![maradona Diego Armando Maradona](https://www.opinione-pubblica.com/wp-content/uploads/2018/05/maradona-640x360.jpg)
Il Calciatore più forte di ogni tempo
Avevo già dedicato un articolo all’argomento. I “paragoni inappropriati” tra calciatori ed epoche diverse hanno una fallacia di partenza, dato che il calcio è uno sport di squadra, non presenta parametri assoluti.
Il valore individuale di un calciatore è riconducibile tanto alla classe del singolo quanto alla sua capacità di produrre “mito”, di “comunicarsi”. E in questo aspetto Diego Armando Maradona è stato probabilmente il migliore del suo tempo, tanto che ancora oggi i rotocalchi di tutto il mondo continuano a parlarne, nel bene e nel male. Ergere qualsivoglia calciatore allo status di numero uno, senza prendere in considerazione il contesto politico/sociale nel quale ha vissuto, il periodo sportivo in cui ha giocato, i metodi di lavoro dell’epoca e come tale disciplina si sia evoluta successivamente, è semplicemente un errore grossolano.
Se dovessimo prendere in considerazione lo sviluppo del calcio nella tua totalità, vedremo che nel corso del tempo esso è andato via via migliorandosi, correggendo e ampliando regole basilari che sono divenute in seguito fondamentali per cambiarlo radicalmente, aggiungendovi quell’agglomerato tattico che oggi ne fa uno sport del tutto complesso. Maradona come chiunque altro non può essere definito il miglior calciatore di ogni epoca, ma dev’essere valutato secondo i canoni del calcio in cui ha militato. Ogni calciatore è figlio del suo tempo.
Maradona ha vinto da solo
Una diceria malevola che nel corso del tempo ha preso piede, trasformandosi in qualcosa di pericoloso, perché essa ha mistificato la realtà dei fatti e in seguito alimentato la leggenda del Pibe de Oro.
Come assunto poc’anzi, nel calcio e in ogni sport collettivo nessuno vince da solo, è un dogma lapalissiano per sua stessa accezione. Detto questo c’è da chiedersi come si è arrivati a questa manipolazione dei fatti, da quale momento storico si è partiti? È molto probabile che questa frase insensata sia scaturita in concomitanza con il suo arrivo a Napoli, e con l’inizio della risalita dei partenopei verso lo scudetto.
Se è vero che giunto in Italia Maradona aveva già il Mondiale ’86 in tasca, è anche importante sottolineare che tale evento ha avuto un effetto “eco” soltanto dopo le tante acclamate imprese con la maglia azzurra. Maradona non ha vinto da solo, ma con una squadra ben organizzata, costruita attorno al suo genio e sregolatezza. Ripercorrendo brevemente la sua carriera di club possiamo notare che dopo un brillante inizio con il Boca Junior (28 reti in 40 partite), una delle società più titolate e prestigiose del Sudamerica, vincente non solo entro i confini nazionali ma anche al di fuori, Dieguito abbia inciso solamente a Napoli, anziché in squadre più prestigiose, vedi il Barcellona.
In Catalogna infatti Maradona non appare un trascinatore, nemmeno così carismatico come lo sarà di lì a poco a Napoli. Le circostanze non favorirono l’esplosione di Diego, un argentino umile inserito in un borghese contesto catalano che in alcuni casi gli fu troppo ostile probabilmente, non gli permisero di far esternare il suo “genio” e smoderatezza.
Vince una Coppa del Rey, una Coppa della Liga ed una Supercoppa di Spagna. Quest’ultima senza giocarla causa infortunio. Totalizza 22 gol in 36 partite di Liga, 4 gol in 9 partite di Coppe Nazionali, 8 reti in 7 partite di Coppe Continentali e altre 4 marcature in 6 match di altre coppe. La società però visti gli scarsi risultati ottenuti, i guai di salute e il pessimo comportamento avuto in svariati momenti, decide di lasciarlo partire.
– Da Barcellona a Napoli
Il primo anno a Napoli conquista l’ottavo posto ma la squadra non gira nonostante l’arrivo di Maradona, nella stagione successiva tra alti e bassi la squadra partenopea si posiziona terza.
La svolta arriva nell’annata 1986-1987, con la vittoria del primo scudetto storico ed una Coppa Italia. Quell’anno Maradona risulterà il miglior marcatore del Napoli con soli 10 gol. Le prime soddisfazioni giungono contemporaneamente con l’avvento di una squadra decisamente più equilibrata e competitiva. Bruscolotti, Giordano, Ferrara, Carnevale, Bagni, De Napoli favoriscono un ottimo rinforzo per l’organico di Ottavio Bianchi, al centro il solito Maradona.
Durante la manifestazione satellite, la Coppa Italia, vi è l’apporto rilevante di Bruno Giordano, autore di 10 reti totali e di un percorso sicuramente facilitato nel tabellone. Il Napoli di Maradona infatti incontrò (in ordine): Lazio (16° in Serie B), Cesena (3° in Serie B), Vicenza (18° in Serie B), Taranto (15° in Serie B) e Spal (In serie C1). Al secondo turno affrontò: Brescia (14° in Serie A), Bologna (10° in Serie B), Cagliari (20° in Serie B) e infine, l’Atalanta (16° in Serie A). L’anno successivo, il Napoli parte forte, ma viene recuperato dal Milan di Sacchi, che regalerà il primo scudetto dell’era berlusconiana ai rossoneri.
Nella stagione 1988-1989 il Napoli trionfa in Coppa UEFA, il marcatore della competizione, Careca (considerato da molti uno degli attaccanti più forti tra gli anni ’80 e ’90) disputa un torneo impeccabile, Maradona lo assiste. Il penultimo anno, il Napoli si riconferma in salute, e rivince il campionato con Diego autore di ben 16 gol, miglior marcatore. A seguire qualche rinsaldo per l’organico, Corradini (nel pieno della maturità calcistica) e Francini (8 presenze nella nazionale maggiore), due centrocampisti, Fusi e Mauro (centrocampista con notevole esperienza, 102 partite giocate in 4 anni di Juventus) e infine un giovane e promettente Gianfranco Zola.
– Gli ultimi anni
Maradona nell’ultimo anno a Napoli è già in declino, la squadra riesce a vincere però la Supercoppa Italia. La restante carriera di club per il Pibe da lì in avanti non ha più risvolti positivi, passando in anonimato tra Siviglia, Newell’s Old Boys e concludendo la sua carriera al Boca Juniors, dove aveva iniziato.
Come appurato in questo limitato excursus Maradona è risultato incisivo in campo grazie alla sua leadership, con la sua presenza in campo rassicurava la squadra, ed era solito non muovere critiche verso i compagni. Alcune prestazioni eccellenti legate ad un forte carisma in mezzo al campo, hanno fatto sicuramente la differenza. Il Napoli senza Maradona probabilmente non avrebbe vinto alcun scudetto, ma senza la squadra di quel tempo Maradona non avrebbe vinto ugualmente. Si era semplicemente formato un connubio perfetto.
Napoli è stata una casualità decisa da tempi e scelte corrette, era un ambiente ideale per il personaggio Maradona, non solo per gli aspetti puramente sportivi ma anche per quelli extra calcistici, i quali hanno poi segnato in modo indelebile la sua figura tra luci e ombre nel panorama mondiale.
Quel Mondiale a Messico ’86
All’interno del mito di Maradona non può mancare il pilastro centrale che ne ha costruito l’immagine e la conseguente gloria. Il mondiale del 1986 in Messico ha decretato secondo molti “addetti ai lavori” un prima e un dopo nella storia di questo sport, insomma uno spartiacque nel calcio moderno. Esso è divenuto nel tempo, il solo metro di giudizio per giudicare un calciatore su qualsiasi piano. Un’eresia vera e propria pensare il contrario.
Maradona giunge alla manifestazione calcistica più importante dopo le delusioni precedenti. Otto anni prima, nel 1978, non aveva potuto partecipare alla cavalcata vincente della sua nazionale data la sua giovane età. Al mondiale ‘82, vinto dagli azzurri, fu espulso contro il Brasile all’85’ minuto per un fallo di reazione su João Batista da Silva. Collezionò 5 presenze e 2 gol. A Messico ’86 giunse in forma smagliante, pronto ad incantare il suo popolo e a regalare una grande prestazione complessiva. I fatti dicono che ci riuscì, vinse quel campionato del mondo. Ma è andata esattamente come sempre ci hanno raccontato?
Anzitutto va smontata la teoria secondo la quale Maradona vinse con una rosa scarsa (per usare un eufemismo). L’Argentina dell’epoca aveva un organico valido, costituito da buoni calciatori che non possedevano qualità sopraffine, sia ben inteso, ma che nelle corde godevano di molta esperienza internazionale. La formazione titolare pubblicata da “El Pocho” dava in rassegna questi nomi (accanto vengono posti i rispettivi titoli conseguiti fino a quel momento):
P 18 Nery Pumpido (CLUB – 1 Coppa Libertadores, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Campionato Argentino)
D 5 José Luis Brown (CLUB – 2 Campionati Argentini)
D 9 José Luis Cuciuffo (CLUB – 1 Supercoppa Sudamericana ed 1 Coppa del Re Sudamericana)
D 19 Oscar Ruggeri (CLUB – 3 Campionati Argentini; 1 Liga Spagnola; 1 Coppa Libertadores, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Coppa Interamericana – NAZIONALE- 2 Coppa America (1991, 1993) – Calciatore Americano dell’anno 1991)
C 2 Sergio Batista (CLUB – 3 Campionati Argentini; 1 Coppa Libertadores, 1 Coppa Interamericana)
C 14 Ricardo Giusti (CLUB – 2 Campionati Argentini; 1 Coppa Libertadores, 1 Coppa Intercontinentale)
C 7 Jorge Burruchaga (CLUB – 1 Campionato Argentino – 1 Coppa Libertadores, 1 Coppa Intercontinentale; 1 Re Coppa Sudamericana, 1 Supercoppa Sudamericana)
C 12 Héctor Enrique (CLUB – 1 Campionato Argentino, 1 Coppa Libertadores, 1 Coppa Intercontinentale, 1 Coppa Interamericana)
C 16 Julio Olarticoechea (CLUB – 1 Campionato Argentino; presente anche nella nazionale che arrivò seconda ai Mondiali 90)
A 10 Diego Armando Maradona (/)
A 11 Jorge Valdano (CLUB – 1 Campionato Argentino, 2 Campionati Spagnoli, 2 Coppe UEFA)
Ricapitolando, dati alla mano:
6/10 hanno vinto la Libertadores, campioni del Sudamerica – con squadre differenti – l’Argentinos Junior, l’Indipendiente, il River Plate;
5/10 sono stati campioni del mondo di club (eccetto Batista con l’Argentinos Junior, partita epica disputata con un’ottima Juventus proprio nel dicembre dell’85, considerata da molti tra le più belle finali per un Mondiale di Club);
8/10 hanno vinto almeno un titolo internazionale con le rispettive squadre di club;
9/10 hanno vinto almeno un campionato argentino.
La Seleccion, al contrario dell’idea comune, era dunque composta da giocatori di una certa caratura, con un bagaglio di esperienza notevole. Una dote che senza dubbio risulta fondamentale in una Coppa del Mondo. Va aggiunto che negli anni ’80 vincere l’Intercontinentale rappresentava la massima aspirazione, e ben 5 calciatori titolari di quella nazionale vi riuscirono con addirittura 3 squadre di club. Il tasso tecnico dei calciatori in questione quindi è fuori discussione.
A suffragio della tesi qui riportata va sottolineato che i giornali dell’epoca vedevano tra le potenziali concorrenti al titolo proprio l’Argentina, insieme a Francia, Spagna e Brasile. Menzione a parte per la Danimarca, squadra decisamente forte e organizzata, ma altresì sfortunata. Dopo un girone nettamente dominato, con 3 vittorie su 3 partite, l’ultima con un sonoro 6-1 all’Uruguay, pagò i ritmi elevati della prima fase contro una Spagna più riposata (a dispetto dei danesi disturbati per tutta la notte dai tifosi avversari).
Il tabellone per la squadra di Carlos Bilardo fu senza dubbio più alla portata delle loro capacità. Nel girone figurava un abbordabile Corea del Sud, la nostra nazionale italiana campione del mondo oramai in parabola discendente, e la discreta Bulgaria. Per l’Argentina non fu troppo complesso, si sbarazzò della Corea con un secco 3-1, pareggiò con gli azzurri e vinse con una certa semplicità (2-0) contro i cosiddetti “brutti sporchi e cattivi”.
Maradona fornì assist vincenti per i due mattatori iniziali, Valdano e Burruchaga, l’attaccante siglò 3 reti pesanti e regalò un assist al Pibe de Oro contro l’Italia. Agli ottavi contro l’Uruguay decise Pasculli. Fu solo dai quarti in poi che Maradona si accese realmente. Con l’Inghilterra fece doppietta, il primo gol di pura disonestà, il secondo di talento. C’è da rilevare come però tale gesto anti sportivo, soprannominato poi la Mano de Dios, diventò fondamentale per la vittoria sugli inglesi. Un gol falsato ma dato per regolare, emblema di un calciatore che mai si pentì del fatto compiuto, ma che anzi, nel dopopartita sottolineò come una vendetta dovuta nei confronti degli avversari.
Il riferimento era alla Guerra delle Falkland che aveva opposto i due stati appena quattro anni prima. Il secondo gol non ha bisogno di presentazioni, e viene tutt’oggi definito il gol del secolo (che si analizzerà al punto omonimo). In semifinale un immenso Maradona schianta il Belgio con due gol stupendi. In finale però non lascia alcuna marcatura sul tabellino, siglando quell’assist per Burruchaga che involandosi alla porta mette a segno il gol vittoria per 3-2 sulla Germania.
Una finale non entusiasmante per il Pibe de Oro, ma quell’assist diventa la ciliegina sulla torta del cammino fin qui raccontato. La storia la scrivono i vincitori, si sa, c’è da chiedersi però: se Burruchaga non avesse segnato quel gol, di che mondiale staremmo parlando? La risposta ancora una volta è nella causalità e nella squadra. Il Mondiale è una competizione che si svolge ogni quattro anni, le possibilità di vincerlo ruotano attorno a diversi fattori e concause, ma soprattutto sull’equilibrio della rosa. Maradona aveva attorno a sé un organico valido, con esperienza alle spalle, di fronte a sé un tabellone non irresistibile e senza dubbio il suo genio e la forma fisica hanno fatto il resto.
– Maradona e gli altri campioni al Mondiale
Il suo contributo va però contestualizzato all’interno di quello che realmente ha portato all’economia della squadra. In questo senso ci può aiutare con qualche dato il Castrol Index (L’ indice delle prestazioni di Castrol è un sistema di classificazione creato per il calcio delle federazioni maschili), il D10S fu influente su 10 della 14 reti realizzate dall’Argentina e il 52% dei tiri effettuati dall’Albiceleste sono stati suoi. Un record particolare quanto pericoloso, riguarda i falli subiti da Maradona durante la manifestazione, che ammontano a 53. Da sottolineare che tra i primi 10 della lista sui migliori del torneo vi sono ben 5 calciatori della Seleccion. (Questo il podio, 1) Diego Maradona (Argentina) – 9,80 2) José Luis Brown (Argentina) – 9,68 3) Gary Lineker (Inghilterra) – 9,68.
Nel tempo grandi campioni hanno anticipato o succeduto l’impresa di Maradona. Basti pensare allo stesso Pelè e al suo incredibile mondiale 1970, uscito con un punteggio finale di 9,56, non molto inferiore al suo rivale di sempre. Nella stessa competizione Müller fece fuoco e fiamme, chiudendo il tabellino personale di marcature a 10 reti. Oppure a Platini, che nel 1984 siglò ben 9 gol durante l’Europeo in Francia, risultando pressoché immarcabile e decisivo in ogni match disputato (più volte paragonato all’impresa del 58’ del suo connazionale Fontaine). Per arrivare al calcio più recente, si fa per dire, con il Mondiale di “O fenomeno”, datato 2002. Il Ronaldo brasiliano fu semplicemente un’onda in piena, e la sua forma fisica non era più quella di un tempo. Punteggio finale tutt’ora imbattuto, 9,87.
Certamente fondamentale il contributo in termini di statistiche, ma sempre tenendo presente quanto riportato sopra, ossia che un calciatore può indubbiamente spostare determinati equilibri ma senza il sostegno della squadra è infattibile. Anche se il nome corrisponde a quello di Maradona.
Il Gol del Secolo (ma anche no)
La rete in questione viene smisuratamente applaudita ed enfatizzata, perché? La risposta cade sull’aurea di cui gode Maradona e transitivamente quel mondiale messicano. In quella partita, al 6’ del secondo tempo e cioè poco prima, era accaduta una truffa sotto gli occhi di tutti, ad opera proprio di Maradona.
Quel gol, rubato dalla mano di Diego e fatto passare in sordina con delle dichiarazioni post partita del tutto ignobili, è stato il preludio ad una partita che ha visto non solo il calcio al centro della scena, ma anche situazioni lontane e differenti tra loro. Guerra tra stati, risentimento e vendetta per una vecchia espulsione nei confronti del capitano sudamericano Antonio Ubaldo Rattin nell’incontro del Mondiale 1966. In palio logicamente un biglietto per la semifinale. La posta era alta, il palcoscenico era prestigioso, quanto era già successo ad inizio partita, comprese le violenze sugli spalti, rendeva il tutto quasi “mitico”.
Sono trascorsi nove minuti dall’inizio del secondo tempo, Maradona raccoglie un passaggio di Henrique a dieci metri all’interno della propria metà campo, da lì inizia il suo cosiddetto “slalom” verso la porta, in una corsa di 60 metri in un tempo di 10 secondi netti. Si lascia alle spalle 5 calciatori inglesi: Hoddle, Reid, Sansom, Butcher e Fenwick. Infine deposita la sfera alle spalle di Shilton. Il gesto tecnico nel suo complesso è di per sé godibile, ma non rientra nei canoni del gol incredibile.
L’elemento che ne sminuisce lo spettacolo è la totale inadeguatezza dei 3 calciatori successivi che dovrebbero rallentare o fermare la sua corsa, invece così non è. Sansom, Butcher e Fenwick non oppongono la benché minima resistenza nei suoi confronti, non mettono la gamba. Lo seguono senza affiancarlo o pararsi davanti. Maradona in questo senso non dribbla essenzialmente nessuno dopo la roulette ai danni di Hoddle e Reid. Arrivato in prossimità di Shilton sposta leggermente il suo piede magico verso l’esterno e la infila in rete con notevole semplicità. Il marcatore dietro di lui è in netto ritardo per poterlo fermare.
Il gol del Secolo, analizzandolo tecnicamente, non risulta così fantascientifico come tutti lo esaltano. I tocchi sono minimali, Maradona accarezza il pallone, la corsa è fluida, ma non vi è opposizione di alcun tipo nei suoi riguardi. Lasciare così tanto spazio senza marcature al calciatore più in forma del momento, fu un demerito inglese, non una conquista tattica o tecnica di Maradona.
I media calcarono la mano su una rete del tutto incredibile per altri aspetti, il contesto nel quale era avvenuta e il momento topico ne furono senza dubbio la cornice ideale.
Prestazioni: sempre in forma, sempre geniale
Viene spesso detto che Maradona a Napoli era sempre determinante e continuo con il livello di prestazioni. Sembra superfluo dirlo, ma la verità è ben altra cosa. Maradona non seguiva la vita d’atleta, si allenava di rado, spesse volte arrivava tardi dopo delle notti brave in alcuni locali della città. La droga, il fumo e l’alcol erano un’abitudine per lui, e questo logicamente andava ad influenzare le sue prestazioni calcistiche. Maradona nel suo eccesso era anche arrogante nel credersi al di sopra delle parti. Non si riteneva bisognoso di allenarsi e di seguire le regole imposte.
A dimostrazione del fatto che non fosse realmente immarcabile come ancora oggi viene sbandierato ai quattro venti, vi sono più episodi che lo dimostrano. Uno su tutti, il più eclatante, la prestazione cannibale di Gentile ai mondiali in Spagna dell’82. Maradona venne annullato dalla marcatura del difensore azzurro.
Ai tempi del Barcellona fu più volte limitato oltremodo da Chendo, difensore madridista. I duelli nel “clasico” erano per Il Pibe de Oro una condanna quasi certa. Come non ricordare le sfide tete a tete con Lothar Mattheus, nelle quali Maradona veniva comunque limitato senza falli sistematici, ma solamente con il fisico e l’anticipo. Per chi ha buona memoria anche un certo Ferri ebbe i suoi momenti di gloria ai tempi del Torino contro Maradona, oscurandolo in più di qualche occasione.
Il problema fondante che spiega perché queste chiacchiere siano arrivate fino ad oggi senza contraddittorio, viene dal fatto che le prestazioni dell’epoca non erano come oggi sotto una la lente di ingrandimento costante, come avviene per esempio su Messi o CR7. I media di oggi sono disposti a tutto pur di far notizia, mandano nei tribunali televisivi ogni virgola fuoriposto dei fuoriclasse del momento per analizzarne ogni sfumatura e dettaglio. All’epoca c’erano meno pressioni, meno aspettative in tal senso, e ovviamente si giocavano un minor numero di partite in un anno solare.
Maradona durante la sua carriera ha giocato pochissimi anni ad alto livello, e sempre con scarsa continuità.
Il Maradona Fantasma del Mondiale Italiano
È stato ribadito più volte, come fosse un’altra verità assodata, ma questa bugia a differenza di quella di Messico ’86 (infarcita di alcune verità) non è andata buon fine. “Maradona trascinò di nuovo l’Albiceleste in finale a Italia ‘90, ma la persero per un complotto”. C’è chi ancora ci crede, ma è una minoranza.
L’Argentina ai mondiali del ’90 era senza dubbio competitiva, probabilmente superiore a quella precedente vittoriosa quattro anni prima, ma arrivò in finale un po’ “per caso”. Goycochea tra i pali sostituiva l’infortunato Pumpida, il suo mondiale fu su buoni livelli. A capo della retroguardia Ruggeri, ottimo difensore con pigli offensivi, pericoloso con i suoi sganciamenti in avanti. A completare Olarticoechea, Serrizuela e Simón. Nel baricentro della Seleccion Burruchaga, una sicurezza, e vicino Basualdo. Davanti i due assi, il giovane ma talentuoso Caniggia e il solito Maradona. In panchina sedeva Bilardo, CT a Messico ’86. Tutto faceva presagire un competizione di alto livello per l’Albiceleste, ma così non fu. Nonostante la finale agguantata all’Olimpico, il percorso fu piuttosto travagliato e Maradona non brillò affatto, anzi.
L’Argentina parte male, viene sconfitta alla partita inaugurale per 1-0 dal Camerun. Vince 2-0 con la Russia con un’altra mano furtiva di Maradona non vista dall’arbitro. Durante l’incontro infatti il 10 argentino impedì alla sfera di entrare nella propria porta colpendola con la mano sulla linea (intervista rilasciata a Premium Sport del 25 luglio 2017). Pareggia infine 1-1 contro una modesta Romania. La squadra di Bilardo si qualifica in extremis venendo ripescata come migliore terza per la fase successiva. Maradona fin qui non fu pervenuto. Agli ottavi di finale l’Argentina affronta il Brasile, questo match, dominato in lungo e in largo dai verdeoro, con due occasioni limpide di Dunga e Alemão, viene risolto ai tempi supplementari da un passaggio in profondità di Maradona per Caniggia, che davanti alla porta non fallisce. Ai quarti incrociarono la temibile Jugoslavia, la partita risultò difficile per i sudamericani nonostante la superiorità numerica. Dopo mezz’ora infatti venne espulso il difensore Šabanadžović.
In quest’altra partita Maradona svanisce dai radar, ma la sua Argentina vince ugualmente ai calci di rigore nonostante l’errore dal dischetto dello stesso Pibe de Oro. La semifinale al San Paolo vede un confronto con i padroni di casa, gli azzurri di Vicini. In questo caso si ripete la medesima prestazione grigia di Maradona. Al gol di Schillaci risponde il solito Caniggia, il quale mette fine all’imbattibilità di Zenga che durava da ben 518 minuti. La sfida si conclude nuovamente dagli undici metri, Maradona segna stavolta, e l’argentina passa il turno. In finale incontrano la Germania Ovest che trionfa sull’Albiceleste grazie ad un rigore concesso a sei minuti dalla fine dei tempi regolamentari e trasformato da Andreas Brehme. Maradona in finale fece solamente presenza.
Il Mondiale italiano fu per Maradona totalmente inconcludente in termini di concretezza e spettacolo, probabilmente complice un guaio alla caviglia rimediato poco prima. Fu l’Argentina a trascinare Dieguito in finale, e non il contrario.
Maradona era un calciatore completo e geniale
Su quest’affermazione si deve necessariamente dissentire, almeno sulla prima parte. Maradona non era assolutamente un giocatore completo, basti pensare al fatto che giocava fondamentalmente solo con il piede sinistro. Non era ambidestro come altri fuoriclasse del passato. La sua statura non gli permetteva stacchi poderosi e colpi di testa vincenti, di fatto era uno dei suoi punti deboli da lui spesso sottolineato.
Il termine “geniale” va spesso confuso con altre qualità, in merito a Maradona in tal senso si dovrebbe scrivere un pezzo a parte.
Il Maradona antisportivo
Negli anni gli è stato spesso rimarcato quel lato buonista entro il rettangolo verde, come a dire che il Maradona calciatore fosse corretto e rispettoso dell’avversario e del pubblico sportivo. Tralasciando l’aspetto relazionale con i compagni avuti, i quali hanno di fatto speso parole di elogio in termini umani nei suoi confronti, avversari e tifoserie differenti invece hanno declassato anche questo suo lato, supportati da evidenti situazioni spiacevoli.
Probabilmente il più grave gesto antisportivo e dal peso storico maggiore fu proprio quello rinominato da lui stesso “Mano de Dios”, atto che costò l’eliminazione dell’Inghilterra dalla Coppa del Mondo e che fece scaturire a livello globale indignazione e incredulità. Maradona in seguito rivelò di aver convinto i propri compagni, in un primo momento fermi, a festeggiare assieme a lui la rete dicendo loro: “Venite ad abbracciarmi o l’arbitro non la convaliderà”. Non ancora soddisfatto, nel post partita commentò beffardamente come realizzò quella rete con queste parole celebri: “un po’ con la testa di Maradona ed un altro po’ con la mano di Dio”. Una decina d’anni fa tornò sull’argomento, rinforzando il concetto a modo suo e scatenando critiche tra ex compagni di squadra e lo stesso portiere Shilton: “Se potessi scusarmi e tornare indietro, lo farei, ma un gol è sempre un gol e grazie a quello l’Argentina ha vinto il Mondiale e io sono diventato il miglior giocatore al mondo. Non posso cambiare la storia, tutto quello che posso fare è andare avanti”.
Inutile dire che una frase di questo tipo possa essere interpretata solamente come una sonora presa in giro a discapito delle regole e dell’etica di confronto.
Maradona replicò spesso durante la sua carriera gesti simili, prima e dopo quel mondiale. Replicò la “manita” con l’URSS, nell’episodio sopra descritto per impedire un gol regolare degli avversari. Eclatante fu quella durante una partita con l’Udinese nel 1985, Maradona segnò un altro gol di mano, e Zico accortosi del gesto lo invitò a confessare all’arbitro quanto fatto e a scusarsi. La replica del D10S fu secca mentre si presentò al rivale brasiliano: “piacere, sono Diego Armando Disonesto”. In seguito in un’intervista dichiarò che il mondo del calcio è dominato dal successo e “nessuno ti regala niente, e se puoi avere un vantaggio, cerca di ottenerlo”. Il come non è mai stato un problema per Maradona, qualunque fosse il metodo, meglio se era sbagliato.
In un’altra intervista recente di Giuseppe Sacco (datata 2016) esce un’ulteriore stralcio di storia, Maradona confessa di aver segnato moltissime volte con la mano, fin da quanto militava nelle giovanili in Sudamerica: “di quel gol con la mano contro l’Inghilterra non mi pento assolutamente. Nessun pentimento! Con tutto il rispetto che meritano tifosi, giocatori e dirigenti, non mi pento affatto. Perché con questo genere di cose ci sono cresciuto, perché a Villa Fiorito segnavo gol di mano continuamente. E la stessa cosa feci davanti a centomila persone che non si accorsero di nulla. Perché tutti esultarono per il gol. E se esultarono fu perché non avevano il minimo dubbio (…) E ancora io feci molti gol con la mano. Molti. Nei «Cebollitas», nell’Argentinos, nel Boca, nel Napoli. Con i «Cebollitas» ne feci uno al Parque Saavedra. Gli avversari mi videro e circondarono l’arbitro. Ma alla fine convalidò il gol e venne fuori un casino terribile. Sapevo bene che non era una bella cosa da fare, ma un conto è dirlo a mente fredda e un altro, molto diverso, è prendere la decisione durante la gara, quando sei in trance agonistica. A volte vedi arrivare il pallone e la mano ti parte da sola. Ricordo sempre un arbitro che mi annullò un gol segnato di mano, con la maglia dell’Argentinos, contro il Velez, molti anni dopo i «Cebollitas» e molto prima di Messico 86, con la maglia della nazionale. Mi disse di non farlo più, ma io gli risposi che non potevo promettere niente. Immagino che anche lui abbia festeggiato come un pazzo dopo la vittoria contro l’Inghilterra. Non lo so, però lo immagino. Con la maglia del Boca ne feci uno contro il Rosario Central e non se ne accorse nessuno, nessuno mi fece domande. E la toccai in porta così, tac, sul primo palo. Con il Napoli, successivamente, ne feci uno contro l’Udinese e un altro alla Sampdoria”. Insomma, recidivo dall’inizio alla fine.
Il Maradona anti sportivo fu anche quello che scatenò una rissa indecente al termine della finale di Coppa del Re fra Barcellona e Athletic Club, gara che segnava l’occasione per Maradona per rincontrare Goikoetxea, colui che lo aveva infortunato l’anno prima. Al temine dell’incontro vinto dai blaugrana, Maradona si avventò contro il giocatore basco prendendolo a calci e pugni, con la conseguente mischia per entrambe le squadre. L’argentino si macchiò anche di un colpo inferto ad uno dello staff avversario, centrandolo in pieno volto con una ginocchiata. Vittima che nulla aveva a che vedere con quanto era accaduto in precedenza.
El Pibe de Oro durante la finale mondiale del 1990, etichettò la tifoseria teutonica con uno scandito “hijos de puta”. In un’intervista successiva dichiarò che avrebbe voluto urlarlo all’orecchio di ciascun tifoso nemico, poiché quei fischi erano a suo avviso irrispettosi e vergognosi. L’insulto non venne sanzionato. La slealtà di Maradona venne spesso targata come genialità o furbizia, ma esiste un confine ben delineato in questo senso, da ciò che è lecito fare e quanto invece è fuori discussione.
Maradona – Il Re Sole
Maradona è ossessionato da sé stesso, è un dato di fatto pressoché oggettivo. La masochistica vittima d’un mito – il suo – che pretende di dilatare la propria immagine oltre i confini della gloria calcistica. Gli attacchi gratuiti a personaggi di spicco di qualsivoglia settore, non solo del pallone, le sciocchezze senza né capo né coda proferite negli anni e la sua persistente volontà di apparire, fanno di Maradona una figura oramai ridicola e a tratti parossistica, in negativo.
Maradona non pensa, fa. Non riflette, straparla, spesso senza cognizione di causa. Detentore della verità assoluta smercia perle (o pirlate) ad ogni angolo, talvolta andando a cercare lo scandalo laddove non c’è. Maradona è un divo, un narcisista che si divora da solo, circondato dal suo mondo inebriante e oscuro, che necessità di far notizia in un modo o nell’altro per non cadere nell’oblio. Se qualcuno si dimentica di lui anche solo per un giorno, ecco che sbuca fuori dalla tana per far sentire la sua presenza. Maradona è come un bambino al quale si toglie il giocattolo preferito, la fama.
Maradona non le ha mai mandate a dire, ha sempre sputato veleno o antidoti a seconda del momento, ha dapprima schiacciato e poi “salvato” determinate figure, in base alla luna del giorno. Si, perché Maradona è tremendamente contradditorio, ma non ne se rende conto. Attacchi numerosi, l’ultimo a Montella e al suo incarico in veste di tecnico per il Siviglia: “È stato cacciato malamente dal Milan, c’erano mille altri allenatori meglio di lui per guidare gli andalusi”.
Poco dopo questa dichiarazione il Siviglia batte il Cadice e va ai quarti di coppa del Re. Maradona non sa nulla dell’uomo in questione, ma deve necessariamente dire la sua. Questa è l’ultima di tante. Un paio di mesi fa nel suo mirino c’era ancora quell’Icardi tanto odiato, a lui aveva riservato parole al veleno per un lungo periodo, rancore dettato per il famoso trio amoroso tra Maurito, Wanda Nara e il povero “alce” Maxi Lopez. Riguardo le convocazioni nazionali, tema a Maradona molto caro, El diez aveva detto: “Per esempio deve ammettere (il CT Sanpaoli) che non ha un numero 9 in lista, anche dovesse chiamare quella vergogna di Icardi. E in quel caso, allora tutta la vita Benedetto. Benedetto è superiore a Icardi, Icardi non sa niente. Sa solo come si fa ad andare a mangiare a casa dei suoi amici (il riferimento e a quel famoso pranzo a casa di Maxi Lopez con Wanda ai tempi della Sampdoria ndr). Quello lo sa perfettamente, lì va senza Gps. Ma il Pipa Benedetto merita assolutamente una nuova chance”. E poi: “Higuain? Vale dieci volte di più rispetto a Icardi. Anche Tevez deve andare in Russia non c’è nulla di meglio”. (11 febbraio 2018 – Gazzetta dello Sport).
Frasi al vetriolo, lanciate con la sola scusante poco prima sottolineata, ossia quella del tradimento dell’amicizia verso un compagno. In ordine cronologico solo l’ultima delle tante, come non ricordare quel “traditore” verso l’attuale capitano dell’Inter, in occasione della partita della pace che si tenne all’Olimpico due anni fa. “Non parlo dei traditori. Con i bambini e la partita della pace non c’entra nulla” il commentato secco dell’ex campione del mondo.
Icardi non è stato il solo argentino a passare sotto le cesoie verbali del Pibe de Oro, prima di lui lo stesso Messi ha dovuto patire frecciate e colpi bassi. Durante un evento organizzato da una ditta di orologi di lusso, fianco a fianco con Pelé, in un acuto di tradizionalismo conservatore si lasciò sfuggire – a microfoni aperti – la soluzione all’atavico dilemma su chi fosse il migliore tra i due: sicuramente non Messi, giudicato inadatto al ruolo di leader. E ancora, intervenne un anno fa per la squalifica ai danni della Pulce, definendolo “più un peluche che un giocatore di calcio”. Nel corso del tempo Maradona non ha chiuso mai la bocca sulle prestazioni del connazionale, etichettandolo come “inadatto”, “debole” e logicamente inferiore a lui. Curiosa la critica sulla bellezza dei gol del 10 blaugrana, definendoli esteticamente meno validi dei suoi. Rispetto alla lingua sempre lunga di Maradona, Messi ha preferito il silenzio.
I litigi con altri argentini noti si contano a bizzeffe: Veron, Redondo, Passarella (storica lite pre mondiale che ancora oggi perdura), Riquelme, Sabella, Sampaoli, Il Cholo Simeone, Ramon Diaz, Latorre e pure con il tanto amato Kun Aguero. Ironico il cambiamento di pensiero nei suoi confronti, eccone la cronologia dei fatti:
2008: Sergio e Giannina escono insieme già da un po’.
“Sono orgoglioso di Agüero perché è un tipo da paura. Lo vedo molto simile a me: muscoloso, con le gambe grosse. Ci mette sempre il corpo, anticipa le giocate”.
2010: Sergio e Giannina hanno avuto un figlio, si chiama Benjamin, è l’unico ragazzino al mondo che porta il cognome di due campioni.
Ai Mondiali Sudafricani “El Kun” gioca pochissimo.
2015: Sergio è diventato vegetariano, oltre che aver ufficialmente divorziato da Giannina.
Diego: “Io non vado alle riunioni con gli avvocati a fare il guapo. Se lo sei dimostralo sul campo. È un cagasotto, non lo voglio neppure nominare”.
In vacanza in Croazia, all’uscita da una discoteca D10S insulta un passante solo perché somiglia a “El Kun”.
Maradona se l’è sempre risentita anche nei confronti del rivale per eccellenza, Pelè, attaccandolo spesso negli anni. Famosa la dichiarazione nella quale disse che O’Rey aveva avuto il suo primo rapporto sessuale con un uomo. Dichiarazione alla quale il brasialiano non replicò. Di nuovo nel 2008 Maradona disse: “io meglio di Pelè nonostante la coca” (Corriere.it 21 maggio 2008). Passano 5 anni e Dieguito questa volta si supera, alla domanda di un giornalista di Cqc Brasile su chi fosse stato il più grande calciatore, Maradona, ridendo, tirò fuori una vecchia foto di Pelè sotto la doccia con Beckenbauer: “Chi è il più grande dei due? Questo è sicuramente il più piccolo”. Deridendolo per tutt’altre dimensioni. Trascorre meno di un anno e per aver condiviso la decisione della Fifa di punire severamente Luis Suarez per il morso a Giorgio Chiellini, Maradona attacca di nuovo Pelè e Beckenbauer “Sono due idioti usciti dal museo per dire cose stupide, e fanno questo per adempiere agli ordini del padrone della Fifa, Joseph Blatter. Sono due personaggi usciti dai loro sarcofagi per obbedire alla Fifa, in caso contrario non riceverebbero nulla a fine mese”. (Mediagol.it 29 giugno 2014)
Nel corso del tempo Maradona ha attaccato tutto e tutti nel mondo del calcio, da Platini (definendolo saccente e megalomane), allo stesso Bilardo, suo ex ct ai tempi dei mondiali 86/90, targato come “inetto”, per passare a Zidane, al capo FIFA Blatter, De Laurentis, Leonardo, poco prima dell’inizio avventura a Napoli lo stesso Sarri. Anche al di fuori del mondo del pallone ha riservato attacchi mirati, a Papa Giovanni Paolo II, a Bush definendolo “guerrafondaio e assassino”, fino a Trump, bollato come “marionetta”. In cambio gli USA di recente gli hanno negato il visto d’ingresso.
Maradona il ribelle, Maradona l’aggressivo, Maradona lo spaccone, qualsiasi sia l’aggettivo che gli si voglia affibbiare, è chiaro che si ponga sopra un piedistallo e veda tutti sotto di lui, come formiche. Le regole non esistono, l’etica non conta, il rispetto per il prossimo viene meno, sono gli altri che devono rispettare l’ordine costituito, non chi sta oltre.
El Diez sembra esigere reverenza nei suoi riguardi, il suo status lo esige, quello che il popolo argentino gli ha consegnato.
Diego Armando Maradona, per l’immaginario calcistico argentino, continua a raffigurare più di ogni altro il profilo del caudillo, cioè del capo supremo. Ci riesce non solo per quello che è stato in campo, ma per i suoi atteggiamenti fuori dall’ambito calcistico, dove mantiene sempre un certo machismo riottoso, da vero Guapo.
L’altro lato (oscuro) di Maradona
Fu l’articolo del 15 febbraio del 1991 della Repubblica ad alzare il velo sull’altra realtà che si celava dietro il Maradona fenomeno in campo. Il Napoli aveva appena perso un’altra partita a Torino, Diego non riusciva a dormire. Preoccupato e nervoso uscì per un’altra notte di eccessi, una delle tante.
Il quadro che si svelava agli occhi delle forze dell’ordine all’indomani era inquietante, Diego Armando Maradona era coinvolto in un vorticoso giro di cocaina, prostitute d’ alto bordo, camorra e pregiudicati d’ ogni calibro. Frequentava con regolarità una grande albergo della malanapoli, grazie ad un contatto all’interno, nonché amico, si faceva fissare appuntamenti con due o più ragazze per notte. A incastrare l’asso argentino ci furono le telefonate, almeno una decina dove si fa il suo nome, e gli interrogatori. Poi il fatto ancora più grave, figure della camorra che testimoniarono contro di lui, ma soprattutto le prostitute che frequentava, alle quali cedeva la cosiddetta “polvere degli dei”. Molte contraddizioni, ma c’è il beneficio del dubbio per il Maradona spacciatore.
In seguito venne interrogata la signora Carmelita, la donna che gestiva il racket della prostituzione ai servigi di Maradona, il quale pare pagasse profumatamente le donne, l’albergo e il suo impenetrabile silenzio. Scaricava le spese per quanto dimostrato in seguito, come “incontri di lavoro”. Diego intratteneva rapporti con la camorra locale, la cosca di Forcella fu il “socio di maggioranza” della Nf (nuova famiglia), un’alleanza che condusse una guerra spietata contro i Cutolo facendo numerose vittime innocenti. I Giuliano a cavallo degli anni Ottanta e Novanta comandavano a Napoli come in provincia. L’attività illegale più lucrosa della cosca era il calcio scommesse, il traffico di droga, la merce taroccata, il racket e l’usura. Un album di foto dell’epoca uscito soltanto nel 2012 consegnava alla storia la prova di tale rapporto. Maradona conosceva e frequentava i vertici dell’organizzazione, riceveva favori e li rendeva. Tristemente nota la sua foto in compagnia dei fratelli Giuliano di Forcella e della loro vasca a forma di conchiglia.
In quel periodo teneva un legame stretto anche con un altro noto boss, Salvatore lo Russo, il quale in tempi meno sospetti rilasciò un’intervista del tutto gravosa sul conto di Diego. Dichiarò che il Pibe de Oro sapeva ‘perfettamente’ quale fosse la sua posizione e il “lavoro” che faceva, al punto da chiedere il suo aiuto in occasione di un furto subito nel 1990. “Maradona si rivolse a me nell’occasione in cui subì il furto di una ventina di orologi e del Pallone d’Oro. Gli feci recuperare gli orologi tramite Peppe ‘o biondo che li trovò presso i Picuozzi dei Quartieri Spagnoli, mentre non fu possibile recuperare il Pallone d’Oro che avevano già sciolto. Mandai ai Quartieri 15.000.000 di lire che, però, mi furono poi mandati indietro.” (da Il Fatto Quotidiano 12 aprile 2011)
Maradona ha fatto scuola, dopo di lui altri nomi del calcio hanno stretto dei legami con noti camorristi. Un’attrazione fatale quella dei boss con i campioni del calcio. Nel corso degli anni El Diez è stato implicato in diversi procedimenti giudiziari, per droga, aggressioni e questioni economiche. A seguito della positività per doping durante la sua permanenza a Napoli, la giustizia sportiva, nell’aprile 1991, lo condannò a 15 mesi di squalifica, mentre nel settembre dello stesso anno venne condannato ad una pena detentiva di 14 mesi per possesso di stupefacenti, anche se in carcere non ci andò mai. Rientrato a Buenos Aires ad aprile, fu fermato perché teneva con sé della cocaina nel suo appartamento, le forze dell’ordine lo incarcerarono solo per una notte poiché venne pagata la cauzione il giorno successivo.
Il 2 febbraio del 94’ avvenne la famosa “sparatoria” ai danni dei giornalisti che gli circondarono la casa. Maradona prese un fucile ad aria compressa e fece fuoco. Nel 2006 ferì una coppia a causa di un incidente con la jeep. Maradona non diede alcun dato di sé e successivamente con la complicità di alcuni testimoni fasulli negò di essere mai stato sul posto. Sempre nello stesso anno ferì in testa con un bicchiere una donna durante un viaggio in Polinesia, rea di aver avuto un battibecco con sua figlia Giannina.
I guai con il fisco invece iniziarono di recente, ma risalgono al lontano ’91. Maradona venne accusato di evasione per via dei contratti stipulati quando ancora militava nelle file del Napoli. Il conto mai saldato aumentò con la sentenza della Corte di Cassazione il 17 febbraio 2005, la quale condannò il giocatore al pagamento di 31 milioni di euro. La mora nel corso degli anni è salita vistosamente. Durante il programma di Fabio Fazio, Maradona mise in mostra il gesto dell’ombrello nei confronti di Equitalia.
Chi è realmente Maradona?
Le aggressioni, gli insulti, le minacce, i comportamenti scorretti, i problemi finanziari, i figli non riconosciuti, i rapporti con la camorra e le discutibili amicizie con i potenti del mondo, fanno di Maradona un caso più unico che raro nel panorama mondiale e non solo. Quando si parla di Maradona lo si fa con parametri diversi da quelli riservati agli esseri umani perché lui non è mai stato uno qualsiasi. Diego è quell’incrocio tra inferno e paradiso, tra strafottenza e umiltà, tra vizio e sacrificio. Dove penda la bilancia dopo questo articolo penso sia chiaro giunti a questo punto. Ma la domanda esige una risposta più chiara del personaggio Maradona, costituito da poche luci e molte ombre. Secondo Luciano De Crescenzo, Diego era “ l’incarnazione mistica dell’emancipazione sottoproletaria, era dissipativo e arrogante come gli anni Ottanta”.
Maradona a tutt’oggi è amato alla follia dalla sua patria che tutto gli ha perdonato e ancora invocato dai tifosi napoletani – sostenitori della squadra in cui si è davvero realizzata la sua esistenza sportiva – non solo per nostalgia, ma perché ciò che lui ha fatto sui campi di gioco continua a rappresentare un sentimento di affermazione collettiva che nessun altro – in altri settori sportivi – ha mai eguagliato. Diego quindi trascende l’idea di umano per divenire icona. Simbolizza istanze che non trovano espressione altrove. Ciò che lo ha reso – Maradona – è l’aver saputo vendere forse meglio di chiunque altro la propria immagine attraverso le parole e i gesti, sempre in precario equilibrio tra contraddizioni e sregolatezza.
Il calcio è un racconto – se vogliamo, un’epica moderna – che propone un’opportunità di interpretazione della vita. Ed i suoi protagonisti sono eroi in senso strettamente mitologico, poiché i loro corpi si caricano di simboli che riempiono di senso i vissuti degli altri uomini. Pochissimi eletti possono riuscire in questo. C’è chi l’ha fatto attraverso un’immagine pulita, divenendo emblema di un popolo percorrendo una strada di sacrificio e di rigore sportivo, dentro e fuori dal campo, sfruttando l’epicità della stampa sportiva ma anche le prime fascinazioni dei cinegiornali e poi della tv. Pelè, altresì noto come O’Rey.
E chi invece ha preferito un percorso completamente opposto, da anti-eroe, privo di regole e dettato dagli eccessi, sempre e comunque. Al genio ha affiancato l’iperbole, l’insensatezza, il paradosso e quindi la follia. Maradona non si è mai pentito di quanto ha detto o fatto. Rimasto sempre lucidamente saldo e fedele sulle proprie convinzioni e paradossi personali. Sulla questione “mano de Dios” rispose al giornalista Piovino: “chi ruba ad un ladro ha 100 anni di perdono.” Sul premio come miglior calciatore del secolo che gli venne consegnato a Roma: “Ho meritato quel premio perché ho sempre rispettato il calcio, non ho mai voltato le spalle al campo da gioco”. E infine, il pensiero che meglio lo identifica e con il quale si presentò a Napoli: “Quello che so è che non sono mai stato un uomo comune. E quello che volevo era diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro erano come ero io a Buenos Aires”.
No, Maradona non è mai stato un uomo comune. Se lo fosse stato non si sarebbe parlato di lui in questi termini. In compenso è stato un campione come tanti.
Ho analizzato approfonditamente Maradona e, per paragonarlo ai campioni di ogni tempo, ho fatto le dovute proporzioni.
Maradona è l’unico a stare al di sopra delle.classifiche, anche perché ha compiuto dei veri e propri prodigi.
Solo la continuità gli è mancata.
La votazione delle persone di tutto il mondo lo ha incoronato come miglior giocatore di tutti i tempi.
Federico Camarin:secondo te Maradona andrà all’inferno?Grazie
Io credo che tu abbia astio nei confronti di un campione che è stato senza alcun dubbio e a detta di tutti, compresi i giocatori dell’epoca e quelli attuali, un giocatore molto al di sopra degli altri campioni di ogni epoca.