Com’è noto, furono le sollevazioni di Venezia e Milano a costituire il carburante che mise in moto il motore della Prima Guerra d’Indipendenza. Nelle due città del Lombardo-Veneto, allora soggetto all’Austria, il popolo insorse sull’esempio dei moti che già erano scoppiati a Vienna e che avevano provocato la caduta del Metternich. A Venezia la sollevazione avvenne il 17 marzo e portò alla liberazione dal carcere Niccolò Tommaseo e Daniele Manin, che subito istituirono un governo democratico. A Milano, invece, vi furono le famose Cinque Giornate, durate dal 18 al 23 marzo, che causarono la cacciata degli austriaci guidati dal Maresciallo Radetzky. Evacuati da Milano, gli austriaci si rifugiarono nel Quadrilatero, compreso fra le fortezze di Verona, Mantova, Legnago e Peschiera.
Fu a quel punto che decise d’intervenire il Re Carlo Alberto, mosso da una serie di ragioni in parte anche contrastanti fra loro. Da una parte vi era lo storico sogno dei Savoia di realizzare il Regno dell’Alta Italia, che avrebbe consentito alla Subalpia di egemonizzare finalmente il settentrione della Penisola uscendo al contempo dalla sua condizione di realtà periferica: i moti che scuotevano le regioni circostanti potevano, da questo punto di vista, fornire un importante aiuto, oltre che un ottimo pretesto. Dall’altra vi era l’obiettivo d’impedire un trionfo dei repubblicani, e quindi la necessità di precederli prima che diventassero troppo forti per la monarchia sabauda. Infine, era anche una risposta all’opinione pubblica che proprio con quei suoi moti, anche nel Piemonte, auspicava un intervento da parte del Re a favore della causa italiana e che pertanto metteva Casa Savoia sotto pressione.
Il 23 marzo entrò così in guerra e le sue truppe raggiunsero il 26 una Milano che ormai già s’era liberata da sola. Nel frattempo, più per la pressione dell’opinione pubblica che per una loro reale ed intima convinzione, i sovrani del Granducato di Toscana, del Regno delle Due Sicilie e dello Stato Pontificio decisero di schierare i loro eserciti al fianco di quello piemontese. Subito un’ondata d’entusiasmo patriottico percorse tutta l’Italia, ma ben presto questo stato d’animo scemò e si disperse di fronte all’atteggiamento di Carlo Alberto, che intendeva assumere un ruolo di leader nella coalizione italiana, e al timore degli altri sovrani di dover fronteggiare una poderosa rappresaglia austriaca che avrebbe inevitabilmente finito col travolgerli.
Gli scarsi successi militari di Pastrengo e di Goito, uniti alla minaccia di uno scisma religioso paventato dagli Asburgo, indussero il Papa Pio IX, che fino a quel momento il Metternich aveva definito “un Papa liberale”, a ritirarsi dal conflitto il 29 aprile, subito seguito a ruota da Leopoldo II di Toscana e da Ferdinando II di Napoli, quest’ultimo ormai alle prese anche con una grave rivolta interna. Sebbene i pretesti che tutti e tre addussero fossero oggettivamente incontestabili, non va comunque sottovalutato come a preoccuparli principalmente fosse soprattutto l’ipotesi di trovarsi, alla fine della fiera, soggetti all’egemonia di Carlo Alberto e del Regno di Sardegna. La storia italiana fino al Risorgimento, a ben guardare, è piena d’esempi che vedono le varie realtà statali della Penisola coalizzarsi di volta in volta contro quella divenuta ormai troppo potente e quindi potenzialmente in grado di fagocitarle. Si va dalle coalizioni contro il Granducato di Milano a quella contro la Repubblica di Venezia, strategie volte al mantenimento dello status quo anche a costo d’invocare l’arrivo nella Penisola dello straniero.
Intanto, però, la guerra proseguiva. I volontari toscani rallentarono l’avanzata degli austriaci a Curtatone e Montanara il 29 maggio, mentre l’esercito piemontese s’impose a Goito e conquistò la fortezza di Peschiera il giorno successivo. I successi continuarono anche nei giorni successivi, con l’annessione al Piemonte dei Ducati e di Milano il 29 maggio e di Venezia il 4 giugno. La risposta austriaca, tuttavia, era ormai all’orizzonte: ottenuti i rinforzi, infatti, Radetzky sconfisse duramente le forze sabaude a Custoza fra il 23 e il 25 luglio. S’arrivò così inevitabilmente al 9 agosto, giorno in cui venne firmato l’Armistizio.
A causa dell’opposizione austriaca a dare alcuna concessione durante le trattative di pace e sempre per il timore di un trionfo dei repubblicani, che a Firenze e a Roma avevano rovesciato il Granduca ed il Pontefice insediando dei governi democratici (a Roma governava un triumvirato dove il membro più influente era il Mazzini), nel marzo 1849 Carlo Alberto decise di rompere la tregua. Ciò, tuttavia, per i piemontesi servì solo a peggiorare la loro situazione: il 23 marzo l’esercito sabaudo venne infatti pesantemente sconfitto a Novara e la sera stessa Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II. A questi sarebbe toccato il compito di “fare l’Italia” unita, reggendone poi le sorti fino al 1878. Il 24 marzo fu firmato l’Armistizio di Vignale, pesantissimo per i piemontesi. Parte del Piemonte veniva infatti occupato dagli austriaci, anche se il nuovo Re riuscì perlomeno a salvare lo Statuto Albertino, inviso ai più conservatori ma soprattutto all’Austria.
Il fallimento dell’ultima guerra tentata da Carlo Alberto causò un’insurrezione a Brescia, mentre a Roma, dove da febbraio governava il triumvirato formato da Mazzini, Saffi ed Armellini, così come a Venezia continuò strenuamente la resistenza contro gli austriaci. Roma s’arrese solo il 4 luglio, sotto la sempre più insostenibile pressione delle forze francesi e napoletane contro cui anche il genio militare di Giuseppe Garibaldi dovette piegarsi, mentre Venezia, stremata dal blocco austriaco, cedette addirittura il 23 agosto. Ben presto il vento della Restaurazione tornò, anche se per pochi anni ancora, a soffiare in tutta la Penisola: in Toscana il governo democratico di Domenico Guerrazzi e Giuseppe Montanelli, ormai isolato, cadde per contrasti interni. Leopoldo II ritornò sul trono granducale, così come Pio IX riacquisì le vesti di Papa Re, che avrebbe perso solo nel 1870, con la celebre Breccia di Porta Pia.