A novembre Theresa May, trattando con la Commissione UE, aveva definito un piano per una soft Brexit, che avrebbe dovuto consentire un’uscita morbida del paese dall’Unione. A causa dei lunghi temporeggiamenti e delle numerose ambiguità della premier britannica, tuttavia, lo scontento tra gli inglesi non aveva fatto che aumentare, anche dentro il suo stesso partito. Se da una parte alcuni avevano dei ripensamenti, a più di due anni dal famoso referendum che aveva visto la vittoria della Brexit, altri invece avevano finito col radicalizzare sempre più le loro posizioni. Nel partito conservatore, alla fine, si è così avuta la “rivolta” di Boris Johnson, a suggerire l’idea che il premierato di Theresa May fosse sempre più screditato e traballante. Tutto questo mentre anche le opposizioni stavano registrando un forte riacquisto di consensi, in particolare i laburisti capeggiati da Jeremy Corbyn, che secondo gli ultimi sondaggi in caso di ritorno al voto potrebbero addirittura vincere.
Conscia della situazione non proprio a suo favore, Theresa May ha così continuato a temporeggiare, in primo luogo nel presentare al parlamento di Westminster il suo piano per una soft Brexit. Il timore di una sua bocciatura era intuibile e motivato, ed infatti malgrado le attese e le trattative sotterraneamente condotte nel frattempo con molti esponenti laburisti e conservatori alla fine la bocciatura c’è stata, pure secca: 432 parlamentari hanno infatti votato contro il piano di Theresa May, e solo 202 l’hanno sostenuto.
A questo punto, il 29 marzo, l’Inghilterra uscirà dall’Unione Europea attuando una hard Brexit, ovvero proprio ciò che tanto Theresa May quanto la Commissione di Bruxelles intendevano evitare. Molti elementi di collegamento economico, diplomatico, commerciale, ecc, che s’intendevano preservare non saranno quindi mantenuti, e l’Inghilterra così come l’UE si ritroveranno in uno status di quasi reciproca estraneità. Ciò gioverà sicuramente all’altro grande partner storico dell’Inghilterra, gli Stati Uniti, che a questo punto con Londra potranno stabilire un gemellaggio ancora più saldo ed incontrastato.
Coi numeri emersi ieri sera a Westminster, c’è di che pensare che il premierato di Theresa May possa avere vita breve. Il leader laburista Jeremy Corbyn, infatti, subito dopo la votazione ha presentato una mozione di sfiducia contro il governo conservatore.
Numerose le reazioni politiche, in primo luogo dall’estero: la cancelliera tedesca Angela Merkel, per esempio, ha dichiarato che “Abbiamo ancora tempo per trattare ma adesso la premier britannica deve fare una proposta”, mentre Antonio Tajani, presidente dell’Europarlamento, ha affermato che “Non credo che ci sia molto da cambiare. Al Regno Unito era stato concesso tutto ciò che chiedeva quando era parte integrante dell’Unione Europea. E’ stato concesso tutto ciò che potevamo concedere senza ledere gli interessi dei cittadini europei: non credo che si possa aggiungere altro. Per il Parlamento Europeo la priorità è la tutela dei diritti dei cittadini europei che vivono nel Regno Unito in caso di una hard Brexit”. Il vicepresidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, ha invece ribattuto che “Dobbiamo essere pronti a ogni possibile ipotesi anche ad un’uscita senza accordo che avrebbe conseguenze molto più ampie sia per il Regno Unito che per l’UE. Ma la Commissione sarà pronta per garantire una reazione ad un qualunque risultato”. In generale l’impressione è quella di una grande fibrillazione politica generale, un po’ in tutti i vertici comunitari.
Nigel Farage, tra i principali promotori col suo UKIP del referendum sulla Brexit, ha invece messo in guardia dalla tentazione d’indire una nuova consultazione con la speranza che possa contraddire i risultati di quella precedente: “Se dovessimo votare per un secondo referendum potreste avere una grossa sorpresa, certo i britannici possono essere molto rilassati, molto cool, ma se vi spingete troppo oltre il leone ruggirà e se ci sarà un secondo referendum noi vinceremo con una maggioranza ancora più forte”. Oltre all’ipotesi di un nuovo referendum sulla Brexit, è stato proposto anche una proroga dei tempi sull’uscita dell’Inghilterra dall’UE, quindi ben oltre il 29 marzo. Theresa May, comunque, almeno in questo caso ha preferito non temporeggiare, dichiarandosi subito contraria ad una simile ipotesi.
In ogni caso oggi al parlamento britannico si voterà proprio per il destino del suo governo, partendo dalla mozione di sfiducia presentata dai laburisti. Il partito conservatore britannico sembrerebbe, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali, determinato a ricompattarsi dietro Theresa May per votare unito contro la mozione di Jeremy Corbyn. L’ha confermato per esempio Jacob-Rees Mogg, capofila dei brexiteers ultrà ribelli, assicurando che, al contrario di quanto accaduto ieri sulla Brexit, anche lui voterà oggi per la fiducia. “Non ho sentito di un solo deputato Tory intenzionato a non sostenere stasera Theresa May”, ha infatti detto alla BBC, confermando in tal senso le rassicurazioni fatte fin da ieri sera anche dall’altro grande rivale di partito della premier inglese, Boris Johnson. L’ipotesi che il governo conservatore possa cadere, riportando l’Inghilterra nelle mani dei laburisti che non vedono la Brexit di buon occhio, in particolare nella sua configurazione più totale, a quanto pare a questo punto sarebbe l’unico elemento in grado di motivare i parlamentari Tory a sostenere ancora Theresa May, di cui per il resto non sembrano avere più molta simpatia.