabile che la ritrosia della Chiesa Cattolica nello svolgere un apostolato, diversamente dagli evangelici, dai pentecostali e da tutti gli altri gruppi, si spieghi anche con la mentalità che s’è affermata fra molti suoi funzionari di culto degli ultimi decennii, per i quali predicare il proprio credo presso fedeli di altre religioni si sostanzierebbe come in una sorta di “invasione di campo”, “mancanza di rispetto” o di “prevaricazione”.

Per il resto, oltre ai due grandi tempi del Buddhismo cinese in Italia (quello a Prato, punto di riferimento per i cinesi in Italia, e quello di Roma, comunque più piccolo, legato agli ambienti buddisti taiwanesi e con minori legami anche con le istituzioni italiane), per qualche tempo sempre a Roma è esistito pure una sorta di minuscolo tempio daoista, in un palazzo nella zona dell’Esquilino, gestito da una figura laica. Le altre realtà, minori, come già dicevamo non hanno invece sempre chissà quale rilievo.