La migliore strategia consiste nell’essere sempre assai forti anzitutto in generale, poi sul punto decisivo […] non esiste legge più imperiosa e più semplice, in strategia, che quella di tenere riunite le proprie forze. Nulla dev’essere distaccato dalla massa principale, tranne in caso di scopi urgenti.
(Von Clausewitz – Della Guerra)
L’enunciato di Clausewitz, secondo il quale è combattendo al centro del proprio potere che i grandi imperi (quale quello sovietico) danno il meglio di sé, e che tali imperi non si lascino sconfiggere, era ancora valido al tempo di Hitler, come lo era stato in quello di Napoleone o di Carlo XII.
«A nordovest di Stalingrado le avanguardie russe attaccarono lungo le sponde del Don, raggiungendo Kalac e la linea ferroviaria proveniente dal bacino del Donec. A sudest di Stalingrado i denti della branca sinistra si misero in movimento verso ovest puntando sulla linea ferroviaria diretta verso Tichoreck e il Mar Nero. Dopo aver interrotto la linea ferroviaria, queste forze proseguirono la loro marcia verso Kalac, ed entro il 23 completarono l’accerchiamento. Nel giro di pochi giorni l’anello fu poi definitivamente saldato e consolidato, chiudendo nella morsa la Sesta armata e un corpo della Quarta armata corazzata. Con questa fulminea mossa che aveva richiesto non più di qualche giorno i russi avevano rovesciato l’andamento della battaglia sul piano strategico, conservando tutto il vantaggio tattico connesso al fatto di restare sulla difensiva1: il duplice obiettivo che spesso l’approccio indiretto permette di conseguire. I tedeschi infatti non avevano ormai altra alternativa che quella di continuare a combattere: per spezzare non più le difese di Stalingrado, bensì l’anello stretto dai russi alle loro spalle.
Ma gli sforzi per tornare indietro si rivelarono ben presto altrettanto infruttuosi di tutti quelli compiuti in precedenza per andare avanti.»2
Gli errori di Hitler si aggiunsero al’oggettiva inferiorità tedesca sia nel campo delle risorse (avevano meno uomini, meno mezzi, minori capacità industriali) che relativamente al teatro delle operazioni, di cui avevano solo una conoscenza parziale, maturata a causa degli ulteriori errori commessi nell’anno precedente. La Russia, infatti, è sia larga che profonda. Mentre il primo elemento favorisce gli attaccanti, a patto che siano dotati di maggiore mobilità, la seconda rende di fatto vano o comunque non decisivo non solo ogni risultato tattico, ma pure la gran parte di quelli strategici, semplicemente perché, per ogni pezzo di terra conquistata ce n’èun altro grande il triplo che si trova ancora più avanti. Ancora più avanti vuol dire: altre perdite materiali, di uomini, di morale. L’ossessione di Hitler per Stalingrado tolse ai tedeschi gli unici vantaggi conferiti loro dall’attacco, vale a dire la possibilità di sfruttare la larghezza del territorio per effettuare ampie manovre aggiranti ai danni del nemico, che non poteva prevenirle, perché lo spazio a disposizione, e quindi le direzioni possibili, erano praticamente infinite. Questo a patto però di scegliere obiettivi non troppo ovvi. Quando Hitler puntò prima su Mosca, poi su Stalingrado, rinunciò alla sorpresa. E quando poi si ostinò a conquistare prima, a difendere poi, le posizioni di Stalingrado, perse anche il vantaggio della mobilità. Con il che, l’avversario, più numeroso in termini assoluti, ebbe buon gioco anche a raggiungere la superiorità relativa, dato che il nemico adesso era fermo, per così dire, coi denti serrati attorno a un osso che in realtà era una montagna. A quel punto, la larghezza del fronte si tramutò in uno svantaggio per i tedeschi e in un vantaggio per i russi, che poterono così circondare le forze dell’Asse impegnate a Stalingrado, e poterono anche respingere i soccorsi guidati da Von Manstein, inviati nel disperato tentativo di salvare i compagni intrappolati nella sacca.
La Battaglia di Stalingrado (estate del 1942 – 2 febbraio del 1943) segna il punto di svolta decisivo della Campagna di Russia, l’esempio più plateale del fallimento di Hitler. Essa coinvolse, nel complesso, 3,3 milioni di soldati e poco più di 5000 carri armati. Le forze di fanteria russe erano leggermente superiori a quelle dell’Asse (1,8 milioni vs 1,5) ma il numero di carri armati sovietici era più che doppio (3500 vs 1500). Le perdite dell’Asse, al termine della battaglia, ammontavano a oltre un milione, e i carri persi a circa 1100. I sovietici persero «appena» 480 mila uomini, ma più di 2900 carri armati e otre 700 aerei.
«Con grande abilità tattica e sfruttando al massimo le sue esigue forze corazzate, Manstein riuscì ad affondare un profondo cuneo nelle posizioni di copertura russe. Ma si trattava di un’azione troppo improvvisata, e i russi non ebbero difficoltà a bloccare le forze di Mantein assai prima che potessero ricongiungersi con quelle di Paulus e a risospingerle indietro gradualmente con una continua pressione laterale. Con il fallimento di questo tentativo caddero le residue speranze di portare aiuto a Paulus, dato che il comando tedesco non aveva riserve sufficienti per organizzare un nuovo attacco. […]
L’andamento della controffensiva russa era stato determinato soprattutto dall’estrema cura con cui il generale Zukov aveva scelto i punti d’attacco.»3
Zukov aveva compreso perfettamente la natura del contrattacco e i suoi vantaggi rispetto a un semplice attacco persistente. Un contrattacco non è altro che una molla compressa, che quindi si scatena con una forza pari a quella usata per comprimerla. In guerra ciò si traduce in questo modo: quanto più l’attaccante persiste nel colpire i medesimi punti e a logorare le proprie forze, tanto più carica questa molla, che i difensori aiutano a comprimersi radunando le forze in un punto concentrato, pronte a essere utilizzate. Il fallimento della presa di Mosca, nel ’41, permise la grande controffensiva di quello stesso anno. Non fu sufficiente a distruggere i tedeschi; tuttavia, nel ’42 l’Asse in Russia era molto più debole, inoltre aveva forze disperse per migliaia di chilometri, e la persistenza nel voler prendere Stalingrado impedì loro di bloccare i tentativi di aggiramento operati dai russi. Questo caricò una molla che si scatenò contro un attaccante molto meno forte rispetto all’inizio dell’Operazione Barbarossa.
La guerra non finì con Stalingrado: i sovietici osarono troppo, e ci furono quindi dei contrattacchi tedeschi di grande potenza. Ma ormai i tedeschi non potevano che reagire, non avendo più le forze per offensive di carattere generale, o per aprire nuovi fronti altrove, com’era stato nel ’41.
Mosca fu l’inizio della fine dell’espansionismo tedesco; Stalingrado sancì l’inizio di una nuova fase, che si concluse a Berlino nel ’45.
Massimiliano Greco
1N.d.a. Lo stesso vantaggio che si creò Giulio Cesare durante la campagna in Gallia, in particolare durante l’assedio di Alesia, che il grande generale fece cingere da un doppio vallo; quello più esterno per proteggere i romani dall’arrivo di forze esterne preponderanti (in generale o in un punto specifico) permettendo così ai romani di circondare senza rischi l’intera città, i cui abitanti, durante le proprie sortite, si scontravano con l’anello interno. Così i romani potevano tempestivamente spostare le truppe da un punto all’altro delle fortificazioni, in modo da avere sempre la superiorità numerica relativa (cioè in un determinato punto) nonostante i romani fossero appena un sesto dei galli, oltre a poter combattere con un numero così inferiore di uomini, che un attacco normale sarebbe fallito. Infatti, Non si dovrebbe mai attaccare in inferiorità numerica (tranne che nel caso si sia estremamente superiori dal punto di vista qualitativo, fosse solo dal punto di vista della mobilità). La genialità di Cesare sta nel fatto che riuscì proprio nella impresa delle imprese, vale a dire conquistare una città difesa da truppe più numerose, pur essendo attaccato alle spalle da forze nemiche ancora più numerose. Il tutto subendo perdite irrisorie. Zukov e gli altri comandanti sovietici replicarono questo successo.
2Liddel Hart – Storia militare della Seconda Guerra Mondiale.
3Ibidem