L’Italia ha buone possibilità di diventare il primo paese occidentale a siglare un accordo di cooperazione con l’Eritrea, paese con cui per decenni condivise nel bene e male intensi legami, che le dure traversie del Novecento misero poi severamente alla prova.
Come infatti molti ricorderanno, a fine gennaio il Presidente eritreo Isaias Afewerki giunse a Roma per il Vertice di presentazione del Piano Mattei, a cui nell’insieme parteciparono 13 capi di Stato, 9 primi ministri, 5 vicepresidenti, ministri ed ambasciatori di 46 paesi del Continente, e rappresentanti di 25 organizzazioni internazionali. Diversamente da molti di loro, che a vertice concluso ritornarono in patria, il Presidente Afewerki (accompagnato dalla sua delegazione in cui si potevano contare i nomi del ministro degli Esteri Osman Saleh, del commissario alla Cultura e allo Sport Zemede Tekle e dell’Ambasciatore in Italia Fessahazion Pietros) si trattenne per altri 12 giorni, visitando Roma, il Lazio, l’Umbria e la Toscana. Dall’industria del marmo in Toscana a quella agroalimentare e delle ceramiche in Umbria fino allo smaltimento e riciclaggio dei rifiuti nel Lazio, numerosi furono gli stabilimenti visitati e che per le loro specifiche attività maggiormente incontravano l’interesse e i primi obiettivi su cui stabilire un’iniziale collaborazione italo-eritrea. Precedentemente, però, il Presidente e la sua delegazione intrattennero vari incontri col primo ministro Giorgia Meloni e con vari ministri e rappresentanti del governo come Gilberto Pichetto Fratin per l’Energia e lo Sviluppo, Francesco Lollobrigida per l’Agricoltura, l’Allevamento e le Risorse Forestali, Gennaro Sangiuliano per la Cultura, Andrea Abodi per la Gioventù, Adolfo Urso per le Imprese e il Made in Italy, Guido Crosetto per la Difesa, Edmondo Cirielli per gli Esteri ed altri ancora, oltre ai rappresentanti di varie associazioni di categoria.
Tutti i temi che potevano completare una piattaforma di cooperazione omnicomprensiva, dalla valorizzazione del patrimonio storico-archeologico alla “rivoluzione green”, dalla transizione digitale alla produzione agricola, dai trasporti alle infrastrutture, dalla gestione delle risorse idriche all’energia, oltre all’istruzione, il turismo, la pesca, la salute o le attività estrattive, vennero in quell’occasione contemplati e messi in agenda. Tra gli argomenti che certo non sfuggirono ai più attenti osservatori, il fatto che l’Eritrea con l’Italia non intendesse soltanto valorizzare il proprio patrimonio archeologico di cui Adulis rappresenta il più noto ed ammirato esempio, ma anche indagare sulla sorte esatta di 150mila volontari eritrei che negli anni del colonialismo onorarono il tricolore italiano sacrificandosi in Libia e in Etiopia, oltre a portare avanti una vasta strategia comune per valorizzare le proprie immense risorse turistiche rappresentate da ben 1200 km di costa sul Mar Rosso oltre che da 300 isole, tra le quali spicca l’arcipelago madreporico delle Dahlak. Nemmeno sfuggì l’aspetto della sicurezza, su cui proprio l’indubbia posizione strategica dell’Eritrea riveste un’enorme influenza. Unico paese nell’area a godere di pace e stabilità, tutelate dalla moderazione della linea politica e dalla deterrenza di una forza militare tra le prime dieci nel Continente, l’Eritrea costituisce anche in tal senso un partner indispensabile per l’Italia oggi preoccupata da quanto in corso tra Yemen e Corno d’Africa, con tensioni che rendono quantomai agitate le acque del Mar Rosso.
Non colpisce dunque che i rapporti tra Italia ed Eritrea, rilanciati dopo il Vertice di fine gennaio, continuino oggi a svilupparsi con promettenti ed interessanti opportunità. Come espresso dal viceministro agli Esteri Edmondo Cirielli in un’intervista apparsa a NovaNews alcuni giorni fa, e ripresa anche dal sito d’approfondimento eritreo Dehai, “Il mio sogno nel cassetto” è che l’Italia sia “il primo Paese occidentale a concludere un accordo almeno biennale di cooperazione con l’Eritrea”. E, dando ad intendere che non di un semplice sogno nel cassetto potrebbe trattarsi, il viceministro aggiunge poi che “Stiamo lavorando a quest’accordo che avrebbe una grossa novità e un risultato molto importante”. Già un mese fa il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva manifestato l’interesse italiano a stringere maggiori legami con Asmara, durante l’audizione alla Camera delle commissioni riunite di Esteri e Difesa in materia di missioni internazionali e cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e stabilizzazione, dichiarando che “L’Italia guarda con interesse all’Eritrea” e valuta con serietà la proposta offerta dal Presidente Afewerki che “ha dato segno di aperture interessanti ad una cooperazione strutturata”.
Il terreno tra Italia ed Eritrea è dunque fertile, e del resto qualche segnale lo si era potuto notare già in passato, comparando la situazione della comunità eritrea in Italia rispetto a quella presente in altri paesi europei come la Germania, l’Olanda o l’Inghilterra, o ancora i paesi scandinavi, per allargarsi poi ad Israele o agli USA o ancora al Canada. Da anni non si registrano a danno delle varie iniziative di comunità nel nostro paese, come in primo luogo i festival per l’Indipendenza, assalti ed incursioni di gruppi di facinorosi come le famigerate brigate Nahmedu, milizie civetta del TPLF all’estero, che invece negli altri paesi menzionati si sono coperte di sinistra fama. Qua semplicemente non si sono mai viste, tant’è che il Presidente stesso insieme alla sua delegazione nei loro giorni a Roma camminavano tranquillamente per le vie senza che nessuno di loro si facesse vivo. Men che meno si sono mai notati boicottaggi da parte delle nostre istituzioni politiche ed amministrative, che al contrario si sono sempre dimostrate aperte e collaborative verso le varie comunità presenti nelle varie città italiane e le loro ricorrenti iniziative nel territorio.