Il 12 gennaio 1848 cominciava la rivoluzione a Palermo, dove la crescita dei tumulti e delle violenze da parte delle classi popolari e dei contadini fu particolarmente intensa, costringendo l’esercito borbonico ad abbandonare l’isola, ad eccezione delle fortezze di Messina, Castellamare e Milazzo.
Una Rivoluzione per l’indipendenza
L’interesse dei siciliani era sostanzialmente mirato a ripristinare il vecchio Parlamento del 1812 nonché all’indipendenza dalla casata borbonica di Napoli, nei cui confronti aumentava sempre di più una certa diffidenza per più ragioni: quali ad esempio la soppressione di ogni forma di autonomia, i metodi brutali del regime poliziesco borbonico, nonché le condizioni di indigenza profonda in cui versava in quel momento la società siciliana, in particolar modo le classi popolari come contadini e braccianti.
L’epidemia di colera del 1837 aveva aumentato ancora di più il malcontento popolare, rendendo ancora più vulnerabile la società siciliana di fronte ai conflitti sociali che avevano già largamente insanguinato l’isola durante i moti del 1820-1821 e che ora mostravano le chiari contraddizioni dello stesso sistema assolutistico borbonico nel reprimere ogni forma di opposizione ad esso quanto nel respingere ogni possibile identità politico-culturale siciliana che si identificava nell’autonomia in contrapposizione alla stessa Napoli.
Un altro fattore che determinò sostanzialmente una rottura tra l’isola e il potere centrale fu per esempio la mancata volontà da parte dell’amministrazione centrale nel promuovere decise riforme di rinnovamento e modernizzazione delle istituzioni locali che avrebbero potuto far uscire la Sicilia da una condizione di arretratezza in cui si era venuta a trovare in quel momento, dove ogni possibile rivendicazione sociale rimaneva inascoltata.
Il conflitto tra Democratici e Conservatori
I vertici della rivolta, fra i quali spiccavano i nomi di Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa, avevano contribuito all’efficacia della sommossa, promuovendo una decisa quanto necessaria alleanza tra la classe democratica e le classi popolari, comprendenti contadini e artigiani. Tale coordinamento tra le varie classi sociali fu decisivo per la temporanea cacciata dei Borboni dalla Sicilia, dove venne ricostituito il Parlamento Siciliano a 30 anni di distanza, dotandosi di un governo costituzionale e di una propria bandiera, il tricolore con al centro lo stemma della Trinacria, simbolo dell’identità siciliana. Altri noti personaggi della rivolta e, decenni dopo protagonisti della guerre risorgimentali come della vita politica del successivo Regno d’Italia, furono Francesco Paolo Perez, Francesco Crispi, Giuseppe La Farina e Filippo Cordova.
Nonostante il successo della rivolta ben presto, nel nuovo costituito Regno di Sicilia si dovette far fronte alle divisioni riguardanti la nuova classe dirigente, dove non mancarono i dissidi tra gli elementi più conservatori e filo britannici, i quali erano reticenti da ogni possibile coinvolgimento delle classi popolari nell’amministrazione dello stato, e chi invece, di sentimenti decisamente più inclini ai principi illuministici, chiedeva riforme ben più radicali come la concessione del suffragio universale, l’abolizione della pena di morte e la libertà di stampa; di fatto dunque, pur con una sua propria sovranità la Sicilia continuò ad essere in mano ad una ristretta cerchia di persone, e dove iniziò sempre più a scemare ogni possibile auspicio di decise riforme progressiste.
D’altra parte lo stesso trono era vacante, in quanto, nonostante già il 12 luglio venisse nominato re di Sicilia per mano dello stesso parlamento siciliano il giovane Ferdinando di Savoia-Genova, quest’ultimo dovette rinunciare al trono perché impegnato con l’esercito sabaudo nella prima guerra d’indipendenza contro l’Austria.
In aggiunta a questo, vi fu l’istituzione da parte dei ceti dirigenti facenti a capo per esempio alla borghesia come anche a talune famiglie nobili dell’isola della cosiddetta Guardia Nazionale, un vero e proprio corpo di polizia indirizzato a contenere, se non propriamente a reprimere, possibili tumulti dei comitati popolari.
Il malcontento delle classi popolari e la repressione borbonica
Ben presto non tardarono a rivelarsi dei problemi concernenti lo stesso ordine pubblico, quando la classe dirigente non fu in grado di arginare il nuovo malcontento delle classi popolari stesse, venendosi a creare di conseguenza una situazione di caos nelle campagne siciliane del quale Ferdinando II approfittò per riprendersi l’isola.
Quest’ultimo, dopo essere riuscito già nel settembre del 1848 a riprendere la città di Messina con assedio che durò mesi e dove non si fece il minimo scrupolo di attuare un indiscriminato bombardamento contro la stessa città, come del resto ad attuare una sanguinosa repressione degli insorti per mezzo del proprio esercito mostrando una ferocia inaudita anche contro civili, attuò una campagna militare per la riconquista totale dell’isola che iniziò nei primi mesi del 1849 e dove l’esercito costituzionale siciliano guidato dal generale polacco Ludwik Adam Mierosławski non fu in grado di opporsi al contingente militare duosiciliano comandato dal generale Carlo Filangieri, che riuscì in pochi mesi a riprendere il controllo dell’isola fino alla riconquista di Palermo avvenuta il 15 maggio 1849, dopo che peraltro lo stesso Ferdinando II aveva concesso un’amnistia ai rivoltosi, dalla quale vennero esclusi importanti personaggi della precedente vita politica dell’oramai ex Regno di Sicilia, come Ruggero Settimo, presidente del comitato insurrezionale, nonché i personaggi già precedentemente menzionati come gli stessi Crispi e Perez, costretti a lasciare l’isola.
Nonostante la breve durata di tale entità statale gli avvenimenti del 1848 in Sicilia di fatto dimostrarono ancora una volta l’insofferenza isolana nei confronti del potere centrale borbonico e, segnarono la frattura definitiva tra l’isola e Napoli oltre che l’inizio vero e proprio della crisi del Regno che vedrà la sua fine con lo sbarco dei Mille di Garibaldi a Marsala 11 anni più tardi.