La propria appartenenza religiosa è, per ognuno di noi, un tema sempre piuttosto delicato, soprattutto quando siamo in presenza di un estraneo a cui non sappiamo esattamente come rivolgerci, già solo per il fatto d’ignorarne pressoché in toto i possibili punti di vista in materia. Si preferisce così rimanere sempre sul vago, senza dunque dir nulla che possa magari risultare “compromettente” o che più semplicemente possa dar luogo a spiacevoli equivoci o dissapori.
Questo succede in particolare quando ci troviamo a parlare non solo con persone che non conosciamo, ma ancor più con persone straniere, di cui intuiamo la possibile adesione ad altre forme di religiosità e dalle quali magari prevediamo, anche sbagliando, reazioni che potrebbero risultarci sgradite o quantomeno un’altrettanto spiacevole mancanza di comprensione. Raramente dunque si troverà, per esempio nel nostro paese, uno straniero disposto a parlarci liberamente del proprio credo religioso; ciò, però, paradossalmente può contribuire ad incrementare il clima di sospetto o di ghettizzazione verso determinate comunità o verso suoi determinati esponenti, con esiti sociali e culturali non proprio dei più incoraggianti od utili ad una situazione come quella odierna dove invece sarebbe molto più sensato muoversi in direzione opposta.
“Conoscersi reciprocamente” è un invito che viene molto spesso rivolto da più parti, cominciando dalle varie istituzioni sia laiche che religiose, ma che raramente viene accolto dai destinatari ed ancor prima davvero portato avanti, perlomeno in modo serio e costruttivo, da coloro che sistematicamente lo mandano. Di conseguenza, non sorprendiamoci se molti stranieri preferiscono glissare sull’argomento religioso quando ci troviamo a parlarne con loro, qualunque sia la loro provenienza geografica: del resto, è un comportamento che si manifesta anche fra molti noi italiani. Certo, un latinoamericano avrà di solito meno problemi a dirci che è cristiano (anche se magari potrebbe evitare di dirci che, invece del Cattolicesimo, pratica uno dei tanti culti protestanti o persino evangelici o millenaristi che nel corso degli ultimi anni hanno vigorosamente attecchito nel suo Continente) di quanti possa averne un africano o un asiatico nel dirci che sono musulmani o addirittura seguaci e praticanti di altre dottrine religiose ancora.
Ci sono persone che tuttavia non hanno problemi nel dire quale sia la loro fede, soprattutto se la vivono come una sorta di missione di proselitismo e d’apostolato; ma, percentualmente, costoro sono sempre meno rispetto a tutti gli altri. Ciò vale, naturalmente, non soltanto per gli stranieri ma anche per gli stessi italiani. E’ tuttavia in quelle nicchie, ormai comunque sempre più importanti, che bisogna andare a cercare ciò che potrebbe apparirci quantomeno insolito o dissonante rispetto alla maggior parte dei culti conosciuti, o proprio per questo più isolato e quindi anche potenzialmente più “pericoloso” o “inaffidabile”.
Se parliamo della Comunità Cinese in Italia, per esempio, pensiamo subito ad una realtà sociale tradizionalmente molto chiusa o comunque poco propensa a stringere contatti troppo confidenziali con gli italiani. Ciò nel caso di molte persone è certamente vero, ma nel corso del tempo bisogna comunque dire che i più giovani hanno ben presto iniziato a legarsi coi loro coetanei, sia italiani che di altre comunità presenti nel nostro paese, infrangendo così alcune vecchie barriere che in parte continuano invece a valere per i più anziani.
Statisticamente, la maggior parte dei cinesi in Italia provengono dallo Zhejiang, ma altre presenze nutrite si registrano anche da altre realtà come il Fujian, regione che gli è confinante. I due territori, al pari di ogni altra provincia e regione cinese, hanno ciascuno una propria storia in fatto di culti ed esperienze religiose differenti e storicamente molto ben radicati; tuttavia, soprattutto nelle zone più di confine, le due identità spesso si mescolano e s’influenzano a vicenda. Per esempio i distretti della campagna e della montagna, ovveri quelli da cui è provenuto il maggior numero di cinesi in Italia, come Yuhu nel distretto di Wencheng o Fushan in quello di Qingtian, vedono tuttora una forte presenza del culto per la Dama di Linshui, detta anche Dama di Shunyi: si tratta infatti proprio di una tradizione rituale daoista proveniente dal vicino Fujan, basata sul culto di una giovane figura femminile dal sangue divino, Chen Jinggu, concepita da una donna ormai in tarda età e senza che vi fosse stato alcun rapporto con un uomo. Tale culto s’intreccia con particolari ed antichissimi rituali sciamanici ed immancabile è soprattutto il tema della possessione spiritica, e quindi del legame fra mondo dei vivi e mondo dei morti. Per i più, sono soltanto superstizioni, ma comunque molte sono sempre le persone che in patria presenziano a questi riti anche solo come semplici curiosi o spettatori, e che ben si guardano dall’offendere gli spiriti, i riti e coloro che li praticano, secondo quella “scaramantica prudenza” che anche noi italiani conosciamo bene e che ci porta spesso a pensare “nel dubbio, meglio non rischiare; non si sa mai”.
Tali riti, in una qualche forma un po’ più edulcorata, sono approdati anche da noi, accompagnando le persone provenute da quelle lontane province per far fortuna anche da noi. Il plurisecolare retaggio mistico-culturale è tanto forte da influenzare persino i più giovani, come del resto capita anche a molti loro coetanei provenienti da altre parti del mondo, dall’Africa all’America Latina, e residenti in Italia. Così, per esempio, ci sono giovani cinesi che prima d’inaugurare la loro attività, anche per tranquillizzare alcuni loro parenti o genitori che senza dubbio insistono con loro in tal senso, sono soliti fare un piccolo omaggio al Dio del Suolo, noto anche come Dio della Prosperità. Spesso lo si può vedere, in alcuni locali o negozi gestiti da persone cinesi, all’interno di un piccolo tabernaccolo che ospita anche la Dea della Misericordia, Guanyin, derivazione cinese del Bodhisattva buddista Avalokitesvara, e gli Otto Immortali della tradizione daoista. Sono, come possiamo intuire, piccoli gesti che abbinano la tradizione con la scaramanzia, e che nell’insieme aiutano a vivere e a darsi un punto di riferimento in più nella vita quotidiana, a maggior ragione se ci si trova a vivere in un altro paese: dunque, cose del tutto innocue.
Del resto, anche in molte case o persino attività italiane è tutt’altro che infrequente imbattersi in un’immagine della Madonna o del Santo preferito, magari Padre Pio, e non mancano soprattutto in alcune zone d’Italia persone più zelanti od osservanti che addirittura mettono una statuetta della Madonna o di Padre Pio in giardino. Lo stesso vale per la tradizione, davvero comune in tutto il mondo, di tenere qualche immagine o simbolo in grado d’augurare protezione e buona sorte nel proprio portafoglio o in borsa: molti italiani magari tengono un santino, ma anche molti cinesi in Italia fanno altrettanto. Alcuni hanno simboli che si richiamano proprio alle più classiche tradizioni religiose e culturali del loro paese, come piccole immagini di Guanyin, ma altri non hanno problemi a tenere un santino della Madonna. Del resto, come molti sanno, anche il Cristianesimo in tutte le sue varie diramazioni nel tempo ha guadagnato proseliti in Cina, e così anche fra i membri delle varie comunità cinesi all’estero. In genere, però, custodire una di queste immagini nel proprio portafoglio non indica automaticamente la stretta adesione a quella religione (se ci pensiamo bene, anche molti noi italiani teniamo un santino nel portafoglio, ma allo stesso tempo magari ci dichiariamo “poco credenti” o perfino atei).
In tal senso il numero di riti e piccoli gesti scaramantici o che si collegano a “residui” di antiche forme di religiosità sono piuttosto numerosi, e abbracciano varie fasi della vita di una persona: si va, per esempio, da quelli per scacciare spiriti ed influenze maligne nella casa tenendo con sé piccoli amuleti come sonagli (una prassi comune anche a molti di noi, che magari tengono il classico “cornetto rosso” in macchina, appeso allo specchietto retrovisore, per esempio), oppure alcune particolari usanze “a fin di bene” che si osservano in momenti cruciali come il parto e le settimane successive al parto, e che simboleggiano anche il passaggio generazionale e il tentativo d’attrarre quanta più positività e buona fortuna possibile sia sulla madre che sul suo bambino. Anche il passaggio dalla vita alla morte, in tal senso, è un momento chiave, a cui viene sempre riservata la massima sacralità. Normalmente i cinesi più anziani ritornano in patria per trascorrervi gli ultimi periodi della loro vita, e per poter quindi morire sulla loro terra. Raramente, anche se purtroppo può succedere, un cittadino cinese può morire mentre si trova ancora in Italia, magari per un evento imprevisto come una malattia improvvisa o un incidente: in quel caso, però, anche per fugare molti luoghi comuni che si sentono dire da più parti, s’apre per legge una procedura burocratica e doganale assai complessa per il rimpatrio della salma, e ciò vale ovviamente non soltanto per un cittadino cinese ma anche per un cittadino di un qualsiasi altro paese che al momento della sua morte si trovava in Italia. In entrambi i casi, comunque, nel momento in cui la salma si trova in patria ed è il momento delle esequie, prevale l’usanza confuciana in base alla quale i parenti si vestono a lutto e vengono esposti fiori di carta bianca, ma anche in questo caso con la coabitazione delle tradizioni religiose sia daoiste che buddiste: infatti il corredo sacrale è quello previsto dal rito daoista, mentre non di rado a compiere le proprie benedizioni interviene anche un monaco buddista. Se invece il funerale avviene in Italia, sempre in ossequio alla mentalità e alla tradizione confuciane, può capitare che si chieda l’intervento di un prete cattolico, e questo anche se il defunto non era cristiano; proprio perché il pensiero confuciano attribuisce grande rispetto al significato della religione e alla sacralità che essa, anche attraverso un proprio sacerdote, può dare ad un evento così importante come le esequie di un proprio congiunto.
Tutto questo insieme di ritualità fa parte della più estesa famiglia della “religione cinese popolare”, un vero e proprio sincretismo di tradizioni ed usanze provenienti da più culture religiose insieme, alcune rilevanti in passato ma poi “sommerse” da altre affermatesi o prevalse successivamente, altre addirittura comuni ad esperienze e forme religiose almeno all’apparenza estranee fra loro. Gran parte di queste usanze, come possiamo intuire, sono quelle che poi ritroviamo nelle principali religioni cinesi, ovvero in quelle ufficialmente riconosciute anche dallo Stato cinese (quindi il Buddhismo, il Daoismo, il Cristianesimo Cattolico e Protestante, ecc).
Come vedremo nella prossima parte di quest’articolo, ciò ha inevitabilmente prodotto non soltanto un misto di curiosità e diffidenza da parte di molti italiani, ma anche terreno fertile per alcuni gruppi religiosi minoritari che, richiamandosi in modo spesso distorto o ambiguo a questo “sincretismo”, hanno cercato in malafede d’approfittare dapprima dell’ospitalità delle comunità cinesi all’estero (e in questo caso in Italia) per poter prosperare, e quindi d’estendersi anche ad una parte dello stesso pubblico italiano.