Gene Wilder

“Io non penso a Lui come Dio. Non so come chiamarlo. Non credo nei diavoli, ma nei demoni sì. Perché ognuno di noi prima o poi possiede una sorta di demone, anche se lo chiami con un altro nome, che lo guida”.

Questo era uno dei pensieri di Gene Wilder, nome d’arte di Jerome Silberman. Nato da una famiglia di emigrati ebrei russi negli Stati Uniti, Wilder non seguirà mai completamente la religione ebraica se non nei precetti dell’Etica della Reciprocità, inizia invece a sviluppare la passione per la recitazione comica molto presto. All’età di 8 anni a sua madre Jeane viene diagnosticata la febbre reumatica e il medico di famiglia consigliò di tenere il suo umore alto. Inizia quindi a prendere lezioni di recitazione già verso gli 11 anni.

Inizia a recitare davanti a un pubblico verso l’età di 15 anni dove interpreta Baldassarre, il servo di Romeo Montecchi in Giulietta e Romeo di Shakespeare. All’età di 22 anni nel 1955 si laurea all’Università dello Iowa in Comunicazioni e Arti Teatrali. Dopo un breve periodo a Bristol in Inghilterra, dove intanto impara la Scherma, che gli permetterà di mantenersi negli anni giovanili, prende lezioni all’Herbert Berghof Studio di New York, dove esordisce come attore professionista. Tuttavia viene convinto ad imparare il metodo Lee Strasberg da Charles Grodin.

Strasberg, morto negli anni ’80 oltre allo stesso Wilder ha accolto nella sua scuola attori come Al Pacino, Dustin Hoffman, Jane Fonda, Marilyn Monroe, Paul Newman, James Dean. Ciò permise al nostro di imparare il metodo Stanislavsky del quale Strasberg era un fautore. Fu in questo periodo che cominciò a presentarsi con lo pseudonimo che si porterà avanti per tutta la vita, sentendo che il suo nome dal sapore ebraico fosse poco adatto alla scena teatrale. Il cognome Wilder era ispirato all’autore dell’opera teatrale Piccola Città di Thornton Wilder, premiata con il Premio Pulitzer per il teatro, mentre il nome Gene sarebbe ispirato a un personaggio del romanzo di esordio di Thomas Wolfe “Angelo, Guarda il Passato”: Eugene Gant. Ma qualcuno sostiene possa essere anche dedicato alla madre

In questo periodo Wilder perde la madre, colpita da un cancro alle ovaie, ma riesce anche ad ottenere una certa celebrità nel circuito alternativo. Ma è alla fine degli anni ’60 che la sua carriera ha una svolta. Wilder conosce il comico Mel Brooks, attraverso la futura moglie di quest’ultimo, Anne Bancroft, nel 1963. Nel 1967 esordisce al Cinema in un ruolo minore in Bonny e Clide di Arthur Penn.

Nel 1968 recita nel film di Mel Brooks “Per favore non toccate le vecchiette (The Producers)”, di un certo successo. L’attore è diventato poi celebre per l’interpretazione di alcune pellicole  come “Willy Wonka e la fabbrica del cioccolato” e “Tutto quello che avereste voluto sapere sul sesso* (*ma non avete mai osato chiedere)” sotto la regia di Woody Allen. Da regista suoi i successi della “Signora in rosso” e de “Il fratello più furbo di Sherlock Holmes”. Grande successo fu anche “Frankenstein Junior” del quale fu soggettista e sceneggiatore, nella sua collaborazione con Mel Brooks.

Non sempre però il successo ha arriso a Wilder, spesso i suoi film come accade per molti attori comici, sono stati rivalutati in una fase successiva. L’attore ha sempre fatto emergere le contraddizioni tra le ragioni del cuore e quelle dell’intelletto: “Se la scienza ci insegna qualcosa, ci insegna ad accettare i nostri fallimenti, come i nostri successi, con calma, dignità e classe… Figlio di puttana bastardo te la farò pagare! perché mi hai fatto questo? Perché mi hai fatto questo?” dirà in un suo monologo in Frankestein Junior.

La sensibilità dell’attore scomparso due anni fa è testimoniata anche dal suo essere così introverso da aver rilasciato ben poche interviste nel corso di 50 anni di carriera. A suffragare questo suo aspetto spirituale il rapporto che Gene aveva con la madre e i suoi sensi di colpa: “Mia madre soffriva ogni giorno della sua vita. E che diritto avevo io di essere felice se lei soffriva? Così ogni volta che mi sentivo felice per qualcosa, sentivo il bisogno di tagliare via quella felicità, e l’unico modo per tagliarla via era quello di pregare. ‘Perdonami Signore’, dicevo. Per cosa esattamente, non lo sapevo” raccontava non senza quel briciolo di ironia e nonsense che caratterizzava la sua opera artistica.

Due anni fa l’attore ci ha detto addio dopo aver affrontato per anni il morbo di Alzheimer, ma resta il suo insegnamento: “Un sacco di attori comici derivano la loro forza principale da un comportamento infantile. La maggior parte dei grandi comici, quando li vedi fare cose stupide, potresti dire “Questo è quello che avrebbe fatto anche un bambino”.