Le elezioni generali sono alle porte: domenica 20 dicembre gli spagnoli voteranno per rinnovare il Congresso dei Deputati e i quattro quinti del Senato e per capire chi sarà il prossimo Presidente del Governo di Madrid.
Si tratta sicuramente delle votazioni più incerte, più combattute e innovative degli ultimi trent’anni, con una sola certezza, o quasi: sanciranno la fine del ferreo bipartitismo che ha visto alternarsi al governo del Paese esclusivamente il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE, governi Gonzalez e Zapatero) e il Partito Popolare (PP, governi Aznar e Rajoy).

In linea con quanto sta accadendo nel resto d’Europa, questi due partiti storicamente maggioritari sono usciti logorati dalla grande crisi economica iniziata nel 2008. Il premier Zapatero, dimessosi anticipatamente sul finire del 2011, dopo aver varato le manovre lacrime e sangue e richieste dall’Unione Europea e dal FMI, lasciò il posto all’attuale presidente Mariano Rajoy, un conservatore anch’egli fedele alla linea economica di austerity intrapresa e che, a suo dire, ha permesso alla Spagna di uscire dalla crisi dopo essere stata di fatto quasi commissariata. In realtà, se i dati macroeconomici fanno intravedere una crescita del PIL e una generale tenuta del sistema produttivo, la disoccupazione si mantiene a livelli altissimi, così come l’emigrazione, in particolare giovanile.
Inoltre, placatasi la protesta di piazza che ebbe il suo culmine nel fenomeno degli Indignados, il governo di Madrid ha dovuto affrontare nuovi problemi come il rinato indipendentismo catalano, con momenti di tensione dopo le elezioni regionali in cui le forze nazionaliste hanno avuto la maggioranza relativa (e assoluta per quanto riguarda i seggi) e l’annunciato inizio del processo d’indipendenza, finché il mese scorso la Corte di Madrid non lo ha bloccato, mettendo poi a nudo le divergenze del fronte indipendentista che adesso deve provare a riorganizzare la propria strategia.

A contendersi l’80% e oltre dei consensi, saranno quattro partiti: i già citati PP e PSOE, guidati rispettivamente dal premier Rajoy e dal segretario Pedro Sanchez, Podemos di Pablo Iglesias e Ciudadanos di Albert Rivera. Rimangono sullo sfondo le altre forze, da Sinistra Unita (Izquierda Unida, tradizionale terza forza, ma ultimamente molto indebolita) ai centristi di Unione Progresso e Democrazia e alla galassia dei partiti regionalisti e nazionalisti della Catalogna, dei Paesi Baschi, della Galizia e delle Isole Canarie.
Le vere novità di questa tornata elettorale sono, come si già si sa, Podemos e Ciudadanos. Il primo può essere qualificato come l’erede partitico degli Indignados, un movimento anti-sistema spostato maggiormente a sinistra e che alle ultime elezioni europee ha preso l’8%. Il secondo si propone anch’esso come un partito nuovo e in forte polemica con la “casta” e i partiti tradizionali, ma a differenza di Podemos è d’ispirazione liberale, europeista e favorevole al libero mercato.

Ciudadanos esiste già da vari anni, inizialmente solo come partito regionale con base in Catalogna ma alle ultime elezioni europee si è imposto sulla scena nazionale ottenendo poco più del 3% ed eleggendo 2 europarlamentari. Il suo segretario, Albert Rivera, è considerato il vero astro nascente della politica spagnola e il protagonista di queste elezioni. Se Pablo Iglesias, perlomeno fino a qualche mese fa (cioè fino alla capitolazione del governo Tsipras di fronte alle richieste della Troika) era visto come il populista pericoloso per lo status quo, Rivera è diventato per certi versi sia l’anti-Iglesias sia l’Iglesias spostato più a destra, critico verso la politica tradizionale ma rassicurante per i grandi gruppi bancari e finanziari, per via del suo programma nettamente liberista, favorevole alle privatizzazioni e a una riforma dell’Unione Europea.
Dunque il volto giovanile e pulito di Rivera nasconde le politiche che per esempio in Italia sono state attuate dai governi Monti, Letta e Renzi. Negli ultimi mesi, sostenuto anche dalla grancassa mediatica entusiasta all’idea di direzionare il malcontento verso un partito apparentemente nuovo ma assolutamente meno imprevedibile di un Podemos o di una Izquierda Unida, Ciudadanos ha vissuto una grandissima ascesa arrivando a diventare nei sondaggi il quarto o terzo partito.

A questo punto si nota come il bipartitismo sia definitivamente tramontato anche in Spagna. Secondo quasi tutti i sondaggi, al primo posto vi è ancora il PP, ma con consensi che non vanno quasi mai oltre il 25% (lontanissimo dal 44% ottenuto nel 2011), dietro invece ci sono il PSOE, confuso e in discesa, intorno al 20-23%, nonostante il suo leader Sanchez fosse visto come un personaggio giovanile, capace di rinnovare il partito e di condurlo a una vittoria, e poi Podemos e Ciudadanos, entrambi tra il 15% e il 20%. Entrambi i partiti porterebbero per la prima volta nelle Cortes un numero consistente di rappresentanti, diventando l’ago della bilancia per la formazione del nuovo governo.

Infatti appare chiaro a tutti che nessun partito otterrà la maggioranza assoluta; a quel punto sarebbe inevitabile stringere alleanze, di uno dei due partiti storici con Podemos o Ciudadanos (più probabile la formula PP-Ciudadanos per un governo di centrodestra, mentre PSOE-Podemos sarebbe l’ipotesi per il centrosinistra) oppure tra il PP e il PSOE, cioè la classica grande coalizione o governo di larghe intese che ormai spopola in Europa ma che finora in Spagna non ha mai visto la luce.

Anche questo sarebbe un secondo grave colpo per la politica spagnola, dopo la fine del bipartitismo: l’alternanza tra popolari e socialisti era stata finora gelosamente custodita, complice il fatto che i due partiti derivano da due tradizioni ideologiche fieramente in competizione. Tuttavia, a meno che non si voglia guardare solo al tema dei diritti civili (aborto, unioni omosessuali, integrazione degli immigrati) questa differenza ideologica è venuta meno, e non da oggi, su tutto il resto, e i due partiti sono esecutori di identiche politiche in campo economico e sociale, nonché in politica estera ed europea. In questa crisi si sono fatti largo Podemos e Ciudadanos.
Podemos, dopo aver subito un periodo di appannamento, è in ripresa e potrebbe posizionarsi come terzo partito, insidiando il PSOE. Iglesias, però, strada facendo ha notevolmente annacquato le idee del partito, dai cui slogan elettorali sono praticamente spariti i punti più radicali del programma come la nazionalizzazione delle banche e delle grandi industrie strategiche e l’uscita dalla NATO. Non bisogna infatti credere come molti fanno che Podemos sia un partito esclusivamente “di sinistra”, anche se effettivamente ha preso il posto di Sinistra Unita (la coalizione – in affanno – che comprende il Partito Comunista Spagnolo, guidata da Alberto Garzon), sottraendole molti consensi.

Inoltre c’è da notare come Podemos abbia scontato l’ “effetto” Tsipras, che aveva inizialmente messo in allerta mezza Europa tecnocratica e bancaria per la sua vittoria elettorale, ma poi si è piegato ai diktat rassegnandosi a governare forse per quattro anni come il più “rassicurante” dei socialdemocratici europeisti. Durante le trattative per la Grecia Rajoy (che per tutto il tempo ha cercato di delegittimare e indebolire il governo SYRIZA) aveva proprio accusato Podemos di voler far finire la Spagna come la Grecia, mentre Iglesias volava ad Atene a portare solidarietà e sostegno a Tsipras. Adesso però Podemos non rappresenta più una minaccia tanto esistenziale, per quanto comunque i cultori dell’euro e del libero mercato a tutti costi siano stati ben felici di vedergli contrapporre, tra le nuove proposte politiche, Ciudadanos di Albert Rivera che infatti sta attraendo consensi da chi era troppo preoccupato dal presunto estremismo di Podemos.

Dunque Rivera, forte della sua immagine di rottamatore alla Matteo Renzi e con le idee economiche bocconiane di un Mario Monti, adesso potrebbe avere nelle mani le sorti del governo, che dovrà uscire dalle urne di domenica, potendo o no allearsi con il PP per consentire a Rajoy di continuare a governare visto che, finora, tutti gli interessati hanno smentito ripetutamente la possibilità di una grande coalizione. Quel che è certo è che il numero di indecisi a pochi giorni dal voto è ancora molto alto e i partiti dovranno lavorare fino all’ultimo per cercare di ottenere seggi determinanti per le trattative di governo o per essere più influenti nel fare opposizione.

Giulio Zotta