Gli eventi ambientali e il cambiamento climatico sono spesso ritratti dai media come i driver di migrazione e conflitto. Sotto questo punto di vista, il Sahel è considerato il ground zero per la sua critica esposizione geografica. Non è sicuramente agevole esplorare il multiforme nesso intercorrente tra cambiamento climatico e mobilità. Piuttosto che come causa principale, il cambiamento climatico si presenta spesso come un moltiplicatore di minacce già presenti e come un supplementare fattore di stress che mescola realtà già difficili: governance debole, ingiustizia sociale, conflitti etnici, infrastrutture limitate e instabilità politica sono solo alcune delle cause che amplificano gli effetti del cambiamento climatico e aumentano la propensione delle persone a migrare, sia all’interno dell’Africa sia verso l’Occidente, oppure a ribellarsi allo status quo.
A quanto pare gli ultimi avvenimenti del Mali sono da inquadrare nell’ambito del conflitto etnico tra Peul e Dogon. Da sempre ci sono attriti tra le due etnie (allevatori i primi, agricoltori i secondi) ma dal 2012 in poi (caduta di Gheddafi, colpo di stato a Bamako, occupazione jihadista del Nord, ecc.) gli scontri sono sempre più frequenti. Da quando poi Amadou Kouffa, l’imam Peul, si è alleato ad AQMI ed ha incitato i Peul alla jihad (è il gruppo più attivo al momento) i Dogon sono stati vittime di attacchi terroristi, e questi stanno iniziando a vendicarsi sui civili. La mattina del 23 marzo u.s., nel villaggio di Amassagou, nel Mali centrale, sono state massacrate 134 persone, tra cui anche donne e bambini. Sulla scia di questa notizia sconvolgente, il 24 marzo il governo ha licenziato diversi alti ufficiali e sciolto una milizia. E questo in un paese dove l’esercito francese è intervenuto dal 2012 per combattere i jihadisti.
Questa tragedia evidenza quanto lo stato maliano sia assente nel centro del paese, teatro di violenze da anni e abbandonato a se stesso. A novembre la Federazione internazionale per i diritti umani e il suo ramo maliano avevano dato l’allarme, denunciando atrocità di massa compiute esclusivamente sulla base dell’appartenenza etnica. Il terrorismo salafita attecchisce laddove c’è disperazione e miseria. La modernizzazione dello stato maliano si è rivelata un fallimento e ha creato una situazione in cui i conflitti tradizionali hanno assunto la forma del jihad o piuttosto hanno provocato un ritorno del jihad. Sembra di tornare nell’Ottocento, quando (es: rivolta mahdista sudanese) in Africa la guerra nel nome del Corano era l’espressione di grandi movimenti politici e della resistenza alla colonizzazione.
Occorre pertanto superare la mera dimensione militare della lotta contro i jihadisti, in Mali come in tutta l’Africa. E affrontare la complessità, le varie specificità locali e l’interazione tra le rivolte e le problematiche economiche e sociali di lungo corso che non sono mai state affrontate