La scelta italiana prospettata nei giorni scorsi dal premier Paolo Gentiloni, di assistere la Guardia Costiera agli ordini del debole esecutivo di Tripoli guidato da Fayez al-Serraj, è stata giudicata dall’altro governo libico, quello di Tobruk dove l’uomo forte è Khalifa Haftar, come “una violazione della sovranità”. Analogo giudizio era sempre stato espresso da Tobruk in merito alla scelta del nostro governo di riaprire l’ambasciata italiana a Tripoli, all’inizio dell’anno.

Molto probabilmente, dopo l’imprevista azione del Presidente francese Emmanuel Macron di convocare a Parigi i due leader libici invitandoli alla pace e alla collaborazione, in una futura ottica di ricomposizione politica del paese, l’Italia, ritrovandosi spiazzata e praticamente “espulsa” dal tavolo delle trattive in quella che un tempo era una sua colonia e con la quale vantava storici legami economici, ha deciso d’intraprendere un proprio “gioco libico”, in rimessa e pertanto con alte possibilità di sconfitta.

L’Italia, com’è noto, appoggia esclusivamente il governo di Tripoli, mentre la Francia ufficialmente sostiene quello di Tobruk e, tramite l’Unione Europea, anche quello di Serraj. Di conseguenza gli spazi di manovra per tale “gioco”, per l’Italia, sono molto più limitati, ma sufficienti comunque a seminar zizzania fra i due governi mandando così possibilmente in frantumi l’intesa che Macron era riuscito a racimolare a Parigi da parte dei due leader libici.

L’azione italiana di sostenere Tripoli con un’operazione che coinvolgerà navi, aerei, droni e persino 700 uomini, infatti, provoca dei sia pur momentanei risentimenti verso Roma da parte di Tobruk, ed aumenta le distanze fra i due governi libici, anche perché il fatto che Serraj abbia dapprima chiesto e poi accettato l’aiuto italiano viene giudicato in Cirenaica alla stregua di un tradimento. Quel che era stato deciso a Parigi, infatti, non prevedeva niente del genere.

Il problema è che il governo di Tripoli, pur essendo l’unico a vantare il riconoscimento delle Nazioni Unite, ha ben poca influenza in Libia, riuscendo di fatto a controllare solo una parte della Tripolitania. Per l’Italia, quindi, Tripoli e il suo premier Serraj costituiscono un interlocutore poco affidabile e soprattutto di poco peso in Libia, e questo accentua l’idea che Roma, nelle acque del Golfo di Sirte così come sul suolo libico, giochi ormai un ruolo sempre più minoritario. La Libia ormai, al di là del diritto internazionale, è infatti appannaggio quasi totale di altri, e l’Italia con questa azione “disperata” rischia di giocarsi anche le ultime carte del suo già risicato mazzo.

In tal caso, come già è avvenuto con le carte precedenti, anche le ultime del mazzo italiano andrebbero alla Francia. L’Italia in Libia gioca a perdere, forse perché ormai è l’unica opzione che le è rimasta.