
Lo scorso 15 giugno, l’Agcom, l’autorità garante per le comunicazioni, aveva reso note le sue stime riguardo lo spazio concesso dalla tv pubblica alle varie voci dei due fronti contrapposti del referendum costituzionale dell’ottobre prossimo.
Il risultato delle rilevazioni svolte nel periodo tra il 20 aprile e il 6 giugno 2016 si è dimostrato più che mai inquietante: nei 47 giorni presi in analisi il premier Renzi, la ministra Maria Elena Boschi e Giorgio Napolitano hanno da soli occupato il 40% dell’intero “tempo di parola” per la campagna a favore del “si” al referendum.
Pochissimo spazio invece ai sostenitori del “no”, tanto che sono state riservate le briciole agli esperti, costituzionalisti e politologi contrari alla riforma Renzi-Boschi. Per fare degli esempi, Alessandro Pace, presidente del Comitato per il No, ha totalizzato appena 1 minuto e 19 secondi di spazio nei telegiornali Rai mentre il costituzionalista Valerio Onida ha totalizzato 7 minuti e 50 secondi. Di fronte a tale squilibrio dell’informazione, il fronte del “no” si sta mobilitando e “Possibile”, il movimento politico fondato da Pippo Civati, attraverso il “Comitato Partigiana Kira – Est-Veronese Possibile” ha dato voce martedì sera a San Bonifacio (VR) ad uno dei più illustri politologi italiani, il Professor Gianfranco Pasquino. Pasquino è Professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna e vanta esperienze accademiche presso le Università di Firenze, Harvard, della California e di Washington, nonché numerose pubblicazioni scientifiche. Il dibattito – “Cinque costituzionali motivi (e anche di più) per votare no” – moderato da Andrea Pedrollo e Andrea Braga, entrambi giovani iscritti a Possibile, ha sollevato importanti spunti di riflessione riguardo una riforma che a detta di Pasquino è più una deformazione costituzionale.
Il dibattito si è sviluppato a partire da alcune considerazioni storiche e il Professore ha innanzitutto sottolineato come la Costituzione sia, più che un documento giuridico, “una visione e un documento storico-politico” e da lì ha sfatato alcuni luoghi comuni poco veritieri riguardo la nostra Carta. La Costituzione in primis non è un documento “buonista” né di “protesta” bensì di “proposta” perché va a delineare diritti e doveri dei cittadini. Non fu poi “unanimista” nella sua redazione. Anzi, ci furono scontri e divergenze all’interno dell’Assemblea Costituente come ad esempio sulla volontà di inserire nella Carta la legge elettorale proporzionale (alla fine rimasta esterna) e sul bicameralismo, oggetto dell’odierno dibattito, che nel ’46 vedeva i comunisti compatti sull’idea di un’unica camera e invece i democristiani, che temevano la deriva a sinistra, convinti della necessità di due camere. L’idea di fondo era comunque quella di garantire il più possibile la rappresentatività del corpo elettorale, che invece secondo il professore appare oggi messa in pericolo dai nuovi, presunti riformatori.
La nostra costituzione poi, ha sottolineato Pasquino, non è tanto giovane come la si è sempre pensata. E’ infatti di un anno più vecchia di quella tedesca e la costituzione francese della Quinta Repubblica risale al 1958. La nostra costituzione è poi molto più datata di altre Carte europee come quelle della Spagna, del Portogallo e della Grecia che le ottennero solo negli anni ’70. Infine, la costituzione italiana non pretende nemmeno di essere la più bella, a scanso dei vecchi tessitori di lodi come Roberto Benigni che ha incoerentemente cambiato idea e ha deciso che voterà “si”.
Dopo queste iniziali precisazioni, di fronte ad un pubblico molto attento, Pasquino si è concentrato nel merito della riforma “renzianboschiana”, in particolare su uno dei punti più controversi, quello del nuovo Senato e dei futuri senatori. Va detto in primis, come sottolinea il Professore, che il bicameralismo italiano è un bicameralismo indifferenziato o paritario (nel senso che le camere hanno le medesime attribuzioni), ma non perfetto. La “perfezione” si riferisce di fatto al funzionamento delle Camere e nella storia del parlamento non c’è mai stato un funzionamento che si potesse dire perfetto. Non avrebbe tra l’altro alcun senso, ha fatto notare il politologo, andare a riformare qualcosa che si dice essere “perfetta”. Come detto, il grande problema del Senato riformato, o per meglio dire “deformato”, come sostenuto da Pasquino, è la selezione dei suoi 100 membri. Selezione la quale non si sa ancora come avverrà, ma quel che è certo è che i nuovi senatori saranno nominati in un numero di 74 tra la classe dirigente alle cronache più screditata e corrotta, quella dei consiglieri regionali e poi 21 tra i sindaci.
C’è il rischio dunque che quella che Renzi definisce come futura “Camera delle Autonomie” diventi un luogo di espressione più di localismi che altro, e che nel tentativo di ridurre i costi della politica si riducano anche la possibilità degli elettori di essere rappresentati. Oltre all’incognita della nomina/designazione, c’è il problema riguardante le attribuzioni del Senato: “Quello che è preoccupante, sostiene Gianfranco Pasquino, è che il Senato si occuperà della politica europea, come si può pensare che i consiglieri regionali siano preparati sulla politica europea, soprattutto in questa fase drammatica?” e poi “la politica europea deve essere decisa da un governo e non da un’assemblea di secondo ordine.” Un altro problema rilevato da Pasquino è l’elezione da parte del Senato dei giudici della Corte costituzionale, a suo avviso, “una stupidaggine assoluta, per cui cento persone non elette eleggono due giudici costituzionali, mentre seicento trenta elette alla camera ne eleggono tre”. Insomma per il politologo si tratta di una riforma “pasticciata per quel che riguarda la composizione e confusa per quel che riguarda le materie perché il Senato ha delle materie specifiche ma potrà anche richiamare le leggi della camera e sul richiamo la Camera forse voterà in materia decisiva, e il Senato potrà a quel punto rivolgersi alla Corte costituzionale”.
Una riforma dunque che non semplifica e che anzi andrà a creare molto più caos. Pasquino ha contestato anche la nomina di cinque senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica. A suo dire, una degna riforma del Senato avrebbe dovuto prevedere infatti l’eliminazione della carica di senatore a vita. Il Professore ha fatto notare come in questi anni siano stati nominati senatori a vita persone totalmente estranee ai requisiti previsti dalla costituzione per tale carica. La Costituzione dice infatti che i senatori a vita possono essere nominati esclusivamente per meriti “nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Quali meriti dunque, si è domandato Pasquino, hanno spinto Cossiga a nominare a suo tempo Giulio Andreotti?
Il politologo però non si è fermato qui. Da anni si sente parlare della necessità di velocizzare il processo legislativo per far sì che il parlamento promuova più leggi e più rapidamente. Pasquino a tal proposito ha sostenuto che la scusa della rapidità o lentezza del processo legislativo non è una giustificazione per una riforma della costituzione, almeno nel caso italiano. Secondo infatti una sua analisi, “il bicameralismo italiano ha prodotto regolarmente più leggi del bicameralismo differenziato tedesco, del bicameralismo francese, del bicameralismo inglese, e persino del bicameralismo degli Stati Uniti” e ha continuato affermando che “mediamente le leggi approvate dal bicameralismo indifferenziato italiano vengono approvate in quindici giorni in meno rispetto alla media delle leggi degli altri paesi bicamerali”. Esempi di leggi velocissime in Italia quindi non mancano, basti pensare al “Salva-Italia” di Monti, approvato in 8 giorni, e il “Lodo Alfano” promosso da Berlusconi, approvato in 20 giorni.
Infine, il Professore emerito si è concentrato sull’Italicum, la nuova legge elettorale. Una legge, prima di tutto, che assegna un premio di maggioranza inusitato, consentendo al partito vincitore al ballottaggio di ottenere, senza la necessità di una soglia minima di voti, 340 dei 630 seggi disponibili alla Camera. L’operazione potrebbe dare sì governabilità ma a scapito della reale espressione elettorale dei cittadini, determinando una composizione del parlamento non rappresentativa degli elettori. L’altra importante critica che Pasquino muove all’Italicum riguarda la questione dei capilista bloccati. Su questo è stato chiaro: “Quando sento la giuliva ministra Boschi spiegarmi che i capilista bloccati sono i rappresentati di collegio rabbrividisco perché la rappresentanza politica in democrazia esiste solo se c’è un’elezione libera, la nomina non è rappresentanza politica”. Ma perché dunque i capilista bloccati? Semplice, perché è l’unico modo per far rieleggere il compagno di governo Alfano, anche grazie la soglia di sbarramento al 3%.
A margine, Pasquino inoltre ha criticato fortemente l’atteggiamento del premier Renzi che ha trasformato il referendum costituzionale in un plebiscito indetto dal governo. Per costituzione non è il governo che concede magnanimamente le consultazioni referendarie ma solo un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali possono far richiesta di referendum costituzionale.
Perché dunque una tale riforma che appare non necessaria? Il politologo non ha usato mezzi termini affermando che “la riforma porta tutti gli elementi che Berlusconi voleva” e che “nasce in maniera assolutamente episodica e contingente”. Pasquino a tal proposito ha fatto riferimento alla crisi dopo la tornata elettorale della primavera del 2013: se si fosse trovato un accordo di governo, sicuramente non ci sarebbe stata successivamente la volontà di fare una riforma delle istituzioni.
In conclusione, Renzi, nell’opinione del politologo, non avrebbe dovuto porre la consultazione referendaria sul piano della conferma a se stesso ricattando il paese, minacciando in caso di fallimento del referendum la peggiore delle crisi e in chiusura il politologo ha sostenuto: “Se voi pensate davvero che l’unica persona in grado di fare il presidente del consiglio in questo paese sia Matteo Renzi avete voi un problema, ma forse ce l’ha di più il paese.”