È trascorso circa un mese dell’aggiornamento del DEF da parte del Governo, eppure tra la Commissione europea e i giallo-verdi ancora non si riesce a trovare la quadra.

Mai come quest’anno, infatti, la Legge di Stabilità è stata al centro del dibattito politico tra Roma e Bruxelles; dibattito, che col trascorrere dei giorni si è via via trasformato in una vera e propria prova di forza. Da una parte, i tecnocrati dell’Unione Europea, da sempre a difesa della politica rigorista, e dall’altra, la coalizione Lega-Cinque Stelle, più favorevole a misure economiche di tipo espansivo.

Il motivo della contesa è semplice. La Commissione europea si rifiuta di concedere al Governo italiano una maggiore flessibilità sui conti pubblici, temendo un eventuale “effetto domino” anche sugli altri Stati membri, mentre i giallo-verdi proseguono la loro battaglia contro l’austerità, ben consapevoli che la propria credibilità politica dipende dall’esito delle contrattazioni con Bruxelles.

Tutto ha avuto inizio il 27 Settembre scorso, giorno in cui il Consiglio dei Ministri ha approvato la nota di aggiornamento al DEF. Dopo otto giorni il Governo italiano ha ricevuto una lettera dalla Commissione europea, nella quale Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis, rispettivamente titolare agli Affari economici e vicepresidente, preannunciavano una bocciatura del DEF qualora non fossero state apportate sostanziali modifiche.

Il messaggio lanciato è inequivocabile, o si tolgono flat-tax, riforma delle pensioni e reddito di cittadinanza, o la manovra non passa. Noncurante dell’avvertimento, il Governo italiano ha tenuto il punto, e dopo neanche due settimane è arrivata la bocciatura da parte Commissione europea.

Incassato il colpo, il 29 Ottobre i giallo-verdi sono tornati all’attacco, presentando una nuova bozza della Legge di Stabilità. Nonostante l’apparente somiglianza tra le due versioni, esiste una sostanziale differenza degna di attenzione. Reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni sono state parzialmente escluse dalla nuova manovra, nel senso che sebbene i fondi per le due misure siano rimasti, la relativa attuazione normativa è stata astutamente posticipata.

Ad oggi, 8 Novembre, il testo della manovra è al vaglio della Commissione bilancio, per poi approdare nell’Aula della Camera, salvo imprevisti, tra il 29 e il 30 Novembre. Ora, è innegabile che l’ultima versione della manovra ha più probabilità di incontrare il parere favorevole di Bruxelles, ma è anche vero che il Governo avrebbe potuto giocarsela meglio, in quanto il rischio di una nuova bocciatura è sempre molto alto. L’errore del Governo sta nel fatto di aver ingaggiato il braccio di ferro con Bruxelles, quando invece la cosa migliore da fare era giocare d’astuzia. Purtroppo, l’impressione è che i giallo-verdi non abbiano una strategia ben definita, ma la sola volontà di resistere fino alle elezioni di Maggio, nella speranza di un cambio di guardia ai vertici dell’Unione.

E se non ci dovesse essere alcun cambiamento? Ma anche se dovesse avvenire, da qui fino a Maggio a quanto arriverebbe lo spread? Certo, se nel frattempo il Governo gettasse la spugna lo spread diminuirebbe, ma i suoi rappresentanti perderebbero definitivamente la faccia. Ma allora, qual è la soluzione?

Una possibile strategia potrebbe essere la seguente.  Come prima cosa, è necessario che la Legge di Stabilità sia approvata quanto prima, poiché la situazione di stallo creatasi non fa altro che aumentare lo spread. A tal proposito, occorrerebbe ritirare dalla manovra il reddito di cittadinanza, in quanto principale voce di costo, e destinare tutte le risorse finanziare reperibili a provvedimenti a favore della crescita. Così facendo si otterrebbe un duplice vantaggio, nell’immediato, una  riduzione dello spread, e nel medio termine, una diminuzione del rapporto deficit-PIL.

Successivamente, ovvero dopo le elezioni di Maggio, gli scenari possibili sarebbero due: nella peggiore delle ipotesi, cioè nessun cambio di guardia ai vertici dell’Unione, il Governo potrebbe sperare di introdurre gradualmente il reddito di cittadinanza nelle manovre successive, cioè dal 2020 in poi, sfruttando il maggiore margine di intervento derivante dall’aumento del PIL nel 2019; nella migliore delle ipotesi invece, i giallo-verdi potrebbero addirittura introdurre integralmente il reddito di cittadinanza nella manovra dell’anno prossimo.

Inoltre, anche sulla flat-tax ci sarebbe da sollevare qualche critica, ma tale questione esula dai limiti della presente analisi. Concludendo, il Governo dovrebbe comprendere che prima viene la crescita, e solo dopo le politiche assistenziali,  altrimenti, perfino il reddito di cittadinanza, di per sé importantissimo, rischierebbe di diventare controproducente.