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Ebbene sì, è successo di nuovo, per l’ennesima volta nella sua storia la Magica perde per strada un obiettivo fondamentale, questa volta è l’entrata in Champions League. I playoff per il calcio italiano non sono mai stati semplici, potremmo definirli “maledetti”, ma la Roma ieri ha fatto ogni cosa in suo potere per decimare la sue forze e regalare la qualificazione alla squadra lusitana. Dopo il buon pari dell’andata ad Oporto, la tattica da adottare era quella di attendere e ripartire, senza rischi, ma è stato evidente fin da subito che i giallorossi una volta scesi in campo non avevano le idee chiare, probabilmente nessun piano di difesa o attacco.
Il primo grande errore nell’approccio va imputato proprio a Spalletti, reo di aver arretrato De Rossi a difensore centrale in sostituzione di Vermaelen squalificato. Questa scelta è stata la fautrice di uno squilibrio tattico e psicologico notevole nell’economia della squadra, si era già visto in passato un De Rossi in veste difensiva, e i risultati non erano mai stati confortevoli, martedì sera se ne è avuta la riprova. Fomentato forse dai complimenti della scorsa partita con l’Udinese ma atterrito dalla possibile entrata in rosa di uno dei migliori centrocampisti in circolazione Borja Valero (l’acquisto sembra più vicino che mai), ieri sera capitan Futuro è andato in totale confusione, tornando ad essere un macellaio di prima categoria, “spezzando” letteralmente con la sua espulsione l’equilibrio in campo e quasi la gamba di Pereira al 40’.
Dopo questa performance c’è da chiedersi quanto il suo contributo sia rilevante per il club, il suo atteggiamento sconsiderato sembra essere la riconferma di quanto appurato in passato, figlio di una sua terribile incostanza a livello professionale, e presenza la sua, oramai deleteria nell’ambiente romanista. Prova pessima anche per Juan Jesus, che tra lo scetticismo generale era sbarcato un mese fa a Trigoria, volendo farsi da subito salvatore della patria: “Sono qui per aiutare la squadra a conquistare gli obiettivi, il primo è il preliminare di Champions – dice il brasiliano – Prima ero giovane, ora a 25 anni devo dimostrare il mio valore. Subito dopo ha aggiunto: Non siamo macchine, sbagliamo anche noi, ma è chiaro che è arrivato il momento per me di farlo sempre di meno. Ho forza e voglia, devo migliorare nel tenere la linea“. Parole che non hanno avuto fondamento nella sua prima partita di peso, prestazione opaca e a tratti disastrosa, come l’attardata marcatura sul primo gol del Porto.
Dzeko rimane oramai un manichino lì davanti, attaccante senza spina dorsale e senza qualità. Gli unici elementi di caratura e sempre presenti sono stati Strootman e Nianggolan, non solo nei 90’ ma anche nel post partita, delusi ma rabbiosi di riscatto. Partita gestita malamente da Spalletti, sia prima che in corso d’opera, volendo agguantare una vittoria con aperture mal organizzate, anziché attendere e ripartire, come nella miglior tradizione italiana.
Le tre reti subite ieri sera non sono però un caso isolato, la Roma infatti deve fare i conti con una costante che prosegue da ormai un decennio, la sua inconsistenza nei match che contano. Come a dire: quando il gioco si fa duro, la Roma esce di scena.
Per comprendere la parabola negativa giallorossa e come tutto ciò influisca oggi nella resa del club, bisogna tornare indietro di alcuni anni, precisamente nell’era post scudetto. La Champions League 2004/2005 è da ricordare tristemente come tra le peggiori rassegne europee, di fatto la Roma in ben 6 partite guadagna un solo punto nella fase a gironi, i suoi avversari (Bayer Leverkusen, Real Madrid e Dinamo Kiev) non le lasciano via di scampo, i giallorossi mettono a segno la miseria di 4 reti e ne subiscono addirittura 16. Un tabellino sconfortante. In quel periodo fu complice senza dubbio il valzer in panchina dei vari allenatori: Voller, Del Neri e Bruno Conti. Senza un’identità e con tanta confusione nello spogliatoio e ancor prima nella dirigenza quella Roma esce meritatamente dalla Champions League.
Passano due anni, ma la storia, seppur diversa nella sua costituzione è uguale nel finale. La squadra capitolina affronta i Red Devils di Ferguson agli ottavi, sconfitti all’Olimpico all’andata, ora cercano la vittoria proprio in casa loro, all’Old Trafford. In quella terribile serata, non solo il Manchester United vincerà lo scontro, ma umilierà i giallorossi con un 7-1 senza attenuanti. Il solo gol romanista sarà siglato proprio da De Rossi, all’epoca un calciatore di tutt’altro livello. Nella stagione successiva è il modestissimo Cluj ad eliminare la Roma, gol iniziale di Panucci ma doppietta inaspettata dell’argentino Culio, la Magica è ancora una volta fuori dal torneo.
E’ l’annata 2010/2011, la Roma dopo un buon girone approda nuovamente agli ottavi di finale, stavolta sono gli ucraini dello Shaktar l’avversario da battere, sulla carta forse i più semplici, sul campo però si dimostrano decisamente più forti. Dopo il 3-2 dell’andata in sfavore dei capitolini, all’Arena Donbass la Roma ci prova, ma si scioglie nel nervosismo e nella confusione ancora una volta, il risultato finale è 3-0 per lo Shaktar.
La sconfitta di ieri con il Porto era già successa in fac simile con lo Slovan Bratislava nel 2011/2012 per le qualificazioni in EL. Squadra mediocre e per nulla pericolosa quella slava, sembrerebbe tutto facile, ma non è così. Il Mister del momento è Luis Enrique, sembra la novità in panchina, ma sul rettangolo verde la musica non cambia, la Roma perde prima a Pasienky e poi pareggia all’Olimpico, è un’altra pessima figura per il nostro calcio.
Arriviamo dunque all’annata 2014/2015, ai gironi la Roma fa un esordio promettente, sconfigge 5-1 il CSKA e pareggia contro il Manchester City 1-1 affronta perciò sicura di sé la corazzata Bayern di Pep Guardiola. Inutile dire che ogni buona premessa cessa nel giro di pochi minuti, ancora una volta la Roma si scioglie come neve al sole, ed esattamente 7 anni dopo la disfatta di Manchester, la storia si ripete, stavolta all’Olimpico. Davanti ai suoi tifosi, la squadra di Garcia subisce un altro 7-1 pesante, risultato che avrà poi ripercussioni per tutto il campionato in corso. In quell’anno gli uomini di Garcia si fermeranno ancora agli ottavi in Europa League, sbattuti fuori da un’altra squadra italiana, la Fiorentina, prova fantasma per i giallorossi, inesistenti per tutti i 90’.
L’ultima disfatta capitolina è della precedente stagione, questa volta gli avversari sono i temibili blaugrana, troppo forti e troppo affamati per essere “morbidi” con una squadra timorosa come la Roma. Il risultato finale è ancora una volta imbarazzante, 6-1.
In questi anni i giallorossi hanno perso più di qualche occasione entro i confini nazionali, venendo sconfitti in coppa Italia e perdendo all’ultima giornata lo scudetto due volte nell’era vincente dell’Inter (2006-2010). In entrambi i casi furono le zampate di Ibrahimovic prima e di Milito poi a negare il tricolore alla squadra giallorossa.
Sebbene in questi casi si possa parlare di semplice casualità, tralasciando la sconfitta inaspettata a poche giornate dal termine contro la Sampdoria di Cassano e Pazzini nell’annata 2009/2010, che ne decretò lo svantaggio decisivo nei confronti dell’Inter di Mou, è senz’altro diverso il discorso europeo sul quale si deve aprire una breve riflessione. Come appurato in questo contributo, le diverse sconfitte e delusioni si sono susseguite quasi senza sosta per oltre un decennio, pessime figure e prestazioni sempre opache e a tratti desolanti. La Roma ha spesso dimostrato poca incisività nei momenti critici, sempre bloccata emotivamente non è quasi mai riuscita a levarsi di dosso una paura inconscia costruita da fantasmi del passato e poca professionalità.
L’organico romanista, seppur medio-alto nel corso di questi ultimi 15 anni, non è mai più riuscito a fare quel salto qualitativo che tutti si attendevano, complice non solo le ripetute figure che andavano a minare sempre più l’identità della squadra ma ancor di più una società sempre meno presente. Dopo il cambio societario dalla famiglia Sensi a quella americana con Pallotta come presidente, il tutto è definitivamente crollato, se prima si era di fronte ad una squadra si titubante ma sempre volenterosa di migliorare e lottare ad ogni costo, dopo l’arrivo del marchio USA, le statistiche confermano lo stato di forma orribile in campo europeo, con una Roma sempre più allo sbando nonostante i vari cambi in panchina, per lo più mai azzeccati.
Qualche numero rende più chiara la situazione attuale: tra Champions ed Europa League, in questi anni la Roma ha giocato 22 partite, trionfando in appena 3 occasioni (contro CSKA Mosca e Leverkusen all’Olimpico e Feyenoord in trasferta) e perdendone 10. Il resto solo pareggi. Portando il tutto sulle marcature (fatte e subite) i dati sono sconfortanti 46 (più di 2 a partita) in negativo, quelle messe a segno solo 25. Le umiliazioni, come i cambi in panchina e di staff, non hanno cambiato faccia ad una squadra oramai priva di energia. Il team di Spalletti in questo inizio di campionato sembra senza forze, scarica, e ancora una volta delusa ed arrabbiata per l’ennesima occasione mancata.
Il denominatore comune di queste disfatte si può ridurre a due aspetti ricorrenti: uno storico, l’altro tattico (inteso come scelta di elementi). I giallorossi non hanno mai raggiunto nella loro storia traguardi importanti attraverso percorsi altrettanto rilevanti, escludendo i due periodi “d’oro” ossia quelli targati Falcao e Capello, le squadre che li hanno preceduti e succeduti non hanno saputo riconfermarsi, e questa rimane un’evidenza oltremodo chiarificatrice. La Roma non ha una mentalità vincente per natura, la storia del club lo racconta a caratteri cubitali.
Perché? Le società che sono subentrate hanno spesso sbagliato acquisti, dentro e fuori dal campo, si sono sempre “accontentate” e quella di Pallotta ne è un esempio lapalissiano. Mai come oggi la dirigenza giallorossa è più propensa ad indirizzare gli sforzi al profitto che alla squadra e ai rinforzi necessari, le ultime mosse di mercato la dicono lunga (Pjanic e Benatia). Nessuna dirigenza del passato è mai stata così assente in toto come quella odierna, il presidente sempre troppo lontano e sempre eccessivamente disinteressato dei risultati, tranne di quelli europei nelle battute iniziali (perché dietro vi è sempre l’interesse economico). La situazione Garcia è stata di fronte agli occhi di tutti per oltre un anno, una squadra senza mordente e priva di personalità, un modello di gioco allo sbando e tanti troppi rimandi prima del sollevamento dell’incarico.
Errori pesanti, gravosi per un club già messo alle corde sotto altri aspetti. Allenatori sbagliati per tradizione calcistica o per poca professionalità e/o capacità. Tecnici in tutto e per tutto in linea con l’identità scarna della squadra. Senza un mercato oculato e senza un tecnico vincente la disfatta è dietro l’angolo. La squadra capitolina non ha mai “avviato” un periodo vincente nemmeno entro i confini italiani, difficilmente si può pensare possa competere in Europa. La mentalità vincente la si costruisce nel proprio campionato, ma come accade in serie A da ormai 15 anni, anche in Champions continua a fallire l’obiettivo. Sono due facce della stessa medaglia. La Roma è un eterna incompiuta.
Federico Camarin