
Ultima nata della stirpe “1000 3 cilindri”, la Laverda 1000 RGS è una moto oggi poco ricordata e conosciuta, apprezzata forse più all’Estero che in Italia. Ma andiamo con ordine.
Nel 1981 la carriera della 1000 Jota era ormai sul viale del tramonto, e fu così che in Laverda iniziarono ad pensare a una sua sostituta. Il nuovo modello venne presentato al pubblico al Salone di Milano dello stesso anno e posto in vendita l’anno seguente, nel 1982. Tolte la meccanica e l’impostazione generale, era completamente nuovo. La nuova Laverda, battezzata “1000 RGS” (acronimo di “Real Gran Sport”), uscì dalla matita di Giuseppe Ricciuti, designer abruzzese estroverso e riservato, che definì delle linee molto particolari e personali: lo erano all’epoca e lo sono ancora oggi. Insomma, per farla breve, non piace a tutti, si ama o si odia senza vie di mezzo, come del resto è un po’ nello stile dei modelli della storica Casa di Breganze (VI).
La linea, infatti, è la prima cosa che balza agli occhi di chi osserva la RGS: molto filante, tondeggiante ma spigolosa allo stesso tempo, non si direbbe che questa moto ha quasi 40 anni. Colpiscono il “massiccio” codino asportabile (che cela il posto per il passeggero) e il tappo del serbatoio di tipo automobilistico integrato nel cupolino, collegato al serbatoio tramite una “prolunga” in acciaio. Di tipo automobilistico sono anche il faro anteriore (lo stesso delle varie Fiat 126, 127 e 128, utilizzato anche su molte altre moto italiane del tempo) ed il completissimo quadro strumenti della Veglia Borletti (praticamente identico a quello della Autobianchi A112), che comprendeva tachimetro, contagiri, indicatore livello carburante e persino l’indicatore della temperatura dell’olio motore.
La meccanica, come già accennato, era ripresa pari pari dal vecchio modello: sulla RGS, quindi, si ritrovava il potente tre cilindri in linea da 1000 cc con manovellismo a 120° (quello a 180° delle prime 1000 3C è ormai un lontano ricordo, con il particolarissimo sound tanto odiato dai motociclisti “tradizionali” quanto amato dagli appassionati della Casa di Breganze), frizione a comando idraulico e potenza di 75 CV dichiarati: accoppiato a un cambio a cinque marce e alimentato da una batteria di tre carburatori Dell’Orto PHF da ben 32 mm l’uno con pompetta di ripresa, il possente tre cilindri era in grado di raggiungere una velocità massima dichiarata di 210 km/h; che diventavano 230 km/h se si montava il kit di incremento ufficiale delle prestazioni, che portava la potenza a 85 CV.
La 1000 RGS era dotata di accensione elettronica (che per la verità creava anche qualche grattacapo…), impianto frenante a tre dischi e pneumatici Pirelli Phantom nelle misure di 100/90 – 18 all’anteriore e 120/90 – 18 al posteriore, montati su cerchi in lega. Veniva prodotta in varie versioni: “Base”, “Executive”, “Corsa”, “RGA”, “Jota” e “SFC”. Tra queste, riteniamo che la più particolare sia la Executive (rarissima), votata al turismo sportivo a lungo raggio e dotata di borse laterali perfettamente integrate e di una carenatura leggermente più protettiva. Tutti i modelli RGS rimasero in produzione fino al 1986, anno del fallimento della Casa veneta e della chiusura dello stabilimento di Breganze.
Curiosità: Giuseppe Ricciuti dopo l’esperienza in Laverda passò all’Aprilia, per la quale disegnò la prima RSV 1000 e il primo Scarabeo.
Un’ultima postilla la merita il già accennato manovellismo del motore, davvero molto interessante. Sulla prima serie della 1000 3C (1969), il motore aveva un manovellismo a 180°: tale scelta, ripresa direttamente dalle competizioni, permetteva di ridurre le tipiche vibrazioni dei tre cilindri e di salvaguardare la “vita” dell’albero motore. Il risultato, però, era un “sound” allo scarico non entusiasmante: assomigliava infatti a quello di un quattro cilindri che va a tre, ma per i laverdisti “duri e puri” è vera e propria musica. Tale caratteristica venne così abbandonata con la 1000 Jota (quasi sicuramente con l’intento di ridurre i costi di produzione), con la quale si passò a un più tradizionale manovellismo a 120°: il sound migliorò, ma vennero annullati gli altri accorgimenti meccanici (vibrazioni e albero motore). I 120° vennero mantenuti poi anche sulla 1000 RGS.
Samuele Teodori