Il Catenaccio (1932-1995 circa)

Nella scorsa puntata abbiamo visto come il Sistema abbia portato all’affermazione di partite dove i duelli individuali e le marcature uomo contro uomo la facevano da padrone. Grazie a questa impostazione tattica a trarre maggiore vantaggio erano così le formazioni dotate di maggiori risorse fisiche e tecniche e se a ciò si aggiungevano pure amalgama e organizzazione di gioco una squadra poteva diventare letteralmente ingiocabile. Alcuni epigoni del Sistema idearono qualche piccolo stratagemma (diagonali dei terzini, mediani che si abbassavano in difesa) che però non riuscivano a risolvere il problema: il WM restava un modulo dannatamente permeabile in fase difensiva. Così in Italia alcuni allenatori di provincia, le cui modeste squadre erano penalizzate da questa nuova tipologia di gioco che favoriva gli attacchi a discapito delle difese, decisero di ideare una particolare contaminazione tra Metodo e Sistema per proteggere la propria difesa, nacque così il famoso Catenaccio, il modulo di gioco che ha legato indissolubilmente le proprie fortune all’Italia calcistica.

Il Verrou svizzero

Il Catenaccio non è quindi una parolaccia ma un particolare modulo di gioco indefinibile con una precisa sequenza numerica (possiamo definirlo un 1-3-2-1-3) che possiamo definirlo come una versione in senso conservativo del Metodo, il cui scopo principale è infatti quello di coprire gli spazi in difesa grazie all’utilizzo di un difensore libero appunto da compiti di marcatura e, nella sua forma più evoluta, creare superiorità numerica in tutte le fasi di gioco. Associato indissolubilmente con il calcio italiano, il Catenaccio è stata in realtà stata un’altra ideazione mitteleuropea: questo modulo fu infatti ideato nel 1932 dal tecnico austriaco (ma svizzero d’adozione) del Servette di Ginevra Karl Rappan che applicò una versione del Metodo (il Verrou, cioè catenaccio in francese) molto difensiva con uno dei due terzini, quello che sarà noto come il famoso libero, che si spostava orizzontalmente a chiudere i varchi. Lo schema di gioco era comunque schiettamente metodista e non esistevano ancora le specifiche marcature ad uomo che renderanno famose le squadre catenacciare.

Il Catenaccio

Il Mezzo Sistema, nasce il modulo all’italiana

Negli Anni Quaranta alcuni tecnici italiani (citiamo alla rinfusa Mario Villini, Ottavio Barbieri, Gipo Viani, Nereo Rocco) idearono il cosiddetto Mezzo Sistema, una particolare contaminazione tra Metodo e Sistema, un modulo di gioco simile al Metodo nel suo approccio difensivo ma che utilizzava le marcature ad uomo, fisse e dogmatiche, tipico di una certa applicazione del Sistema.

Davanti al portiere un terzino (2) manteneva le vecchie prerogative del Metodo e giocava al centro senza compiti di marcatura, l’altro terzino (3) fu invece mandato sulla fascia sinistra a marcare a uomo l’ala destra avversaria secondo i crismi del modulo inglese.

Sulla fascia destra invece permaneva il laterale (4) con il compito di marcare l’ala sinistra avversaria. Al centro della difesa, davanti al terzino libero, fu retrocesso il centromediano (5) che fu incollato al centravanti. In difesa si formava nuovamente un reparto a quattro giocatori con tre marcatori ed un difensore “libero” che così erano sempre in superiorità numerica sui tre attaccanti avversari.

A centrocampo restava così solo il mediano sinistro (6) che si divideva tra il compito di classico centromediano e quello di francobollatore della mezzala destra avversaria, a dargli man forte ci doveva pensare la mezzala destra (8), che aveva il compito di fare da collante tra la difesa e l’attacco e di pilotare il gioco.

Il reparto avanzato contava così quattro elementi: le due ali (il 7 e l’11), il centravanti (9) sostenuto alle spalle dalla mezzala sinistra (10) che aveva il compito di svariare su tutto il fronte offensivo.  Risolto alla radice il problema con la difesa, permaneva la questione del centrocampo: le squadre schierate a Mezzo Sistema, con il loro classico centrocampo a tre di ispirazione metodista, restavano sempre in inferiorità numerica rispetto al quadrilatero delle squadre sistemiste. Fu il tecnico dell’Inter Alfredo Foni nel 1952/53 ad arretrare un’ala stabilmente a centrocampo con compiti di filtro per ovviare a questo inconveniente, nacque così l’ala tornante.

Un modulo, tante forme: l’Inter di Herrera e il Milan di Rocco

Fu in questo periodo che il catenaccio sì perfezionò: dopo l’ala tornante a sinistra comparve il terzino fluidificante che aveva il compito di equilibrare il baricentro della squadra spingendo sull’out mancino. Il libero, che inizialmente aveva semplicemente il compito di “spazzino” dell’area, divenne un autentico regista della difesa con compiti di costruzione del gioco.

Furono i successi del Milan di Nereo Rocco e dell’Inter di Helenio Herrera a nobilitare il Catenaccio (denominazione che dai Sessanta soppiantò definitivamente quella di Mezzo Sistema), pur se con interpretazioni diverse che confermano l’estrema elasticità di questo sistema di gioco dove l’unica cosa certa era il libero staccato davanti alla difesa e le marcature personalizzate.

Ad esempio l’Inter di Herrera, campione d’Europa nel biennio 1963-65, era schierata con un Catenaccio molto peculiare che nella sua forma assomigliava molto al classico 4-2-4 di marca sudamericana: un regista arretrato quasi davanti alla difesa (Luis Suarez), una finta ala sinistra (l’indolente Mario Corso) che nei fatti era un vero e proprio trequartista ed una seconda punta con la mascherina (Sandro Mazzola) dietro il finto centravanti Peirò. Sulla corsia di sinistra il terzino sinistro Facchetti in fase d’attacco si trasformava in un vero e proprio attaccante aggiunto.

Il Milan di Rocco campione d’Europa nel 1969 era schierato invece con uno schieramento molto diverso: davanti alla difesa c’erano infatti ben due mediani (Lodetti e Trapattoni) che dovevano coprire le spalle al trequartista avanzato Rivera, in attacco c’erano infine ben tre attaccanti puri come Hamrin, Sormani e Prati. Come si vede il catenaccio non era un modulo di gioco prettamente difensivo e non escludeva una linea d’attacco molto folta e munita.

Gli schieramenti dell’Inter di Herrera e del Milan di Rocco

Il Catenaccio in salsa tedesca

Negli Anni Sessanta il libero staccato fu presto adottato anche da altre nazioni europee, soprattutto dalle squadre del Sud Europa che fisicamente non riuscivano a reggere i ritmi della zona aggressiva che si stava espandendo a macchia d’olio presso i popoli nordici.

A Nord l’unica eccezione fu rappresentata dalla Germania che adottò un Catenaccio più fluido e con un’interpretazione più eclettica molto simile ad un 4-3-3 piuttosto puro dove i ruoli erano definiti in maniera meno specialistica: il libero era un vero e proprio regista a tutto campo (grazie alla particolare interpretazione sublimata dal libero del Bayern Monaco Franz Beckenbauer) che si infilava spesso in attacco mentre ali e terzini erano più liberi nei loro compiti sia difensivi che offensivi.

La Zona Mista

Negli Anni Settanta con l’avvento del Calcio Totale olandese il Catenaccio si evolse nella cosiddetta Zona Mista,  un Catenaccio ritoccato con alcune novità del calcio collettivo olandese come la zona (adottata a centrocampo), il pressing e il gioco collettivo.

Le marcature a uomo furono mantenute solo in difesa (il terzino destro e lo stopper cioè il 2 ed il 5) mentre il centrocampo si disponeva a zona con due mediani (un incontrista, il 4 e un incursore a tutto campo, l’8) e un regista (10) che giocava più o meno avanzato. Sulla fascia destra il tornante (7) aveva compiti meno rigorosi in fase difensiva ed era maggiormente libero di svariare dietro le due classiche punte (9 ed 11).

La sublimazione di questo modulo fu data dall’Italia campione del mondo nel 1982 allenata da Enzo Bearzot che si schierava con una Zona Mista molto flessibile e camaleontica, capace spesso di trasformarsi a seconda dei casi in un vero e proprio 5-3-2. Il Catenaccio verrà superato dall’affermarsi in Italia della zona aggressiva professata dal Milan di Arrigo Sacchi sul finire degli Anni Ottanta. Squadre e reparti corti, pressing e fuorigioco resero del tutto inutile la presenza del libero staccato e misero in crisi definitiva le rigide marcature ad uomo. Possiamo dire che già a metà degli anni Novanta tutte le squadre italiane avevano abbandonato lo storico modulo all’italiana.

L’Italia campione del mondo nel 1982

Riferimenti bibliografici: Tattica: Principi Idee, Evoluzione (Francesco Scabar 2015)