La questione culturale – spesso marginalizzata rispetto ai meri interessi economici – è, in verità, la sorgente da cui discendono varie forme relazionali. C’è un detto cinese che recita: “Se ti unisci per profitto, quando i profitti finiscono la relazione si conclude. Se ti unisci per il potere, quando il potere si esaurisce la relazione si conclude. Solo quando ti unisci con un vero cuore aperto, una relazione può durare davvero”. In sostanza, è il nostro sguardo sul mondo, sul suo divenire, che informa la politica e un determinato rapporto tra questa e l’economia. Cultura, politica e affari economici sono i tre pilastri della gerarchia propria della civiltà cinese, riflesso delle sue priorità. E rispetto a ciò l’Italia, la civiltà latina e greco-romana, dovrebbe rinvenire delle affinità.

Il concetto di armonia, di essere umano, di natura, di etica, di mutamento, di subordinazione a un divino che non si fa mai Dio sono tutti aspetti fondamentali per capire anche la Cina. A chi gli chiedeva di parlargli dell’al di là, Confucio rispose: “non abbiamo ancora imparato a conoscere la vita, come potremmo conoscere la morte?”. Comunismo e confucianesimo, marxismo e confucianesimo, taoismo e buddismo, feste tradizionali e animismo, culto degli antenati, le miscele sincretiche decriptabili in Cina sono estremamente intricate ed intricanti. Su questo fa luce il libro.

Il libro della Morigi, che rileggerò e riprenderò spesso, è un lavoro competente ed appassionato per ampliare la conoscenza/comprensione della cultura cinese a partire dalle religioni (che meglio possono essere definite come concezioni di vita, sguardi sul mondo). Morigi ne indaga le diversità e i sincretismi nella storia cinese, focalizzandosi sulla differente concezione religiosa propria della civiltà del paese di mezzo (Zhongguo), ma senza trascurare le religioni “straniere”, riconosciute e praticate nella Repubblica popolare. Il rapporto tra uno stato coerentemente laico e questi ricchissimi spazi culturali è un altro aspetto che innerva il lavoro della Morigi: fondamentale, per capire la religione cinese oggi.

Esempi di tutela

Fornisco solo alcuni esempi al riguardo: le sette buddiste da tempo riconosciute ricevono sostegni di ogni tipo per praticare i loro culti religiosi. La procedura di regolazione amministrativa del sistema di reincarnazione lamaista è stata costantemente affinata dai tibetani, in collaborazione col governo centrale, proprio per garantire la massima trasparenza verso i fedeli. In alcuni casi le politiche di protezione ambientale coincidono anche con quelle religiose: nel più grande lago della Cina e il secondo al mondo – il Qinghai lake – il governo locale ha imposto un divieto assoluto di pesca, la cui violazione comporta severe penalizzazioni proprio per garantire il rispetto del culto dei buddisti tibetani. Per questi, infatti, i pesci sono la reincarnazione delle anime degli antenati…

Altro esempio: recentemente il China Tibetology Research Center ha concluso la produzione di 18 volumi di storia del Tibet che sono stati realizzati dopo 14 anni di studi, recuperando e archiviando documenti originali di letteratura e cultura tibetana. Nel museo di Pechino si trovano poi numerosi volumi sulla cultura tibetana, che constano di documenti originali, per la cui realizzazione e catalogazione il governo centrale ha stanziato 400 milioni di dollari.

La peculiarità della statualità cinese

La concezione dello stato in Cina è molto diversa da quella europea, perché peculiari sono le storie di ciascuno spazio di civiltà. Se in Europa si sono sviluppate diverse fonti e forme di autorità (chiese, latifondisti, commercianti ecc.) in competizione tra loro, questo aspetto non appartiene alla storia cinese. L’avere autorità plurime e condivise è considerato un segno di cattivo governo e un errore etico. L’unica eccezione parziale riguarda il ceto degli intellettuali e degli insegnanti, sempre in accordo alla tradizione confuciana. Le religioni, come sistemi dottrinali e di fede, debbono essere regolamentati affinché non si sviluppi alcuna forma di autorità capace, in potenza, di competere con lo stato. Inoltre, vi sono altri aspetti della peculiare concezione dello stato in Cina. La Repubblica popolare cinese, infatti, non si identifica pienamente, o esclusivamente, nello stato-nazione moderno, ma la sua identità si rifà sempre alla lunga civilizzazione. Non a caso la Cina è definita stato-civiltà/civilization state. Altro elemento di diversità rispetto alla storia europea: i periodi di caos e di divisione (invasioni straniere) sono stati caratterizzati da movimenti e scontri tesi sempre alla riunificazione, mentre in Europa questi processi di caos sono stati generati proprio per accentuare le divisioni e i particolarismi. Questa è un’altra differenza sostanziale che informa la Cina di oggi, la sua idea storica di stato.

Le caratteristiche principali del sistema politico confuciano possono essere esemplificate nei seguenti punti: la politica si identifica nell’apparato di governo/stato; lo stato è percepito come il capo famiglia, il padre, non come un intruso; la famiglia e lo stato sono complementari; la leadership politica deve garantire unità e stabilità del paese, nonché reattività alle richieste popolari – in caso contrario essa perde legittimità ed è destinata ad essere sostituita; i suoi valori sono riassumibili in gerarchia, autorità e autodisciplina. Questo modello ha influenzato nella storia il Giappone, la Corea e il Vietnam. Le potenze occidentali l’hanno studiato solo più recentemente, prima gli europei, poi gli americani. E ne hanno emulato alcuni aspetti, come la istituzione di esami pubblici competitivi per la selezione degli ufficiali di stato.

Dai semi culturali alla pratica internazionale…

Le visioni cinesi confermano la centralità del ruolo della cultura nella definizione dell’indirizzo politico-economico del paese. Si pensi ad esempio al concetto/idea di sviluppo, così come espresso da Xi Jinping a Davos: Negli ultimi anni la Cina è riuscita a intraprendere un percorso di sviluppo che si adatta a se stessa, attingendo sia alla saggezza della sua civiltà che alle pratiche di altri paesi sia dell’est che dell’ovest. Nell’esplorare questo percorso, la Cina si rifiuta di rimanere insensibile ai tempi che cambiano o di seguire ciecamente le orme degli altri. Tutte le strade portano a Roma. Nessun paese dovrebbe considerare il proprio percorso di sviluppo come l’unico percorribile, e ancor meno dovrebbe imporre il proprio percorso di sviluppo agli altri. Qui c’è umiltà, rispetto… in una parola, saggezza di civiltà.

Più nello specifico, proprio la nuova via della seta (BRI) è una manifestazione di tali discorsi e visioni alternative. La direzione e gli obiettivi della politica estera cinese sono stati ribaditi nel 19° Congresso del PCC, con l’enfasi posta su due macro-obiettivi della leadership: 1) costruire una nuova forma di relazioni internazionali, basate sulla cooperazione e il mutuo interesse, anziché sul dominio e la rivalità politico-militare; 2) dare forma a una “comunità umana dal destino condiviso”. In entrambi i casi si tratta di obiettivi appartenenti alla storia della Repubblica popolare, che sono andati via via articolandosi in una serie di sviluppi sempre più concreti negli ultimi anni.

La BRI sta avendo una gran risonanza internazionale e sta generando consenso internazionale. Si può asserire che questo mega-progetto, dai contorni in costante via di definizione, costituisca la più evidente manifestazione geo-economico-politica del perseguimento dei due macro-obiettivi sopra menzionati. Le nuove via della seta, invero, rappresentano una pietra miliare nelle relazioni internazionali e il 2017 è stato un anno di svolta, per intensità di investimenti ed aumento del numero dei partecipanti. E’ un progetto inclusivo, aperto al mondo intero e coerente ad una idea avanzata di cooperazione per la costruzione di “una comunità umana dal destino condiviso”. Nella BRI non può esserci un’agenda definita, a causa del gran numero di paesi coinvolti e delle incertezze e degli imprevisti geopolitici. Come sempre la Cina offre una strategia e via via la affina, sperimentando, adattando, raggiungendo compromessi, persuadendo le parti coinvolte in merito ai benefici derivanti da una maggiore interconnessione. La BRI è dunque una proiezione intercontinentale di integrazione ed interconnessione, finalizzata alla coesistenza pacifica tra i popoli (obiettivo ultimo), una sorta di testo aperto in cui ciascun partecipante dovrebbe sforzarsi di offrire il proprio contributo per la sua riuscita.

Ci vuole rispetto per favorire e far primeggiare la cooperazione sulla competizione aggressiva e distruttiva… ma perché si possa maturare un profondo ed autentico rispetto degli altri è necessario conoscere, conoscersi. L’impegno necessario è enorme, ma la posta in gioco – la pace mondiale – obbliga a non tirarsi indietro. Su ciò un lavoro come quello della Morigi gioca un ruolo imprescindibile per la comprensione reciproca e la coesistenza pacifica.