
Il voto del 23 giugno ha dato vita ad una serie di scenari in continuo divenire nel Regno Unito: le dimissioni di David Cameron, l’insediamento del nuovo governo guidato da Theresa May, nonché un’effervescenza dei mercati. Ad oggi, mentre i negoziati tra UK e UE per l’uscita degli inglesi non sembrano ancora decollare, il governo d’oltremanica ha cominciato a guardarsi intorno per garantirsi vantaggiosi accordi commerciali con i nuovi protagonisti del mercato mondiale; il Regno Unito, infatti, non può rischiare che l’esito del Referendum condanni il paese ad un isolazionismo economico, non potendo più esser parte degli accordi europei siglati dagli ormai 27 Stati dell’UE. Oltretutto la Storia insegna come gli inglesi abbiano spesso condotto una politica parallela rispetto alle vicende continentali, anche in virtù della loro posizione geografica, pur non facendo comunque mancare la loro presenza in Europa.
Tornando ai giorni nostri, la Brexit può rappresentare un’occasione per spostare il baricentro economico dagli onnipresenti Stati Uniti verso le nuove economie emergenti rappresentate dai cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), Paesi che hanno già manifestato la loro disponibilità a stringere accordi commerciali con l’uscente Regno Unito. A tal proposito, fonti inglesi rivelano che ben 27 Paesi siano pronti a discutere nuove intese commerciali con l’UK, così da registrare un interesse trasversale da parte dei Mercati mondiali.
Boris Johnson, nuovo Ministro degli Esteri inglese e grande sostenitore del “leave”, ancora esultante per l’esito del voto referendario, ha accolto con grande euforia queste possibilità, sottolineando come il suo Paese si stia dimostrando all’avanguardia in Europa, percorrendo una strada che sarà seguita in futuro anche da altri Stati membri, una volta dimostrato come sia possibile un avvenire migliore al di fuori dell’UE.
Ciò appare in netta contrapposizione con le dichiarazioni, durante la campagna elettorale per il referendum britannico, del Presidente americano Barack Obama (ormai a fine mandato), che non solo era entrato a gamba tesa nel dibattito sul voto, pronosticando un esito infausto per i sostenitori del “leave”, ma aveva anche avvertito il Regno Unito che sarebbe scivolato in coda per discutere eventuali nuovi trattati economici in caso di vittoria della Brexit. Dichiarazioni che sono apparse come un non troppo velato endorsement ad un Cameron in evidente difficoltà, dal momento che è stato proprio l’ex Primo Ministro inglese a proporre il referendum, il cui esito lo ha poi politicamente travolto. Tale ingerenza americana è stata respinta, in ultima analisi, dagli stessi britannici che hanno preferito affrancarsi dall’Unione europea.
C’è da aggiungere che per il Regno Unito, a dispetto delle previsioni negative di Obama, ci si aspetta un boom, in parte già in atto – visto il significativo aumento delle prenotazioni di alberghi e compagnie aeree – nel settore turistico e nelle esportazioni, scenari entrambi dovuti ad un ridimensionamento della valuta inglese. Considerato il rilievo che la Brexit sta assumendo per il Mondo, e alla luce dei suoi primi risultati incoraggianti, non è affatto escluso che si possa verificare un effetto domino nei vari Paesi europei, potendo rintracciare già le prime conseguenze in Austria, in occasione delle elezioni presidenziali di Settembre, dove il dibattito è monopolizzato soprattutto dal tema del controllo dei flussi migratori, una tematica che ha contribuito di gran lunga alla vittoria del fronte del leave in UK.
Mauro Gagliardi