Già nell’anno scorso assistemmo ad un assalto di non indifferente portata da parte delle forze di Tobruk, capitanate dal Generale Khalifa Haftar, contro le poche milizie del governo di Tripoli, presieduto da Fayez al-Sarraj. Alla fine si giunse ad una situazione di compromesso, che riconobbe comunque la superiorità militare e strategica del governo di Tobruk su quello di Tripoli, quantunque quest’ultimo fosse ufficialmente quello riconosciuto da buona parte della “comunità internazionale” e paracadutato nella di fatto ormai ex capitale libica dalle Nazioni Unite, nella totale indifferenza per non dire dissenso della popolazione locale.
Proprio il fatto che il governo di al-Sarraj (nato sulle ceneri del precedente governo islamista guidato dalla fazione libica dei Fratelli Musulmani e che aveva operato una secessione da quello di Tobruk, a sua volta erede del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi che aveva vinto la guerra contro Gheddafi grazie all’assistenza della NATO) non godesse di particolari sostegni nemmeno nella stessa Tripoli, per non parlare del resto del paese, è stato alle origini di tutte le sue sfortune. La sua autorità è stata infatti riconosciuta da ben poche milizie, e anche quelle poche l’hanno concessa a caro prezzo, approfittando di una corruzione endemica che negli anni della guerra e del dopoguerra è letteralmente schizzata alle stelle e a cui il governo sponsorizzato dalle Nazioni Unite non ha potuto far altro che allinearsi. Altre milizie ancora, ovvero la maggioranza, hanno invece preferito mantenere le distanze, ben sapendo che poco c’era da guadagnare dal farsi vedere troppo affini ad un’autorità politica poco più che fittizia, e comunque incapace di far valere la propria parola persino al di fuori del suo stesso palazzo.
Resta il fatto che, se il 2018 ci ha mostrato palesemente e praticamente la fragilità di quel governo, che l’Italia ha tuttavia sempre riconosciuto come unico esecutivo libico, l’anno attuale ce la riconferma con ancor maggiore tragicità. È notizia di queste ore, infatti, che le milizie di Haftar siano giunte alle porte di Tripoli, dopo aver avuto facilmente ragione delle deboli resistenze della controparte. Anche le forze di Misurata, storica spina nel fianco di Tripoli e della Tripolitania, in tutta questa vicenda hanno giocato un ruolo non indifferente, e comunque non diverso da quello che già avvenne al termine dell’estate del 2011, quando persino lo stesso Gheddafi dovette evacuare dalla capitale libica. In questo preciso momento, secondo le ultime voci, le forze di Haftar sarebbero entrate nell’aeroporto internazionale di Tripoli, quello a 25 chilometri da Tripoli, chiuso dal 2014. La loro progressione è molto significativa, se pensiamo che soltanto a metà pomeriggio erano a 40 chilometri dalla capitale: questo significa che in poco tempo sono riuscite ad avanzare di almeno 15 chilometri, cosa tatticamente non sempre del tutto facile. Avendo raggiunto un’altra serie di località prossime a Tripoli, come Qasr bin Gashir, l’Esercito Nazionale Libico di Haftar può a questo punto dichiararsi a non più di 25 chilometri dal cuore della capitale libica, ovvero da quella Piazza dei Martiri che nell’epoca della Jamahiriya gheddafiana era nota come Piazza Verde.
Di fronte ad una tale situazione, non è difficile immaginarsi il continuo e copioso cumularsi degli interrogativi da parte dei vari attori ed osservatori internazionali. L’Inghilterra, per esempio, ha chiesto una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU proprio per discutere del caos libico, una situazione che in verità non rappresenta di certo un fulmine a ciel sereno e che ha, tra i suoi principali responsabili, proprio coloro che invece ora vorrebbero porvi cura: oltre alla stessa Inghilterra, la Francia, gli Stati Uniti, fino ovviamente anche all’Italia, ecc. L’inviato speciale Ghassan Salamé parlerà ai membri del Consiglio di Sicurezza riuniti, ma nel frattempo dalla Libia continuano a giungere sempre nuove notizie: per esempio la vera e propria guerra fra bande che coinvolge i dintorni di Tripoli e della Tripolitania, con le brigate di Zawiya che hanno dichiarato un insperato appoggio alle forze di al-Sarraj attaccando gli uomini di Haftar e catturandone addirittura una decina, almeno stando ad un loro recente comunicato.
L’Unione Europea, attraverso un suo imprecisato portavoce, auspica una soluzione politica anziché militare alla crisi libica, sulla linea dei vari vertici finora tenutisi proprio per trovare un punto d’intesa fra i due governi e i vari potentati autonomi che si spartiscono il territorio del paese, non ultima la conferenza di Palermo patrocinata mesi fa dal governo italiano. Forse anche stavolta, come avvenne mesi fa, tutto si risolverà con un compromesso temporeggiatore dell’ultimo minuto, che comunque dovrà servire a ricordare un fatto inaggirabile: senza tener conto di Haftar sarà ben difficile, oggi come oggi, discutere del presente e del futuro di ciò che resta della Libia.