«Cantami, O Diva, l’ira funesta del Pelide Calenda…» esorterebbe oggi il poeta Omero, ma forse più che ad un poema epico, siamo di fronte alla peggiore delle tragicommedie.
Una commedia, perché Carlo Calenda è stato invischiato dal PD in questa campagna elettorale per andare a prendere qualche voto in più dai boccaloni moderati che davvero credono che il pericolo oggi in Italia siano i fascisti di Salvini o quegli antidemocratici dei grillini, che minacciano il quieto vivere dell’Italia della prosperità e del lavoro, che i renziani sono pronti a lasciare in eredità ai posteri, magari governando ancora per qualche anno: vuoi che gli italiani girino le spalle a cotali benefattori?
Dall’alto della sua presunta indipendenza di partito, in realtà più di forma che di sostanza, il Ministro dello Sviluppo Economico uscente Calenda ha ritenuto di poter dare lezioni morali a destra e a manca. Ha dato lezioni di politica amministrativa alla Raggi, dopo i disastri che centrosinistra e centrodestra hanno provocato a Roma, dato lezioni morali sulla questione rimborsi del Cinquestelle, con i furti che il suo governo ha attuato nelle tasche degli italiani tra bail-in e affare MPS, quella banca che, ricordo al lettore, letteralmente regalava emolumenti a politici e imprenditori amici del PD e del centrosinistra.
Fra le vittime degli attacchi di Calenda non poteva che finire anche Matteo Salvini. Il ministro del (non) sviluppo economico piuttosto che rendere conto della situazione disastrosa nella quale versano aziende e lavoratori italiani ha pensato bene di rivolgere al segretario della Lega l’accusa trita e ritrita di non aver mai lavorato in vita sua. Salvini certamente può avere tanti difetti, ma a differenza del saccente e borioso ministro non ha avuto la strada spianata dalla famiglia benestante. Calenda avrà avuto forse dei meriti come manager, ma chi ne avrebbe mai sentito parlare se non fosse figlio alla regista Cristina Comencini e allo scrittore Fabio Calenda?
Insomma più che al lavoro i meriti di Calenda stanno nei parenti importanti. Dal punto di vista politico Calenda è uomo di apparato e a differenza di Salvini o Raggi non in grado di costruirsi alcun consenso senza le stampelle del Renzi di turno. Calenda, invece, dovrebbe rendere conto agli italiani di quanto fatto negli ultimi cinque anni per sostenere un tessuto industriale italiano in ginocchio e fenomeni come quello delle delocalizzazioni.
A cinque anni dall’insediamento del Governo Letta, poi sostituito da Renzi e Gentiloni, l’Italia perde ancora più pezzi di prima. Come avevamo già raccontato in chiusura dello scorso anno sono tante le aziende che chiudono i loro stabilimenti in Italia o falliscono e questo 2018 non sarà certo da meno. La vicenda Embraco era nota già da mesi, ma soltanto in chiusura di campagna elettorale Calenda si accorge che le multinazionali giocano sporco: “Non voglio parlare più con questa gentaglia” dichiara per un momento il ministro, ma si corregge, non gentaglia ma “…gente”.
In questi giorni Calenda ha dichiarato che le regole dell’Unione Europea devono cambiare e che nel caso della Embraco (società della Whirlpool, che delocalizzerà in Slovacchia) la Ue deve deve punire la Slovacchia per aiuti di Stato. Come se ciò potesse impedire alle multinazionali di andare a produrre laddove a parità di condizioni il costo del lavoro è minore. Poi però chiede alla Ue di derogare ai trattati sugli aiuti di Stato per risolvere la situazione.
Sarebbe da ridere se non fosse che c’è in gioco il futuro di migliaia di lavoratori italiani. Ma appena poche settimane fa il grande ministro è corso in soccorso della Bonino che come soluzione ai problemi del nostro paese chiede più Europa! Ma è proprio quell’Europa che con la sua unione monetaria e il suo mercato aperto permette il dumping salariale e che con i suoi trattati e le sue forme di pressione politica ha permesso al nostro tessuto economico di diventare fortemente dipendente dalle grosse multinazionali.
Ma davvero l’Italia ha bisogno della Whirlpool per produrre impianti di compressione per frigoriferi? A quanto pare sì per Calenda, che lo scorso anno di questi tempi sosteneva che sarebbe “un incubo uscire dall’Unione, per noi solo vantaggi da politiche comuni su eserciti, commercio e migrazioni” e che oggi come soluzione propone di chiamare in Italia qualche altra multinazionale o azienda straniera, che dopo due anni riterrà conveniente chiudere baracca anch’essa.
Un’altra grande soluzione di Calenda sarebbe quella di andare in ginocchio dall’Europa a chiedere la deroga sugli aiuti di Stato: ma non ci si illuda, non si chiederebbe a Bruxelles di applicare l’articolo 43 della costituzione, che permetterebbe l’espropriazione della Embraco. Parliamo invece della solita ricetta fallimentare dell’ordoliberismo, dove si regalano soldi ai privati, in questo caso la Whirlpool, per fargli mantenere lo stabile in Italia. Come al solito è un film già visto, simili soluzioni sono state reiterate nel rapporto tra lo Stato italiano e la Fiat per anni, fino a che la Fca non ha deciso di salutare l’Italia dal punto di vista fiscale.
Parliamo dunque di una farsa in tipico stile renziano: per anni l’ex premier ha speso a parole grandi critiche nei confronti di Bruxelles e dell’asse franco-tedesco, nei fatti però il suo partito è diventato se vogliamo più europeista di prima e l’Europa non è cambiata per niente. Il PD e i suoi accoliti possono perdere il tempo a criticare i cosiddetti populisti che vorrebbero la distruzione dell’Unione Europea ieri e non oggi, ma la verità è che l’Europa Unita non è mai stato un buon affare per il nostro paese.
Le moine di Renzi come l’ira di Calenda servono a scippare qualche voto in più, visto che l’Europa al di là dei cliché mediatici non piace nemmeno a molti elettori del PD. Ma soprattutto servono all’establishment europeista ad indorare la pillola, a mostrare quel volto umano che non hanno: la Fornero piange quando crea il problema esodati a migliaia di italiani e aumenta l’età pensionabile, Calenda si incazza quando fa perdere centinaia di posti di lavoro alle famiglie, ma la sostanza è la stessa.
Siamo di fronte a una farsa vera e propria, una farsa che però non fa ridere le centinaia e migliaia di famiglie che perderanno il lavoro grazie ai tanti casi Embraco pronti a scoppiare se non già consumati in questi anni nel nostro paese. Sono centinaia le vertenze giunte sul tavolo del Ministero dello Sviluppo Economico secondo il quotidiano della Cei Avvenire, che lo scorso gennaio ha lanciato l’allarme: a rischio 190 mila posti di lavoro. Intanto un lavoratore della Embraco si è incatenato ai cancelli dello stabilimento, ed ecco oltre alla commedia e la farsa, anche la tragedia.