Anche se il PD apre a Draghi (ma, d’altronde, perché mai non dovrebbe? Forse per farsi rubare la piazza dal “rinnegato” Renzi?) e così pure fa Conte (anche per fare con l’opinione pubblica la figura del “vecchio leone” che, invece di “avvelenare i pozzi”, cede onorevolmente il proprio posto al nuovo arrivato; ma soprattutto e più concretamente muovendosi in conformità con le volontà del Quirinale), rimane il fatto che il nuovo governo Draghi ancora non abbia una sicura maggioranza in Parlamento: anzi, allo stato attuale delle cose rischia perfino di ritrovarsi con meno numeri di quello che “dovrebbe” sostituire.

I Cinquestelle sono una realtà oggi più che mai nebulosa, dove ognuno si muove in base alle motivazioni più disparate: si va da chi segue le direttive del proprio capocorrente di riferimento a chi più banalmente deve mettere in salvo la propria carriera politica, legata anche alla sopravvivenza dell’attuale legislatura (un’equivalenza valida per alcuni di loro, un po’ più aggirabile per qualcun altro). In tal senso le pressioni che Di Maio starebbe facendo sul proprio movimento potrebbero servire a tanto così come a poco, e in quest’ultimo caso darebbero una lettura impietosa circa il riconoscimento o l’ascolto datogli dai suoi. Lo stesso, chiaramente, varrebbe anche per Grillo, che sta esercitando analoghi richiami ma in direzione contraria (non appoggiare Draghi anziché ingoiare anche questo rospo salvaguardando di fatto l’alleanza col PD, come richiesto da Di Maio). Il rischio di una spaccatura strisciante, all’interno del Movimento, è tutt’altro che peregrino. Vedremo, come al solito, che dirà Rousseau.

In ogni caso, se dovessero mancare i numeri, a Draghi non resterebbe molto altro da fare che ritornarsene da Mattarella a mani vuote, riconsegnandogli l’incarico ricevuto. La “fiducia” dei mercati e dello spread che scende è sicuramente importante, per molti politologi ed economisti o presunti tali, ma non al punto da poter rimpiazzare del tutto quella delle Camere. Se Draghi non riuscisse ad ottenerla, si riaprirebbero le danze, e allora qualcuno potrebbe anche legittimamente pensare che tutto sommato pure questo sia stato solo uno dei tanti atti del famoso “teatrino romano”.

Draghi, come ben sappiamo, sarà anche un “rullo compressore della finanza globale” ma anche per questo motivo non è certamente uno sprovveduto o un “kamikaze”, e mettersi a guidare un governo tecnico proprio in questo momento, per ripetere di nuovo la stessa esperienza di Monti (ovvero bruciarsi, né più e né meno) come se quest’ultima non avesse davvero insegnato niente, men che meno a personalità “scafate” come lui, non è detto che sia proprio una grande idea.

Forse, a Draghi, almeno per il momento, conviene più che altro continuare a far da diversivo, da specchietto per le allodole in attesa di tempi migliori (il classico nome che di tanto in tanto viene tirato fuori e presentato al pubblico come una sorta di miraggio che appare all’orizzonte, per alimentare un crescendo d’aspettative), se non altro quel poco che ancora basta prima che si liberi qualche altro posto, più sicuro e prestigioso (e sempre “in zona Roma”: per inciso il Quirinale, dove il settennato di Mattarella è quasi agli sgoccioli) rispetto a quello di primo ministro in un parlamento ormai del tutto inaffidabile. Per ricoprire questo più “ingrato” compito non mancano di certo altri nomi, probabilmente già identificati e prossimi ad essere tirati in ballo, nuovi o “riciclati” che siano: giusto il tempo d’attendere.

Magari potrebbe nascere un nuovo esecutivo, anche di breve durata, guidato da chicchessia (persino un Conte ter, volendo, o qualche altra figura adatta all’occasione), quel tanto che basti ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica (Draghi?) e più tardi andare, se è il caso, anche di nuovo a votare. Anche questa è una delle tante possibilità (insomma, non è detto che il “governissimo” guidato da Draghi e sostenuto da una maggioranza bipartisan o quasi sia l’unica prospettiva riservata a questo paese): tempo al tempo, e lo sapremo.