Mogadiscio negli Anni '20.

Esplorazioni, viaggi, avventura, cosmopolitismo. Ma anche politica, patriottismo. Il mio nuovo libro si focalizza sulla storia delle esplorazioni italiane in Africa, e in particolare sulla figura di Manfredo Camperio, solido uomo dell’Ottocento e patriota appassionato che cresce in un contesto internazionale e rappresenta l’Italia alla cerimonia inaugurale del Canale di Suez (1869). Insieme a Cesare Correnti, presidente della Società Geografica Italiana, Camperio è uno dei principali artefici della svolta “africanista”. L’Africa, considerata “una vocazione commerciale italiana”, sarà al centro degli interessi  di Camperio e della rivista L’Esploratore da lui fondata (1877), cui seguirà la nascita della Società d’esplorazione commerciale in Africa (1879). Entrambi saranno strumenti utili a promuovere le prime esplorazioni nel Continente Nero, secondo un modello di “colonialismo commerciale” pacifista, alternativo alle occupazioni militari. Questo libro riproduce la storia accattivante di quegli anni, lungo un percorso che lascia ai lettori  un fascino evocativo del tutto particolare. Le lettere, gli appunti, le relazioni e i diari di viaggio, le gesta degli esploratori italiani in Africa, le loro speranze e le loro tragedie, ci permettono di penetrare ancora quel mondo apparentemente lontano ma in realtà sempre attuale e prezioso per comprendere le realtà africane e lo scramble for Africa tuttora in corso.

Come e perché nasce questo libro? Dopo aver scritto due volumi sull’Etiopia storica e sull’Eritrea, mi sono domandato per quali ragioni l’Italia, negli anni che seguirono all’Unità (1861), si rivolse all’Africa. E per quali ragioni la prima fase del proto-colonialismo italiano si orientò alla Libia e al Corno d’Africa. Attraverso un paziente e faticoso lavoro incentrato sulla meticolosa ricerca delle fonti e sullo studio delle riviste, dei carteggi, dei diari di viaggio dei nostri esploratori (spesso ancora inediti) e delle pubblicazioni dell’epoca, ho scoperto che molti dei protagonisti (intellettuali, scienziati, politici, esploratori) di questa prima fase pionieristica affidata all’iniziativa privata erano stati anche attori e patrioti del Risorgimento, e che in quegli anni si approcciarono all’Africa per tentare di dare una risposta al drammatico problema dell’emigrazione italiana. Il sogno coloniale si andò così progressivamente affermando attraverso una paziente produzione scientifica, la letteratura di viaggio e la memorialistica, la narrativa popolare e colta, l’arte figurativa e la fotografia.

Alternando missioni evangeliche e battaglie contro schiavisti e tribù ostili, scopi scientifici e interessi mercantili, tassidermia e fucili, topografia e polvere da sparo, furono in pochi a sopravvivere a questa sete di avventura. Attraverso l’evoluzione della politica coloniale di quegli anni si possono seguire anche le principali linee di sviluppo della politica interna, i dissidi tra Destra e Sinistra e tra Società Geografica Italiana (in breve “SGI”) e lo “Stato di Milano” che Camperio volle e seppe rappresentare. Subitanei entusiasmi, profonde depressioni, illusioni, precisi calcoli politici, circostanze fortunate e fortuite, improvvisazioni e tragedie segnarono quest’epoca straordinaria, e spinsero confusamente l’Italia nel grande processo internazionale per la conquista dell’Africa.

La verità storica che emerge sfata inoltre alcuni miti e leggende. La prima “grande spedizione” di Orazio Antinori (1876) fu un mezzo disastro dal punto di vista commerciale, e vide profondi conflitti tra i suoi componenti (Chiarini morì peraltro prigioniero della regina del Ghera e il suo diario attende ancora di essere pubblicato). Società Geografica Italiana e Camperio entrarono in contrasto, la stazione di Let Marefià fu donata da Menelik per interessi utilitaristici dello stesso (la fornitura di armi, che fu effettuata dal conte Antonelli). In Somalia la Società del Benadir anziché combattere lo schiavismo lo alimentò, macchiandosi di orrendi crimini. Alla prima fase del proto-colonialismo pacifico di Camperio subentrò la fase interventista dello sbarco italiano a Massaua (1885) e il tentativo di insediare colonie agricole di popolamento.

Camperio non fu certo toccato dalla fede comboniana nella Nigrizia e non ebbe il furore antischiavista di Gessi ma, come ha scritto Giuseppe Maria Longoni, “il suo occhio coglieva la dimensione umana, se non proprio i risvolti di tipo socio-etnologico del dramma gigantesco che andava in scena oltre il Mediterraneo”: dramma che ancora occupa costantemente le nostre cronache quotidiane. E soprattutto Camperio usò il viaggio come chiave per comprendere, per ampliare la conoscenza dei luoghi, dei popoli e delle culture ”altre”, come momento formativo dotato di significato e non solo come rituale consumistico e come status symbol. Egli sposò la filosofia di Stanley, esploratore che ammirò profondamente, secondo la quale “la prospettiva più bella è davanti a noi: strade nuove, magnifiche, sconosciute, e questi misteri che noi scopriremo saranno il più grande rimedio e ci faranno sorridere in faccia alla febbre e alla morte”[1].

Camperio ci ha insegnato anche una dote fantastica, la resilienza, cioè la capacità di rialzarsi, di resistere ai colpi e di non arrendersi mai. Di continuare a provarci nonostante i precedenti fallimenti e la sorte avversa. Se guardiamo alla storia i più grandi uomini hanno sempre coltivato la resilienza per diventare più forti, più saggi, per donare al mondo la loro grandezza, senza aspettare le giuste condizioni, ma al contrario cercando di generare le condizioni giuste. Camperio, pertanto, può essere considerato un grande uomo e dobbiamo ancora ringraziarlo per quella sua straordinaria capacità di farsi portatore degli ideali risorgimentali e per quella sua particolare vocazione all’Africa, di cui oggi si sente tanto la carenza.

Oggi ci portiamo ancora appresso un passato che non passa. Lo scandalo Cagnassi –Livraghi di Massaua; gli sprechi e i comportamenti lascivi durante l’amministrazione militare della Colonia Eritrea prima dell’arrivo di Martini; le brutali espropriazioni di Baratieri in Eritrea e il più che disinvolto operato della Società del Benadir in Somalia; la deportazione della popolazione della Cirenaica e l’uso dell’iprite durante la guerra di Libia e di Etiopia; l’apartheid, le leggi razziali e contro il madamato; i lager di Nocra in Eritrea e di Danane in Somalia; il massacro di Addis Abeba e dei monaci e diaconi di Debra Libanos in Etiopia ad opera di Graziani (che finì in bellezza la sua fulgida carriera nella Repubblica Sociale Italiana). Il colonialismo politico è una macchia che oggi i più vorrebbero cancellare senza nemmeno conoscere.

Il “meticciato” in Eritrea rappresenta ancora un problema politico e sociale irrisolto. Questa degli italo – eritrei che dal 1953 chiedono invano la cittadinanza è davvero una storia infinita. Nel 2004 il ministro degli Italiani all’estero Mirko Tremaglia, figlio di un militare morto nel 1942 in Eritrea, in occasione della sua visita all’Asmara spiegò che la Farnesina si stava impegnando per risolvere i problemi posti dalla legge italiana. Ma anche in questo caso le promesse sono cadute ancora una volta nel vuoto. Come potremo mai affrontare la sfida della multietnicità se dopo oltre 70 anni dalla caduta dell’impero non sappiamo ancora assumerci la responsabilità del nostro passato coloniale?

Oggi i territori ex coloniali italiani sono diventati (o semplicemente tornati ad essere) aree di crisi flagellate dalla siccità, dai conflitti tribali, dalla corruzione delle classi dirigenti locali, dalla fuga di massa delle popolazioni civili da miseria e conflitti e da precarie tregue armate che stanno paralizzando il loro sviluppo. La Libia e la Somalia sono ripiombate nel tribalismo dei tempi di Camperio. L’Etiopia si è trovata sull’orlo di una guerra civile e in essa stavano esplodendo i conflitti etnici: il nuovo premier di etnia oromo ha aperto una nuova stagione di dialogo con l’Eritrea, che ha grandi risorse da valorizzare e che sta cercando con fatica di risollevarsi dalle devastazioni belliche, dall’isolamento internazionale e dalle (ingiuste) sanzioni imposte dall’ONU dal 2009. Ripensare a Camperio e alle sue visioni potrà forse darci delle nuove chiavi di lettura per non ripetere più gli stessi errori e per entrare nel profondo della storia di questi territori e della stessa storia italiana tra l’Unità e la fine dell’Ottocento, e fornire inoltre alcune anticipazioni sul futuro che ancora ci attende. Dobbiamo avere maggior rispetto di questo nostro passato: potrà esserci utile per comprendere questo nostro complesso, difficile presente, e intravedere così i futuri accadimenti che passeranno ancora una volta per l’Africa.

Come relazionato dall’ISPI[2], il Corno d’Africa è una penisola diventata nell’ultimo quindicennio protagonista di fenomeni e dinamiche politico-economiche rilevanti a livello globale, tali da renderla estremamente importante, corteggiata e a tratti addirittura ambita. La vicinanza a diversi scenari di crisi (tra tutti lo Yemen mantiene una sua preminenza geopolitica) e la posizione geografica altamente strategica hanno favorito una corsa verso la regione da parte di attori esterni impegnati ad aumentare la propria presenza e influenza. A fronte di una rilevanza crescente, il Corno d’Africa rimane tuttavia una delle regioni al mondo con i più bassi livelli di sviluppo socio-economico e i più elevati livelli di vulnerabilità ambientale. La regione è, inoltre, teatro di frequenti crisi umanitarie e ambientali ed è al centro delle dinamiche migratorie che si riflettono sull’intero centro e nord Africa e sul continente europeo.

In un mondo che sembra ormai senza più ideali e speranze, dove l’istinto della violenza e i batteri dei nuovi fascismi, dei nazionalismi e dei colonialismi stanno mutando continuamente e si diffondono a macchia d’olio, dove le distanze geografiche si accorciano sempre di più e i media si limitano a dare solo notizie superficiali e sensazionali, seguire le avventure di Camperio e di coloro che lo accompagnarono nelle sue esplorazioni africane ci potrà aiutare per meglio comprendere le continue evoluzioni dell’Africa, questo continente da secoli al centro degli appetiti politici ed economici internazionali e che, pur impoverito dalle sue disperate ondate migratorie verso l’Occidente e continuamente depredato delle sue risorse materiali, sta faticosamente cercando di uscire da vecchi e nuovi colonialismi per intraprendere la strada dello sviluppo e di un’effettiva indipendenza. Come ha scritto Romain Rainero nel 1960, “tocca a tutti (noi) e specie agli ex-dominatori, gli europei, capire le nuove realtà, e solo alla loro luce pensare al futuro in una serena e costruttiva visione di cooperazione e di simpatia verso un continente che risorge”.

L’augurio è che la conoscenza delle opere e delle gesta di Camperio possa essere ancora di stimolo a quanti, in contesti spesso non molto dissimili da quelli che affrontarono questi esploratori italiani dell’Ottocento, si rivolgono oggi all’Africa, un continente sempre in bilico tra grandi problemi e grandi promesse, e la cui effettiva conoscenza (oggi come allora) rimane spesso ancora mistificata e deviata dai media. Viceversa, forse una miglior percezione e conoscenza del nostro presente potrà favorire anche una migliore comprensione del nostro passato coloniale. Come ha scritto E. Evans – Pritchard nel 1961:

“solo lo storico che comprende il presente può comprendere il passato. Da ciò deriva una sorta di paradosso: se il presente può essere compreso solo retrospettivamente, quando è già diventato passato, così il passato può essere compreso solo alla luce del presente”

[1] Queste frasi sono tratte da Le scoperte di Enrico M. Stanley e del luogotenente Cameron nell’Africa, letture tenute da Camperio nelle conferenze mensili della Società Geografica Italiana nel gennaio e febbraio 1876, Treves, Milano 1876,pp.12 e 18

[2] Osservatorio di Politica Internazionale, Cooperazione e competizione degli attori mediorientali e internazionali nel Corno d’Africa”, n.141, ottobre 2018.

Manfredo Camperio durante la seconda spedizione in Eritrea, presso il valico di Maierbebit verso Gheleb, nel 1889. Per gentile concessione del Fondo Camperio

di Alessandro Pellegatta