Quello che sta accadendo a Nicola Borzi è di una gravità assoluta. Borzi è il giornalista del “Il sole 24 ore” che il 16 novembre scorso ha scritto dei conti correnti “fantasma” aperti presso la filiale romana di Banca Nuova, istituto del gruppo Banca popolare di Vicenza, dalla Presidenza del Consiglio e i Servizi segreti.

Anche Francesco Bonazzi su “La Verità”, ha ricostruito i movimenti effettuati dal 2009 al 2014 presso la filiale romana di Banca Nuova, in via Bissolati.

L’entità e l’intensità dei rapporti bancari intercorsi, sono notevoli. Quasi 1.600 operazioni bancarie, in ingresso e in uscita, per un controvalore di oltre 642 milioni, in un periodo compreso tra il 17 giugno 2009 ed il 25 gennaio 2013, a cavallo quindi tra il quarto governo Berlusconi e l’era Monti. 425 transazioni, per un ammontare di 43,2 milioni, erano in capo all’Agenzia informazioni e sicurezza interna (Aisi) e altre 20, per 6,2 milioni, alla gemella Aise.

Il trasferimento di fondi più “massiccio” è avvenuto il 16 marzo 2012: 88,5 milioni. Molti pagamenti sono stati effettuati attraverso i comuni strumenti di home banking. L’estratto conto che “Il sole 24 ore” ha potuto visionare, proviene dal gruppo Banca Popolare di Vicenza. Tra i beneficiari dei versamenti ci sono i nomi di contabili del ministero dell’Interno “inquadrati nel ruolo unico del contingente speciale della Presidenza del Consiglio dei ministri”, personale della Protezione civile e del Dipartimento Vigili del fuoco, funzionari del Consiglio superiore della Magistratura, avvocati, dirigenti medici, vertici di autorità portuali, giovani autori e registi, conduttori di trasmissioni di successo sulla radio pubblica e fumettisti vicini al mondo dei centri sociali, figure apicali dell’intelligence italiana, alti funzionari territoriali dei Servizi e delle forze dell’ordine, ufficiali del Carabinieri con ruoli in sedi estere ed ispettori della Polizia di Stato.

Oltre ai Servizi e alla Banca popolare di Vicenza, è la padovana Sec, il centro servizi informatici che, prima del salvataggio del Fondo Atlante e della cessione a Intesa Sanpaolo, era partecipato da una decina di soci capitanati proprio dalla banca vicentina a poter far luce sui legami con i servizi segreti della Capitale e di Palermo.

La banca di riferimento degli agenti dei servizi italiani, spiega Borzi, è stata per anni la Banca Nazionale del Lavoro. Quando però nel 2007 Bnl è finita nelle mani di Paribas, hanno dovuto necessariamente trasferirli in un istituto italiano.

Presso la filiale di Banca Nuova in via Bissolati, era attivo un conto intestato all’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna), dove a partire dal 23 febbraio 2010 potevano operare il direttore Adriano Santini e il suo capo dell’amministrazione.

L’interessantissimo e dettagliato pezzo, sta creando non pochi grattacapi al giornalista. Tanto per iniziare, la Guardia di finanza, su disposizione della procura di Roma, ha acquisito l’hard disk del suo computer di redazione.

Ma le “attenzioni” rivolte a Nicola Borzi non sono finite qui, come lui stesso ha denunciato pubblicamente su Facebook.

https://www.facebook.com/nicola.borzi/posts/10155866073936613

“Il mio telefono è sotto controllo. I miei post su Fb sono filtrati e appaiono a distanza di minuti. La mia carta di credito privata venerdì sera è stata disattivata e riattivata solo sabato mattina (avranno temuto che scappassi: ma per andare dove?). Ho l’impressione che ‘qualcuno’ abbia visitato casa mia.
Il mio archivio digitale di 15 anni di lavoro mi è stato sequestrato. Tutto quanto, non solo quello che serviva alle indagini.
Eppure io non ho commesso reati: non sono indagato ma testimone. È corretto, è giusto tutto ciò?”.

Fatti inquietanti ed incresciosi che meriterebbero più di una semplice spiegazione, soprattutto da parte di chi ogni giorno, da anni, pretende di dare lezioni di libertà di stampa a paesi come Russia, Iran, Venezuela e Corea del Nord. Il 52esimo posto occupato dall’Italia nella classifica annuale sulla libertà di stampa stilata da Reporters sans Frontieres, evidentemente non è figlio del caso.

La Federazione nazionale della Stampa e l’Associazione Lombarda hanno fatto sapere di ritenere inammissibile “che venga violato in questo modo e in contrasto con la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, il vincolo del segreto professionale che tutela la riservatezza delle fonti, cardine del lavoro giornalistico. La tutela delle fonti e dei diritti dei giornalisti coincidono – è bene non dimenticarlo – con il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati”.

L’ordine dei giornalisti della Lombardia, senza entrare nel merito dell’ipotesi di reato (violazione del segreto di Stato), ritiene discutibile il metodo investigativo.

“Non è ammissibile, si legge nella nota dell’Odg lombardo che gli ufficiali di Pg ritengano di avere accesso – su delega in questo caso del procuratore capo di Roma – a tutta la memoria informatica dei dispositivi del giornalista, perché ciò configura un chiaro eccesso rispetto alle finalità dell’inchiesta – sulla quale potremmo discutere a lungo alla luce della giurisprudenza garantistica della Corte Ue – gravemente e irrimediabilmente dannoso della professione e della affidabilità del cronista verso le proprie fonti. Sul punto sarebbe opportuno che il Csm indicasse le linee guida delle attività investigative delle Procure nei confronti della stampa”.