Secondo le autorità turche, l’attentato di Ankara è stato portato a termine da appartenenti allo Stato Islamico. Questo dimostra ancora una volta gli effetti devastanti della politica di molte nazioni in Medio Oriente che sostengono militarmente i gruppi islamisti.
I probabili responsabili della strage sono legati ad ambienti provenienti dal califfato Islamico. Ancora una volta l’attenzione vira sulle collusioni, più che dimostrate, tra i vertici del SI e l’apparato militare turco, il così detto “stato profondo” (deep state). Per descrivere in maniera adeguata le ramificazioni e l’influenza di questa componente occulta dello stato turco occorrerebbe un intero libro.
Limitiamoci a dire che il paragone con il cancro piduista vissuto in Italia negli anni della guerra fredda è più che azzeccato. Esattamente come la P2, è composto da figure fortemente nazionaliste, anti-comuniste e soprattutto legati ad ambienti atlantici. Sommariamente possiamo dire che la sua funzione è intervenire e dettare la linea, quando necessario, per spostare gli equilibri di un paese strategicamente fondamentale per i desideri egemonici americani.
Figura chiave è Fethullah Gülen. Fondatore di movimenti come l’Associazione per la Lotta contro il Comunismo, si è sempre ispirato ad un’impronta atlantica e per questo motivo ha ricevuto sin dagli albori il pieno sostegno degli ambienti neo-cons americani. Nel corso dei decenni il suo rapporto con Washington si è consolidato ed è divenuto uno dei maggiori rappresentanti di quel potere ben nascosto ma altrettanto influente in Turchia.
Da sempre i suoi rapporti con gli Stati Uniti sono più che chiacchierati, tant’è che in molti si sono spinti a definirlo come il personaggio di collegamento tra la CIA e lo stato profondo turco. In tal senso le voci riguardanti le attività di Gladio-b (la componente islamica della strategia della tensione made in Langley) hanno sempre richiamato la figura e il ruolo di Gülen.
Erdogan, una volta suo fedele alleato nello scalare le gerarchie interne, lo ha scaricato per perseguire una sua visione autoritaria dello stato Turco. E’ la megalomania di Recep che ha portato nel corso degli anni ad una situazione di maggior isolamento politico di Ankara dai suoi alleati occidentali. Ciò ha finito per scavare un solco tra Ankara e Washington. Poco evidente, ma sempre più profonda, la spaccatura è divenuta via via sempre più marcata, mentre in contemporanea saliva agli onore della cronaca l’intenso legame creatosi con altri attori regionali come Doha, Tel Aviv e Riyad. E’ in particolare con quest’ultimo che si è saldato un legame basato esclusivamente sul reciproco interessa a disarticolare e smembrare la Repubblica Araba Siriana, costi quel che costi.
Decifrare gli esatti esecutori dell’attentato di Domenica potrebbe avere poco senso se consideriamo il quadro generale. Molto più interessante è comprendere i mandanti e chi potrebbe avere tratto vantaggio da questo episodio. L’ipotesi più immediata riguarda lo stato Islamico con migliaia di combattenti che di rientro dalla porta attraverso cui sono entrati in Siria hanno tutta l’intenzione di vendicarsi con chi li ha abbandonati sul campo di battaglia ad una sconfitta dall’esito scontato. Non dobbiamo dimenticarci che era stato loro garantito, in cambio di un impegno contro la Siria Assadista, la creazione di un califfato. Da quando la Russia ha mosse le sue pedine mettendo in scacco matto l’occidente, tutte le promesse fatte all’IS hanno iniziato ad essere disattese: di fatto l’amministrazione degli Stati Uniti ha abbandonato il programma di addestramento dei ribelli e Israele, Arabia Saudita e Turchia iniziano a mostrare una parvenza di dialogo costruttivo con Mosca per trovare una soluzione politica accettabile per tutti.
Scontato dire che non vi è affatto un’uniformità di giudizio e opinioni, soprattutto negli ambienti caldi degli attori regionali. Spesso le componenti più radicali del Sionismo e del Wahabismo si fondono con i desideri inconfessabili di Langley. E’ in occasioni e ambienti come questi che nel passato sono state forgiate tattiche stragista. Mandare un segnale chiaro a tutti (vietato mollare gli aiuti diretti ed indiretti in Siria ai ‘ribelli’), aumentare la confusione (situazione geopolitica generalmente fruttuosa per Washington) e minare la posizione di Recep Erdogan (ricordate le stragi di Mafia che preclusero la poltrona di presidente della Repubblica ad Andreotti).
In molti potrebbero obiettare che Turchia, Israele e Arabia Saudita non abbiano alcuna intenzione di diminuire il proprio contributo all’aggressione della Siria. Eppure gli incontri avuti da Putin negli ultimi giorni hanno rilanciato la strategia Russa: abbassare il livello dello scontro (eliminando il più velocemente possibile i terroristi in Siria) per avere un maggiore potere contrattuale in un’ipotetica soluzione politica della vicenda.
Facile intuire che agli ambienti più oscuri degli Stati Uniti una prospettiva del genere sia stata respinta.. probabilmente a suon di bombe.