Stabilità

Dopo tanto parlare e dopo tanti botta e risposta tra Roma e Bruxelles e tra Renzi e la Merkel, il nostro Premier ha optato per il 2017, di tenere praticamente invariato, rispetto al 2016, il deficit del bilancio statale.

Nella serata di sabato, infatti, il Consiglio dei Ministri ha presentato (con le immancabili slides che potete consultare qui) la Legge di Stabilità per l’anno 2017, una manovra che varrà 27 miliardi di euro complessivi. Come abbiamo già detto, le stime del deficit dovrebbero rimanere in sostanza le stesse rispetto a quelle per il 2016, attestandosi al 2,3% del PIL (rispetto al 2,4% dell’anno scorso) di cui lo 0,3% sarà attribuito alle emergenze migranti e terremoto (0,2% e 0,1%). Molto speranzosa e allo stesso tempo molto criticata, è la stima sulla crescita del PIL per il 2017, la quale, secondo Padoan, si attesterà all’1%.

Venendo nel merito della manovra 2017, notiamo che il primo capitolo è dedicato alla competitività, con il progetto di “Industria 4.0”, un piano di politica industriale da 20 miliardi complessivi da spalmare in quattro anni fino al 2020.

Per il 2017 saranno stanziati 1 miliardo di euro circa per il rifinanziamento del Fondo Statale di Garanzia, che stando alle parole di Matteo Renzi, dovrebbe essere usato per l’accesso al credito delle PMI. Inoltre, sempre per il 2017, viene prorogato il superammortamento al 140%, già contenuto nella finanziaria 2016, viene introdotto un  iperammortamento al 250% per gli investimenti nell’industria 4.0, viene innalzato il credito d’imposta dal 25% al 50%, passando quindi da 5 a 20 milioni massimi, su spese in ricerca e sviluppo superiori alla media dell’ultimo triennio e viene prorogata la Legge Sabatini per facilitare il finanziamento degli investimenti delle imprese.

Annunciato anche il taglio dell’IRES dal 27,5% attuali al 24%. Viene introdotta anche una imposta sul reddito dell’imprenditore (IRI), una nuova forma di tassazione per piccole partite iva, società di persone e ditte individuali finora soggette a Irpef: anche questa ha un’aliquota fissa al 24% e andrà pagata sul cosiddetto “regime di cassa”, cioè su quanto verrà effettivamente incassato e non sul fatturato. Abolita invece l’Irpef agricola.

Il governo dice anche addio a Equitalia, che sarà sostituita da un nuovo soggetto. Saranno previste sanatorie sugli interessi di mora per i debitori del fisco. Verranno riformati anche gli studi di settore, che non faranno scattare più gli accertamenti fiscali, ma serviranno a misurare la fedeltà dei contribuenti rispetto agli anni precedenti.

Capitolo pensioni: stanziati 7 miliardi in tre anni (1,9 il primo anno, 2,5 il secondo, 2,6 il terzo) che andranno a finanziare l’aumento della quattordicesima per le pensioni basse (interesserà 1,2 milioni di pensionati) e all’APE, l’anticipo pensionistico per chi ha raggiunto almeno i 63 anni di età e almeno 30 anni di contributi previdenziali versati. Si tratta praticamente di prestiti di banche e assicurazioni erogati però attraverso l’Inps, che dovranno poi essere restituiti con rate di ammortamento con una rata sulla pensione del 4,5% -4,6%, una volta conseguita la pensione con un prelievo che durerà venti anni.

Per quanto riguarda la Sanità, saranno 113 i miliardi stanziati nel Fondo del SSN, 2 miliardi in più rispetto al 2015 secondo il Premier, ma il miliardo in più sarà vincolato per la medicina e le terapie oncologiche, Epatite C, vaccini e per la stabilizzazione dei medici e infermieri. 50 milioni di euro andranno al Fondo non autosufficienza e disabilità.

Dai risparmi “istituzionali”, cioè da quelli che a detta di Renzi dovrebbero arrivare dalla vittoria del Sì al referendum costituzionale, dovrebbero arrivare i 500 milioni da stanziare per la povertà.

Per quanto riguarda la ricostruzione post-terremoto dei centri colpiti di Accumoli, Amatrice e Arquata del Tronto, le risorse da stanziare saranno 4,5 miliardi.

3 miliardi di euro saranno messi a disposizione per gli incentivi alle ristrutturazioni, allargati ora anche ai condomini e agli alberghi. Nella stessa cifra rientrano i piani contro il dissesto e per l’edilizia scolastica.

Per gli investimenti pubblici, sono previsti 12 miliardi di euro in più da spalmare in tre anni ( ripartiti in 2, 4 e 6). 1 miliardo in più andrà alla scuola e all’università, per i decreti attuativi della Buona Scuola, per le scuole materne paritarie e per la novità dello Student Act, introdotta per il recupero dei “cervelli in fuga”. Previsto anche un piano per dare maggiore autonomia ai musei.

Alle pari opportunità andranno 60 milioni per il piano antitratta, per il piano contro la violenza femminile e per l’impresa femminile.

Per l’agricoltura, oltre all’abolizione dell’Irpef agricola, il governo intende impegnarsi per la tutela del Made in Italy e cosa più interessante, è prevista la decontribuzione totale per gli agricoltori under 40.

Per l’ambiente, vengono stanziati 7 miliardi in 7 anni contro il dissesto idrogeologico.

Riguardo alle politiche per la famiglia, saranno stanziati 600 milioni, con la conferma anche per il 2017 del Bonus Bebè, che dovrebbe anche essere raddoppiato.

All’immigrazione è dedicato lo 0,2% del PIL, che quindi andrà ad aggiungersi al deficit di bilancio. La novità per quest’anno è il contributo da 500 euro una tantum per ogni immigrato accolto dai comuni che si impegneranno nell’accoglienza.

Al progetto di riqualificazione delle periferie andranno stanziati 2,1 miliardi. Sono 120 in totale i progetti presentati dalle amministrazioni e saranno tutti finanziati.

Al pubblico impiego andranno 1,9 miliardi per il rinnovo dei contratti, la riorganizzazione del comparto delle Forze Armate e delle Forze di Polizia e le nuove assunzioni.

Agli enti territoriali andranno 3 miliardi di euro su un Fondo dedicato.

Punto più importante, 15,3 miliardi andranno stanziati per il disinnesco delle clausole di salvaguardia, che avrebbero portato le aliquote iva dal 10% al 13% e dal 22% al 24%. Il problema dovrebbe essere rinviato al 2018.

Le risorse per finanziare tutte le singole voci di spesa arriveranno da: 3,3 miliardi dai risparmi su beni e servizi (spending review), di cui 1,2 miliardi di risparmi delle spese della sanità, ottenuti con la standardizzazione dei prezzi di acquisto della Consip; 1,6 miliardi dalla riorganizzazione dei Fondi del 2016; 2 miliardi dovrebbero rientrare dalla cosiddetta voluntary disclosure (voce “sottostimata” secondo Renzi); 4 miliardi invece arriverebbero dalla soppressione di Equitalia. Queste sono le coperture mostrate nelle slides del Presidente del Consiglio.

L’extra-deficit derivante dallo 0,3% per la clausola eventi eccezionali (migranti e terremoto), che vale circa 11 miliardi di euro, da più libertà di manovra. Il deficit di bilancio si attesterebbe così al 2,3%, “il più basso degli ultimi 10 anni”,  un vanto per Renzi e Padoan, meno per tutti noi. Confermata la stima sulla crescita all’1% che era stata bocciata dall’Ufficio parlamentare di bilancio nei giorni successivi alla presentazione della nota d’aggiornamento al Def.

Veniamo a noi. Il punto debole della manovra finanziaria 2017 sono senza dubbio i conti. A parte le stime della crescita molto speranzose, criticabili sono certamente le voci d’entrata che si basano su stime fatte dagli stessi uffici di governo e non da dati certi. Inoltre, molte delle voci sono da considerarsi una tantum e  potrebbero essere bocciate dall’Unione Europea perché non strutturali. Senza contare poi, che, se ci basiamo sulle slides presentate da Renzi, mancherebbero comunque delle coperture. Tutti altri numeri erano stati presentati nei giorni precenti.

Ma è dall’Unione Europea che arrivano le critiche più dure. La trattativa portata avanti tra Roma e Bruxelles prevedeva che il deficit di bilancio, invece che rientrare dal 2,4% attuali all’1,8% stabilito a Maggio, poteva attestarsi al 2,2%, compresi dello 0,2% per la “clausola eventi eccezionali”. Adesso il governo sembra voler imporre un deficit del 2,3%. Sembra assurda una battaglia sui decimali, ma da quel che scrive la stampa italiana di destra, potrebbero verificarsi scenari abbastanza catastrofici come il rifiuto di Mattarella a porre la firma sulla Legge finanziaria, o addirittura l’apertura di procedure di infrazione e la revoca della flessibilità concessa nel 2016.

Dal canto nostro siamo abbastanza delusi da questi numeri. Dopo le parole pronunciate da Renzi da Bratislava in poi, sembrava che finalmente il governo potesse sganciarsi dalle fantomatiche regole europee e presentare una Legge di Stabilità libera da vincoli, sforando il limite del 3% come già fanno Francia e Spagna. Va ricordato ancora una volta, poi, che il deficit di bilancio italiano è composto tutto dagli interessi sul debito pubblico e non sulla spesa, perché sono ormai più di 20 anni che il nostro Paese è in avanzo primario, cioè recupera dalle tasse e dai tagli più di quanto spende. La flessibilità che chiede Renzi è quindi soltanto una riduzione dell’avanzo primario, che permette di togliere all’economia reale meno ricchezza del previsto. Per far ripartire davvero il Paese servirebbe ben altro.

Molte cose previste per la finanziaria 2017 sono cose utili, ma considerandole nel loro insieme, potrebbero essere uno spot elettorale in vista del referendum di dicembre: accontentando tutte le categorie, potrebbero arrivare voti per il Sì.

Ma proprio il referendum di dicembre potrebbe essere la tegola più grossa per Matteo Renzi. Se il 4 dicembre dovesse vincere il No, Renzi si dimetterà? E se il governo dovesse cadere, cosa accadrebbe alla Legge di Stabilità con un governo diverso, dato che questa dovrà essere approvata alla fine dello stesso mese? Forse non potrà essere del tutto stravolta, ma potrebbero esserci modifiche sostanziali, senza contare della possibilità di fare nel corso dell’anno, la temutissima “manovra correttiva”.

Marco Muscillo