
Forse al di fuori della Campania non tutti si ricordano di Luigi Necco, tantomeno i più giovani. Necco era diventato famoso negli anni ’80 per i suoi collegamenti da inviato di 90° minuto, quando raccontava le vicissitudini sportive dell’Avellino Calcio o del Napoli maradoniano.
Sua fu la paternità del termine “la mano de Dios”, nato quando al Mundial del 1986 chiese a Diego Armando Maradona, nella celebre partita contro l’Inghilterra nella quale segnò di mano, se a colpire la sfera fosse stata “la mano di Dio o la testa di Maradona” (la mano de Dios, o la cabeza de Maradona).
Ma Luigi Necco non è il solito personaggio popolare da panem et circenses, era un giornalista vero, di inchiesta, dotato di una vasta cultura. Nato a Napoli nel 1934, nel quartiere Sanità, “a cento metri dalla casa di Totò” racconterà in un’intervista a il Roma, il futuro inviato di Novantesimo non ha la possibilità di frequentare troppo la scuola, a causa dei bombardamenti, tuttavia ha la fortuna di nascere in un contesto familiare dove la lettura è tenuta in una certa considerazione.
Dopo alcune esperienze lavorative e il fallimento dell’esperienza in ambito marino, Necco diventò il fattorino di Amedeo Maiuri, allora presidente dell’Ente Provinciale del Turismo di Napoli. Qui ottiene la benevolenza dei dirigenti e viene mandato spesso e volentieri agli eventi organizzati dall’Ente. Necco ha la possibilità di conoscere diversi giornalisti, in questo periodo comincia anche la sua passione per l’archeologia, che gli permetterà molti anni più tardi di fare una grande scoperta.
Negli anni ’60 diventa giornalista scrivendo per testate locali come Corriere Napoli, ma successivamente viene assunto a tempo indeterminato dalla RAI, a seguito di un concorso per giornalisti. Qui inizia a leggere il Giornaleradio e a collaborare con le diverse rubriche radiofoniche per poi passare alla tv nel 1976, quando al tg1 si occupa di cronaca giudiziaria e terrorismo. Intanto riesce a laurearsi all’Istituto Universitario Orientale di Napoli, oggi Università degli Studi di Napoli L’Orientale, in Istituzioni dell’Europa Orientale, con specializzazione in lingua russa.
Le sue incursioni a Novantesimo Minuto invece iniziano nel ’78. Necco a il Roma racconterà che la sua avventura nel giornalismo pallonaro avvenne quasi per caso: “Una domenica, tornato in sede per montare il pezzo di giornata, mi chiamò il capo e mi disse: ‘devi andare a fare 90° minuto. C’è una partita da commentare’. Non l’avevo vista. Mi informai un poco su quello che era successo e andai in trasmissione. Non l’avessi mai fatto: da quel momento dovetti fare lo sport tutte le domeniche… e non ne capivo nulla”.
A Novantesimo divenne famoso per le sue chiusure di servizio durante l’epoca maradoniana: “Milano chiama, Napoli risponde” fu uno dei suoi tormentoni negli anni delle lotte del Napoli, giunto all’apice della sua storia ferlainiana, con il Milan di Arrigo Sacchi. Ma fu anche vittima di un episodio spiacevole: durante gli anni della Nuova Camorra Organizzata, Necco vide il calciatore Juary, stella dell’Avellino di Antonio Sibilia, portare gli omaggi della società irpina al capo della NCO, Raffaele Cutolo, durante una pausa di uno dei tanti processi intentati dallo stato al boss camorristico, naturalmente denunciando l’accaduto. Necco, che aveva denunciato il fatto durante uno dei suoi servizi sull’Avellino e già aveva avuto bisogno della scorta a causa dei suoi servizi sul terrorismo, fu gambizzato all’entrata di un ristorante di Avellino da uno dei luogotenenti di Cutolo, Vincenzo Casillo, detto ‘o Nirone, con tre colpi di pistola.
In seguito Cutolo fece capire che i giornalisti non si toccano e che quella fu l’iniziativa solitaria di Casillo, che aveva bisogno di guadagnare visibilità: “Necco mi sta pure simpatico” dirà ai media a commento dell’accaduto. La vicenda Avellino-Cutolo, tuttavia rientrava in un’inchiesta che lo stesso Necco stava conducendo in seguito al terremoto Irpino: dopo il sisma del 1980, nacque infatti un giro di malaffare tra appalti per la ricostruzione e calcioscommesse: “Correva l’anno 1981. E correvano anche le mazzette per il calcio scommesse e gli appalti per la ricostruzione del post terremoto in Irpinia. Io seguivo quel filone. E feci vari servizi su soldi sporchi e società di calcio, Avellino in testa” racconterà Necco durante un’intervista a Il Giornale di un paio di anni fa.
Conclusasi l’era di Novantesimo, dopo il 1993 Necco torna alle sue origini di giornalista da terza pagina. Non avendo abbandonato la sua passione per l’archeologia realizzerà documentari per la Rai in tutta l’area mediterranea, oltre a conduzioni tv occasionali come il Mi Manda Lubrano di Raitre. Non disdegna neanche la candidatura politica nelle fila dei Democratici di Sinistra.
Ma è l’archeologia che gli darà una delle sue più grandi soddisfazioni e la nomina dell’allora Presidente Ciampi a Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana: Necco sin dall’età giovanile si era interessato alla Germania e alla storia di Heinrich Schliemann, archeologo del diciannovesimo secolo che nel 1873 scoprì il tesoro di Priamo, ancora sepolto nei resti archeologici dell’antica città di Troia (oggi Truva in Turchia). Il tesoro, che contiene oggetti risalenti addirittura al II millennio a.c., venne importato illegalmente in Germania dall’archeologo, pagando una multa salatissima alla Turchia. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il tesoro cadde in mano ai sovietici in seguito alla sconfitta di Hitler e all’ingresso dell’Armata Rossa a Berlino del 1945, ma l’URSS per ordine del KGB negò fino alla sua dissoluzione di essere in possesso del tesoro.
Il giornalista napoletano, negli anni ’90, con l’aiuto dei suoi ex colleghi dell’Università, riuscì ad entrare in possesso di alcuni documenti russi che attestavano il possesso del tesoro da parte dei russi: “La tesi ufficiale del governo tedesco sosteneva che fosse andato distrutto in due bombardamenti. Non ci avevo mai creduto e cominciai la mia ricerca scomodando i più grandi ingegni archeologici del mondo e andando decine di volte a Troia e in altri paesi collegati alla vicenda. Dopo dieci anni di faticose (e costose) ricerche che mi hanno tolto sonno e risorse, ho trovato le prove dell’esistenza del tesoro”, è il racconto che qualche tempo fa Luigi Necco fece a il Roma su quella storia.
Necco riuscì a parlare con la direttrice del Museo Puskin di Mosca: Irina Antonova: “Non aveva mai voluto ricevermi. Ma avevo nelle mie mani una importante prova: la fotocopia della ricevuta del tesoro firmata proprio da lei, Irina Antonova, “kranitel” ispettrice del Puskin, datata 9 luglio 1945. Un giorno, seppi che doveva andare a Milano portando gli impressionisti della famosa collezione russa Morozov, per una mostra al Palazzo Reale in piazza Duomo. Il giorno del vernissage, fendendo la folla dell’inaugurazione, c’erano Giorgio Armani e la Biagiotti, Mondadori e Daverio, mi avvicinai a lei con un grosso fascio di rose. Glielo diedi e lei disse in russo: ‘pacemù?’, ‘perché?’. Le risposi nella stessa lingua: ‘perché hai conservato per tanti anni il tesoro di Troia’. Il muro di Berlino era caduto non si sarebbe dovuto più aver paura del Kgb, mi promise che mi avrebbe fatto vedere il tesoro, ma non fu così”.
Tuttavia il 16 aprile del 1996 i russi mostrarono al mondo il tesoro di Priamo e Necco riuscì ad intervistare quello stesso giorno a Mosca Irina Antonova, che le raccontò tutta la storia, così come lui stesso l’aveva scoperta.
Parliamo di un uomo, un giornalista che è a nostro avviso è stato sottovalutato dalla critica, spesso pronta ad incensare personaggi che difficilmente raggiungono lo spessore di Luigi Necco. Oggi il giornalista partenopeo, per anni protagonista a Novantesimo, ci ha detto addio per sempre, ma fino alla fine non ha smesso di fare il suo mestiere, come oggi in molti non hanno il coraggio di fare. Da anni conduceva un programma sulla tv locale chiamato l’emigrante nel quale denunciava i disastri delle ultime amministrazioni della città di Napoli e non solo, occupandosi di vari temi importanti, come la vicenda Terra dei Fuochi o dell’abusivismo edilizio.
La vita professionale di Necco e di altri personaggi che come lui si sono affacciati quasi per caso alla cronaca sportiva ci suggerisce anche un tema che nel nostro paese ancora non viene preso troppo in considerazione. La specializzazione eccessiva, in particolar modo del giornalismo sportivo sta facendo danni inenarrabili, sia al giornalismo stesso sia alla discussone sportiva e calcistica nel nostro paese. È sempre facile fare paragoni con il passato, che appare sempre più bello del presente, ma il giornalista sportivo di qualche decennio fa era un uomo di cultura a tutto tondo, che prestava la propria formazione alle vicende sportive.
Se oggi in italiano alcuni termini calcistici sono entrati nel gergo comune di tecnici e tifosi che parlano la lingua di Dante lo si deve a Gianni Brera, che nonostante fosse privo di titoli accademici aveva una grande conoscenza e padronanza linguistiche. Da Libero a Melina, sono diversi i neologismi calcistici entrati nella storia della lingua italiana grazie a lui. Nando Martellini, laureato in scienze politiche e poliglotta, iniziò la propria carriera come redattore di Politica Estera, fu il telecronica della vittoria Mundial del 1982. Beppe Viola, indimenticato giornalista milanese morto a soli 42 anni, era amico di Jannacci e grande paroliere musicale. Se ne potrebbero citare molti altri, dall’indimenticato Ciotti, con il suo stile pacato quanto elaborato ai servizi di Gianni Minà su Mohammed Alì e Maradona, dove contesti storici e sociali si incontrano con la voglia di rivalsa sportiva.
Profili decisamente dai giornalisti che vanno di moda di questi tempi. Senza togliere nulla a nessuno, né denigrare la professionalità di ciascuno è evidente la difficoltà del giornalismo odierno nel raccontare il calcio e lo sport se non attraverso luoghi comuni e cliché triti e ritriti. È singolare e sintomatica inoltre la figura dell’esperto di calciomercato, che sta lì a parlare di cifre, retroscena, scoop da novella2000, che hanno l’unico scopo di spettacolarizzare senza costrutto.
Una tendenza che lo stesso Necco aveva evidenziato a modo suo quando si ricordava l’epoca di Novantesimo Minuto: “i veri extraterrestri sono i telecronisti di oggi. Noi parlavamo semplice. Senza star lì a menarla troppo con pistolotti tecnico-tattico-statistici. Adesso c’è forse maggiore preparazione, ma meno capacità di mettere nei servizi anima e passione”.
Salutiamo quindi un grande giornalista, un uomo che non ha mai avuto paura di dire quello che pensava, nonostante le sue origini umili, sperando che ora che è volato lassù a scoprire nuovi tesori, gli venga finalmente reso il giusto tributo. Non solo un guitto da Novantesimo Minuto, ma un uomo dal grande cuore, che ha lavorato fino all’ultimo giorno della sua avventurosa vita, cercando la notizia a costo di dilapidare i suoi risparmi. Ciao Luigi risposa in pace.