Il pericolo “populista” e la Germania: l’AfD
La vittoria della Brexit, l’elezione contro ogni “pronostico” di Donald Trump, il referendum costituzionale italiano, le turbolenze in Spagna, Portogallo e Grecia, l’addio di Hollande e Sarkozy in Francia, l’avanzata dei tanti partiti derubricati come “populisti” e la crisi sempre più evidente in cui sono sprofondate le classi dirigenti al potere dell’Occidente da decenni. In tutti questi rivolgimenti, il governo tedesco di Angela Merkel sembrava il meno coinvolto e il più saldo, ostentando le granitiche certezze della Germania motore economico d’Europa (già smentite dal più alto tasso di povertà e di esclusione sociale registrato dal 1990: 16 milioni di persone coinvolte). Poi però, la crisi europea (con particolare attenzione alla catastrofica e demagogica gestione dell’emergenza immigrati) è arrivata a bussare anche alle porte di Berlino.
L’ascesa dell’AfD
A fine agosto o inizio settembre le elezioni federali stabiliranno se ad essere travolta come tanti suoi colleghi europei sarà anche la cancelliera Merkel. Il primo campanello d’allarme per lei è suonato con la crescita dell’AfD, l’Alternativa per la Germania, un partito nazional-conservatore, scettico verso l’euro (di cui propone lo scioglimento congiunto) e fermamente avverso all’immigrazione. Guidato dalla carismatica Frauke Petry, la formazione di destra potrebbe sfondare il 10% e ambire a diventare il terzo partito tedesco, facendo incetta di voti anche nei länder impoveriti dell’ex Germania Est, dove contende il ruolo di maggior partito di protesta alla sinistra di Die Linke.
Anche la Germania, considerato fino a ieri il fortino degli europeisti ad oltranza, ha quindi il suo partito anti-euro (mentre nella Linke le posizioni sono più variegate, nonostante vi sia anche qui una corrente euroscettica impersonata soprattutto da Oskar Lafontaine e Sahra Wagenknecht). Non bisogna comunque commettere l’errore di classificare l’AfD come un partito di estrema destra o peggio ancora “fascista”, quando si tratta piuttosto di un soggetto liberista in economia e nazional-conservatore, che nel Parlamento Europeo siede a fianco dei Conservatori britannici (nonostante non disdegni alleanze con il Front National e la Lega Nord, riuniti di recente in un convegno a Coblenza).
La variabile Schulz
Un’altra variabile, stavolta rassicurante per i sostenitori dell’Ue, è venuta fuori dalla discesa in campo di Martin Schulz. Abbandonata la presidenza del Parlamento Europeo, che ha mantenuto per cinque anni a partire dal 2012, Schulz ha deciso di dedicarsi di nuovo in prima persona alla politica tedesca, facendosi eleggere alla presidenza federale del suo partito, la SPD (socialdemocratici), sostituendo Sigmar Gabriel che la occupava dal 2009.
Schulz è stato votato alla guida del partito con ben il 100% dei voti, un record storico. Gabriel aveva ereditato la guida del partito in un momento molto critico dopo la grande vittoria della CDU-CSU alle elezioni del 2009, in cui riuscì a formare una coalizione di centro-destra senza avvalersi della SPD ma dei più malleabili liberaldemocratici (poi sprofondati elettoralmente elle successive consultazioni).
Gabriel avrebbe dovuto orchestrare la rimonta del partito nel 2013, riuscendo invece solo a strappare alla CDU l’accordo di una grande coalizione, quella che tuttora governa la Germania. Negli ultimi anni i sondaggi hanno sempre posizionato la SPD tra il 23 e il 30%, senza che mai riuscisse a impensierire il dominio dei cristiano-democratici.
I consensi di Schulz e le speranze dell’SPD
La candidatura di Schulz riposa quindi sulla speranza che il suo appeal sui cittadini tedeschi (da cui è molto stimato) e la sua esperienza possano portare a una rimonta socialdemocratica impensabile fino a qualche tempo fa. Nelle preferenze personali Schulz batte largamente la Merkel, e anche nei sondaggi di partito la SPD è riuscita per la prima volta a superare la CDU che sta soffrendo un calo di consensi.
Si preannuncia quindi una campagna elettorale molto lunga e combattuta. Battendo anche di poco la CDU o avvicinandovisi, i socialdemocratici potrebbero sperare di formare un governo di centro-sinistra con i Verdi e la Sinistra o una nuova grande coalizione trattando però da una posizione di forza e potendo reclamare Schulz come cancelliere.
D’altronde anche tra i cristiano-democratici serpeggia il malcontento, in particolare nella CSU, la branca bavarese del partito, molto critica verso la politica migratoria troppo aperta della Merkel. Alcuni parlamentari hanno anche disobbedito all’ordine di scuderia di votare per il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier come presidente della repubblica. Steinmeier, ministro degli esteri in questo governo Merkel, è stato eletto comunque con un largo margine.
Un’inversione a U dell’SPD su Lavoro e Welfare?
Il programma elettorale di Schulz ancora non è noto (sarà presentato a luglio). È però evidente che il candidato del SPD punterà tutto sul malcontento dello stesso elettorato di centrosinistra.
Sembra che l’SPD proporrà misure fortemente sociali tanto da arrivare a mettere in dubbio l’Agenda 2010, il controverso piano di riforme liberiste varato all’inizio degli anni 2000 da Gerhard Schröder che operò vasti tagli allo Stato sociale e deregolamentò il mercato del lavoro. Schulz ha anche fatto riferimento alle differenze salariali uomo-donna e tra i länder dell’ex Germania Federale e dell’ex Repubblica Democratica Tedesca, dove non a caso volano lo scontento e la nostalgia per il passato comunista, parallelamente alla crescita di movimenti ultranazionalisti e anti-immigrazionisti.
Pendono le accuse di illecito sul capo di Schulz
Intanto il socialdemocratico deve anche guardarsi dalle accuse di aver usato illecitamente fondi dell’Unione Europea per promuovere iniziative politiche personali, quando era presidente del Parlamento Europeo e aspirante alla presidenza della Commissione. Nel 2014 Schulz avrebbe usato quotidianamente aerei privati avvalendosi dei soldi europei, inoltre avrebbe speso migliaia di euro per gli stipendi e le indennità esagerate dei suoi collaboratori. Le accuse vengono da Der Spiegel e dal Comitato di controllo sul bilancio del Parlamento Ue, guidata però da un’esponente della CDU.
Schulz, un politico ambiguo
Schulz si è sempre contraddistinto per una linea politica piuttosto ambigua ed opportunista. Se da un lato si propone come il fautore di una socialdemocrazia classica, dall’altro non si è mai fatto scrupolo ad allearsi con i conservatori e i liberaldemocratici nei lunghi anni passati in sede europea.
Sulla moneta unica e sui trattati europei non è meno intransigente dei cosiddetti “falchi” del partito della Merkel. Nel 2015 durante la crisi greca e il referendum indetto da Tsipras, usò parole dure contro un’ipotetica Grexit e contro la condotta del governo greco. Anche sulla questione ucraina Schulz si è dimostrato interventista e completamente sbilanciato a favore prima del colpo di Stato di Euromaidan (dichiarando candidamente che l’Ue avrebbe interloquito anche con i partiti dell’estrema destra sciovinista ucraina) e poi dopo delle sanzioni contro la Russia: in Germania come negli altri paesi della NATO la psicosi anti-russa e anti-Putin è ormai fuori controllo…
Duello aperto tra Merkel e Schulz, ma le sinistre europee si illudono troppo
I sondaggi, seppur manchino ancora vari mesi alle elezioni, danno per scontata una partita apertissima.
Comunque la si pensi, è innegabile che il ritorno di Schulz nella politica tedesca abbia rinvigorito il partito socialdemocratico, che ora tallona i cristiano-popolari della Merkel, e generando, come al solito, entusiasmo tra i partiti di centrosinistra del resto d’Europa, che sperano un cambio di passo da parte della “locomotiva” di Berlino.
In realtà sarebbe bene spegnere questi facili entusiasmi pensando non tanto all’esperienza greca di Tsipras o ai ripetuti bluff del governo Renzi quanto alla presidenza socialista di Hollande, eletto con le parole d’ordine di eliminare l’austerity e riformare l’Europa e finendo il quinquennato con più austeriy, un’Europa allo sbando e un partito socialista in macerie.
Negli ultimi anni Schulz è in fin dei conti stato l’altra faccia della medaglia del governo Merkel: grande coalizione a Berlino, grande coalizione a Strasburgo e Bruxelles, senza mai un accenno di voler cambiare veramente lo status quo europeo, impantanato in un’unione monetaria che si è rivelata insostenibile e in un “sogno” federalista utopico.
E del resto proprio Schulz ha ammesso che gli interessi dell’euro coincidono con l’interesse nazionale della Germania. Un qualcosa su cui riflettere…
Giulio Zotta