“La Russia sicuramente parteciperà alla conferenza sulla Libia di Palermo, ma il livello di partecipazione sarà stabilito in seguito. l’invito lo abbiamo ricevuto solo domenica“. È quanto dichiarato lunedì dal ministro degli esteri della Federazione Russa, Sergey Lavrov, in merito all’invito rivolto dalla Farnesina a Vladimir Putin alla conferenza internazionale sulla Libia del 12-13 novembre. Invito ufficializzato proprio durante la visita del ministro degli esteri Moavero Milanesi a Mosca dove, oltre al suo omologo russo, ha incontrato anche il ministro del commercio, Denis Manturov, in vista del Consiglio italo-russo per la cooperazione economica, industriale e monetaria presieduto da entrambi i Paesi che si svolgerà in Italia a dicembre.
Dopo aver ricevuto il sostegno degli Stati Uniti sulla cosiddetta “cabina di regia congiunta” sulla Libia e mentre si susseguono le indiscrezioni, per ora non confermate, sulla presenza dello stesso Donald Trump a Palermo, con la possibilità concreta per il nostro Paese di ospitare un faccia a faccia Trump-Putin a margine della conferenza, la diplomazia italiana continua a mietere successi e può guardare con fiducia all’evento internazionale di novembre. Poco meno di un mese fa, infatti, l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione, proposta da Londra e sostenuta da Washington e Mosca, che estende il mandato della missione Unsmil di un anno fino al settembre 2019 senza menzionare la data del 10 dicembre, fortemente caldeggiata da Parigi, durante la quale tenere le elezioni politiche in Libia.
Una vittoria della linea italiana ed una sconfitta per la Francia, smaniosa di estendere la sua influenza geopolitica allo Stato nordafricano, ricco di petrolio e gas e “ponte” tra i Paesi del Sahel, quasi tutti ex colonie francesi, ed il Mediterraneo. Lo “strumento” di tale piano dovrebbe essere il generale Khalifa Haftar, il quale ormai controlla il 90% del Paese ed ha più volte minacciato di marciare su Tripoli, dove risiede il sempre più traballante governo presieduto da Fayez-al Serraj, che godrebbe ancora del sostegno di Roma.
Il condizionale è d’obbligo, dopo la missione di Moavero Milanesi a Tobruk e l’apertura ad Haftar, appoggiato oltre che dall’Eliseo anche da Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. È in questo scenario intricato, costituito da dissimulazioni e veti contrapposti, che si inserisce Mosca, un attore chiave imprescindibile per la soluzione del problema libico. In un contesto di progressivo disimpegno da parte degli Stati Uniti d’America nel “Vicino Oriente allargato”, area che si estende dal nord Africa all’Afghanistan, la Russia non può far altro che riempire il conseguente vuoto geopolitico nella regione, ergendosi ad arbitro dei conflitti regionali, difendendo i suoi interessi economici e militari e guadagnando influenza geopolitica da sfruttare per la risoluzione a proprio vantaggio di altre questioni internazionali (Ucraina e sanzioni occidentali su tutte).
La strategia del Cremlino sulla Libia appare quindi evidente: mediare tra Roma e Parigi, sostenendo la richiesta italiana di procrastinare le elezioni libiche e ciononostante mantenere una relazione privilegiata con il generale Haftar, sostenuto a spada tratta da Macron. Senza dimenticare tuttavia che è stato proprio il capo della Farnesina, durante la visita a Mosca, a chiedere l’intercessione di Lavrov per convincere l’uomo forte della Cirenaica a partecipare alla conferenza di Palermo e questo per almeno due motivi: innanzitutto affinché i piani italiani vadano in porto è necessaria la presenza di tutte le parti all’evento internazionale.
Invece per al-Serraj tira una brutta aria in quel di Tripoli: recentemente l’inviato dell’Onu, Ghassan Salamè, lo ha infatti criticato in una dura intervista al giornale arabo Al Hayat, nella quale ha affermato che è inaccettabile assistere passivamente alla distruzione di Tripoli, ponendo l’accento sull’infiltrazione di terroristi e sul ruolo sempre più preponderante delle milizie islamiste. Problemi con i quali Fayez al-Serraj deve confrontarsi dalla caduta di Gheddafi, ma che portati alla ribalta internazionale a poco più di un mese dalla conferenza sulla Libia di Palermo assumono un certo significato e fanno sorgere una domanda: coloro i quali lo hanno collocato, anzi imposto, a Tripoli si stanno preparando a rimuoverlo?
Da semplice cittadino, mi chiedo, se coloro che hanno bombardato e distrutto il paese, per motivi falsi, volutamente falsificati e contro la volonta dell’O.N.U., possano portare la pace in questo martoriato paese e decidere il proprio futuro?, i tiranni aggressori, pagheranno un orezzo, o continuerà ad essere conveniente fare i pirati internazionali ai danni di un paese che era sovrano e forse non lo sarà più?, si parlerà dello decine di tonnellate di oro che e stato portato via dal paese come anche in Irak.