Il caso politico montato intorno ad Armando Siri potrebbe avere sviluppi amari per chi sogna di mandare a casa il governo con il vecchio metodo che stravolse il quadro politico ai tempi di Tangentopoli.
Mentre continua a tenere banco la questione delle dimissioni del sottosegretario al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, chieste da molti esponenti del Movimento Cinque Stelle, in preda di nuovo alle pulsioni manettare che fanno vibrare di piacere diversi gazzettieri di grido, il quotidiano “La Verità” pubblica una rivelazione attribuita a uno dei pm romani che seguono l’inchiesta: l’intercettazione della ormai mitologica telefonata tra Arata padre e figlio che incastrerebbe Siri e proverebbe l’esistenza di una mazzetta, non esiste. O, meglio, non vi è traccia del virgolettato pubblicato dal Corriere della Sera e da Repubblica.
Al centro dell’inchiesta che ha reso tesissimi i rapporti tra Lega e M5S, ci sarebbe una presunta tangente da 30mila euro che Arata avrebbe appunto consegnato a Siri in cambio di una norma da inserire nel Def e che avrebbe consentito di ampliare i finanziamenti per il settore del mini eolico retrodatando la concessione al momento della costituzione di alcune società dell’imprenditore Vito Nicastri, il “re dell’eolico”.
“Questa operazione ci è costata 30mila euro”, avrebbe detto Paolo Arata. Per gli “infallibili” di via Solferino, si tratterebbe di una conversazione registrata da “una cimice piazzata dalla Dia”.
“Le intercettazioni sui giornali? Sono false. Quelle frasi non ci sono nel fascicolo”, ha confessato, invece, un inquirente anonimo al giornale di Belpietro.
Cosa accadrà adesso? Qualche focoso membro pentastellato del governo attenderà che la giustizia faccia il suo corso, nei luoghi e nei modi opportuni, oppure si affiderà ad un’intercettazione senza riscontri per regolare i conti politici con l’alleato in crescita del Carroccio, mettendo fine all’esperienza del governo giallo-verde?
“C’è una gran bella differenza tra garantismo e, diciamola così, paraculismo”, ha scritto il capo politico del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio. Nulla di più vero. Prendiamo in prestito le sue parole. Il garantismo è una cosa seria. Il “manettarismo”, al contrario, è una forma di paraculismo giustizialista che porta dritto ad un abbraccio politico con il Pd per poi spalancare le porte all’avvento di un governo Draghi.