Mauro Scardovelli, in un’intervista rilasciata a Claudio Messora spiega il motivo del suo recente interesse per l’economia: “A un certo punto, essendo io uno psicoterapauta e conducendo gruppi, conoscendo cento o duecento persone ogni anno, ho visto che qualcosa negli ultimi venti, trent’anni era cambiato. Era cambiato proprio nel modo di ragionare delle persone. Le persone sono diventate più egocentrate. Pensano soprattutto a sé stesse, sono meno pronte a condividere con gli altri e sono spaventate dal futuro”.
Insomma riferisce di essersi reso conto che l’economia oramai entra negli studi di psicoterapia, anche se molti colleghi non se ne occupano, seppure “chi ha una pratica clinica sa benissimo che un conto è lavorare con un paziente che non ha problemi economici, un conto è lavorare con un paziente che è stato appena licenziato, che non ha prospettive future”.
Esprime inoltre la convinzione che “gli psicologi saranno una voce forte, nel mondo di oggi, per far capire quali sono i disagi che questo tipo di economia sta producendo sulla psiche umana e soprattutto quella dei più giovani”.
La causa di questa vera e propria trasformazione della psiche è rintracciabile, secondo l’intervistato, nella svolta neoliberista della società e non è un evento casuale, bensì conseguenza di un progetto.
Alla fine dell’agosto del 1938 si tenne a Parigi il ‘Convegno Lippmann’, dal nome di Walter Lippmann, politologo statunitense, chiamato nell’occasione a presentare le tesi di fondo del suo libro ‘La buona società’, pubblicato l’anno precedente, in cui si dichiarava a favore del liberismo economico e politico, ma proponendo l’idea di superare le regole basate sul ‘laissez-faire’ a vantaggio dell’intervento dello Stato a difesa del libero mercato e della concorrenza. Quest’evento, anche se poco noto, è assai importante in quanto lo si può considerare come il momento della nascita del neoliberismo.
Compito fondamentale della classe dirigente era, secondo Lippmann, aiutare le persone ad adattarsi al nuovo sistema mondiale dell’economia, in modo che possano partecipare alla competizione, alla concorrenza di tutti contro tutti che sempre più avrebbe caratterizzato la nuova situazione sociale. Il fatto che bisognava indurre gli individui ad essere competitivi, mostra che allora non lo erano molto.
Ottant’anni dopo possiamo dire che questo compito è stato adempiuto, cosicché le persone sono diventate ciniche, diffidenti e prevaricatrici, atteggiamenti adattivi per ciò che riguarda le possibilità di sopravvivere alla violenza economica generalizzata che caratterizza l’attuale assetto sociale, ma alquanto pernicioso tanto per la salute mentale che per le possibilità di sviluppare relazioni umane.
Un errore di prospettiva piuttosto comune è pensare che una società organizzata su tali presupposti rifletta lo “stato di natura”, ma un’attenta osservazione dei comportamenti tanto umani che animali può farci comprendere che sia gli atteggiamenti cooperativi ed altruistici, che quelli competitivi ed egoistici sono talvolta adattivi e, quindi, naturali e sani.
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Ogni volta che ci si relaziona con gli altri ci si può quindi aspettare di ricevere sia il bene che il male, tocca ad ognuno capire chi ha di fronte ed è necessario, almeno qualche volta, scegliere di fidarsi, poiché agire in modo di evitare ogni tipo di rischio non è sufficiente per vivere una vita piena.
La psiche strutturata dalla mentalità neoliberista non prende neppure in considerazione il dilemma, parte invece dal presupposto che chiunque agisca sempre in vista del proprio vantaggio personale, ma si tratta di un pregiudizio rivolto tanto verso se stessi che verso gli altri.
Oggi sarebbe compito della classe dirigente tornare indietro, recuperando una visione più equilibrata: perché ciò sia possibile è necessario che emerga una nuova classe dirigente, in quanto cambiare le proprie idee, per chi ha acquisito potere secondo le regole preesistenti, appare compito molto arduo.
Fare “largo ai giovani” però non basta: chi ragiona in un modo coerente col sistema attuale ostacolerà il cambiamento anche se ha trent’anni, perciò non è auspicabile che raggiunga posizioni di prestigio.