Giovedì 16 giugno Marco Travaglio, ospite della trasmissione radiofonica ‘Un giorno da pecora’, in onda su ‘Rai Radio 2’ ha affermato che tiferà contro la nazionale italiana impegnata ai campionati europei in Francia, poiché prova antipatia per Antonio Conte, che definisce arrogante, e non apprezza “la retorica patriottarda falsa e fasulla”.
Le persone che più detestano questo genere di retorica sono patrioti, quello che invece considerano il patriottismo di per sè negativo neppure lo distinguono da essa: chi scrive appartiene alla prima catergoria, di quale fa parte Travaglio non lo sappiamo.

Il patriottismo, l’amore per la patria, spesso è considerato alla stegua del nazionalismo se non addirittura del razzismo: questo è un limite culturale della società italiana. Il fascismo aveva nel patriottismo una delle sue caratteristiche preminenti, ma gli stessi partigiani si definivano patrioti: era ancora ben chiaro il significato del termine.

La parola “patriota” oramai fa quasi paura, ma dovrebbero spaventare molto più più quegli atteggiamenti che si possono definire “antipatriottici”. Quelli che Travaglio denuncia indefessamente da anni, sono gravissimi comportamenti antipatriottici, talvolta così pesanti che si potrebbe parlare, senza esagerazioni, di tradimento: ogni patriota può essergli grato per questo. D’altra parte tifare contro la nazionale si può definire un comportamento antipatriottico: anche se incommensurabilmente meno grave, rimane censurabile.

Abbiamo già spiegato, in un precedente articolo (https://www.opinione-pubblica.com/limportanza-dello-sport-per-la-formazione-e-le-sterili-polemiche-sul-viaggio-del-pdc-allo-us-open/), come “per un Paese lo sport può avere funzioni fondamentali: ad alto livello le vittorie ottenute dai suoi campioni possono inorgoglire, rafforzare lo spirito patriottico, mentre a livello di base la pratica può contribuire al benessere dei suoi cittadini”. La seconda funzione è più importante della prima, ma in parte da essa dipende: i successi sportivi dei nostri atleti possono convincere un maggior numero di persone a fare sport.

Esistono molte persone, in particolare donne, che non seguono il calcio se non quando gioca l’Italia, tifando pure: ben venga, è un atteggiamento patriottico! Niente da dire verso chi non segue il calcio, neppure se è in ballo la squadra azzurra: questione di gusti. Anche senza guardare neppure un minuto di partita alla televisione, dovrebbero capire che  i successi calcistici hanno talmente tanta eco a livello globale da incidere addirittura sul ‘soft-power’ di una nazione, quindi sono da ritenersi comunque auspicabili! Un discorso diverso si può fare sul calcio dei ‘club’, non perché, come ritengono alcuni, ha troppo spazio: anche questa è una conseguenza dei gusti delle persone.

Il problema è che è divisivo, tanto più che si va meno allo stadio e si guardano più partite in televisione, cosicché si tifa meno di una volta per la squadra della propria città, scegliendo piuttosto squadre di alto livello, in particolare le pluriscudettate Juventus, Milan e Inter oppure, in subordine, Roma e Napoli. In questi anni di dominio bianconero poi si crea una divisione netta tra gli juventini e tutti gli altri, creando un ennesimo motivo di frattura in due parti contrapposte della società italiana.

Forse non è esagerato dire che l’eccessiva pratica di tifare per squadre non locali rappresenta un problema sociale. Un’altra bisezione si ha poi tra quelli chi ama il calcio e quelli che lo detestano: di certo i comportamenti eccessivi di alcuni appassionati contribuiscono a mantenerla. E’ anche vero che il calcio è lo sport più popolare e quindi quello con più tifosi non praticanti, tutti convinti però di essere grandi intenditori.

Molte delle critiche che il calcio riceve sono condivisibili in riferimento al calcio professionistico, ma in realtà sono le stesse che si possono fare a qualsiasi settore dello ‘show-businness’, che però vengono a cadere se si parla di calcio dilettantistico e soprattutto di settore giovanile. Per un bambino il calcio può essere formativo come qualsiasi altra disciplina sportiva, ma ha il grande merito di attrarre un numero più grande di piccoli atleti, non nel senso di sottrarli ad altre discipline, ma di toglierli dalla strada o dalla consolle della ‘play-station’.

A tutti coloro che disprezzano il calcio basandosi su quello che vedono in televisione consigliamo di seguire una partita della categoria ‘pulcini’, che per la stagione che inizierà a settembre coinvolgerà i bambini nati nelle annate comprese tra il 2006 e il 2008: solo se poi continueranno a pensarla allo stesso modo potranno dire di detestare davvero il calcuio. E sì, in quel caso sarà difficile che possano diventare nostri amici.

UN COMMENTO

  1. Le partite dei pulcini alle quali ho assistito in prima persona, molti anni fa e più di recente, erano spettacoli patetici di allenatori arroganti, genitori ossessivi e frustrati e bambini in competizione, non uniti dal gioco. Il gioco è ben altro e lo sport dovrebbe riflettere più le sue dinamiche pedagogiche che quelle del primeggiare a tutti i costi.
    Gli spogliatoi, sin dai pulcini, sono luoghi dove emergono i bambini più aggressivi e spesso poco dotati di empatia e capacità intellettive. I pulcini più deboli rimangono sommersi, schiacciati.
    Il tuo è un punto di vista che non tiene conto di questi aspetti, ma eleva il calcio a un livello che non merita. Quali sono i valori che trasmette? Sono davvero così sani e importanti? Ci sono altre pratiche che andrebbero promosse per la salute delle persone, per suscitare un senso di comunità e coesione, non certo il calcio, micromondo di soli uomini tendenzialmente “machi”.
    Io sinceramente non riesco a collegare i simbolismi del calcio a quelli della patria, che dovrebbe essere l’interiorizzazione della “terra dei padri”, dei fondatori e delle mie radici culturali. Undici ragazzi pieni di sé che guadagnano cifre anacronistiche, irreali e insostenibili dovrebbero rappresentare una “patria” dove le donne e le persone che guadagnano all’anno quanto un giorno di lavoro di un giocatore sono in maggioranza? Non sono rappresentativi, ma sono un ottimo canale per le frustrazioni dei tifosi. Il concetto di patria forse è discretamente superato e superabile, non credi? Vogliamo ancora una società paternalista e maschilista nel 2016? Non tifare per l’Italia non è poi così deplorevole, visto che non si può scomporre il suo simbolismo e tifare solo la parte puramente sportiva, sana e meritevole. Se tifassi Francia ad esempio, non potrei prescindere dall’assurdità della presenza orgogliosa di giocatori provenienti dalle colonie: popolazioni, tradizioni e culture distrutte in nome della spocchia di un Paese arrogante come tanti altri in quel periodo. Pogba porta la bandiera della patria che ha disintegrato la sua Guinea. Non è paradossale? Discorsi simili si possono fare anche per l’Italia. Partigiani e fascisti erano per lo più persone comuni, gente normale, non un mucchietto di supereroi tatuati in Lamborghini.

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