Una vera e propria missione impossibile attende il candidato che uscirà vincitore dalle primarie socialiste, chiamato a compiere un’impresa se vorrà risollevare le malandate sorti del partito e avere qualche possibilità di battersi alla pari con gli altri candidati alla poltrona più alta di Francia.

Il ritiro di François Hollande dalla competizione ha rimescolato le carte. Per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica un presidente uscente rinuncia alla candidatura per un secondo mandato: una scelta vista da alcuni come obbligata, visto l’incredibile livello di impopolarità toccato da Hollande, dato ampiamente sotto il 10% in un’eventuale elezione; altri invece hanno comunque riconosciuto al capo dell’Eliseo di aver preso una decisione responsabile, da statista sia nei confronti del Paese che del suo stesso partito, destinato molto probabilmente a una sonora sconfitta già segnata con il candidato Hollande.

Questo non significa che le cose si mettano bene per il Partito Socialista: la sconfitta viene giù ampiamente preventivata ma l’obiettivo è quello di salvare il salvabile, ma anche per fare ciò servirà un’impresa. A farsi carico della missione, con l’intento dichiarato di rivendicare i cinque anni di governo della gauche moderata è l’ormai ex primo ministro Manuel Valls, che ha avuto il via libera dopo la rinuncia di Hollande; non era esclusa una candidatura di Valls proprio contro Hollande, ma l’uscita di scena di quest’ultimo ha evitato una resa dei conti alle primarie che avrebbe ulteriormente sfiancato il partito. Valls, di origini spagnole, già sindaco e ministro dell’Intero e poi primo ministro dal 2014 al 2016 rappresenta l’ala più moderata e pragmatica del partito, liberista in politica economica, securitaria e fortemente attaccata ai valori repubblicani e alla laicità. Negli anni passati al governo Valls ha dovuto gestire l’ondata di attacchi terroristici nonché la crescente polarizzazione della scena politica, l’opposizione dei sindacati e della sinistra alle leggi più ispirate dall’austerity e dalla deregolamentazione e il confronto con le destre su temi come i matrimoni gay e il difficile rapporto con l’Islam. Oltre il piglio decisionista e alla retorica, comune a tutti i candidati, sul volere una “Francia forte e indipendente”, accompagnati da un’ostentato ottimismo, Valls sa di non avere molte più chance di Hollande nella corsa presidenziale. La sua candidatura, oltre che troppo “di destra” per larga parte della gauche socialista e non, ricorda troppo da vicino anche la figura di Hollande e il suo quinquennio di governo che ha deluso le aspettative e ha compiuto fin troppi passi falsi.

Ma quali sono gli altri candidati alle “primarie cittadine” del 22 e 29 gennaio prossimi? I candidati, che devono raccogliere un certo numero di firme tra vari organismi dirigenti e amministratori locali per potersi presentare, al momento sembrano essere cinque: lo stesso Valls, l’ex ministro dell’Industria Arnaud Montebourg, l’ex ministro dell’Educazione (e poi delegato all’Economia sociale e alla solidarietà) Benoît Hamon, la senatrice Marie-Noëlle Lienemann e Gérard Filoche, militante socialista, con un passato comunista. Benchè tutti i candidati dichiarati facciano parte del Partito Socialista, alle primarie hanno aderito anche il Partito Radicale di Sinistra e l’Unione dei Democratici e degli Ecologisti, che sosterranno quindi il candidato della coalizione che uscirà vincitore. Non hanno aderito invece i Verdi-Europa Ecologia, che avranno un proprio candidato alle presidenziali, il Partito Comunista Francese, il Partito di Sinistra e altri partiti minori. C’è tempo fino al 15 dicembre per depositare le candidature, e due giorni dopo inizierà ufficialmente la campagna elettorale.

Oltre a Valls, i candidati più accredidati per la vittoria sembrano essere Montebourg e Hamon, nessuno dei due in grandissimi rapporti con Valls, dal quali anzi sono stati “epurati” in uno dei vari rimpasti di governo degli ultimi due anni. Da un punto di vista prettamente ideologico, l’antagonista più pericoloso per Valls potrebbe essere Montebourg, uomo di sinistra critico verso Hollande e molto più radicale del liberale Valls ma soprattutto molto più nazionalista. Montebourg si oppone alla deriva centrista del partito ed è uno strenuo sostenitore del classico dirigismo francese e di uno statalismo aggiornato ma più che mai necessario per arginare i pericoli della globalizzazione ultra-liberista: idee che ha tentato di mettere in pratica durante la sua permanenza al Ministero dell’Industria, sostenendo anche l’uso dell’energia nucleare. Montebourg insomma rappresenta la sinistra industrialista – un po’ scomparsa in tempi in cui a sinistra andavano (e vanno) di moda terze vie liberali e masochistiche rincorse ai “programmi moderati” – coniugata ovviamente con l’opposizione all’austerity che dalla Germania della Merkel s’irradia in tutta l’Unione Europea. Per Montebourg, che non disprezza di essere paragonato a Colbert, il famoso ministro dell’economia del Re Sole, solo uno Stato potente e socialista può rimediare ai danni e alle diseguaglianza provocate da una finanza e un management privato senza vincoli e senza interesse per il bene comune. Nel 2014 fu proprio il “Decreto Montebourg” a prolungare  il diritto dello Stato francese a mettere il veto a qualsiasi acquisizione straniera nei settori dell’energia, dell’acqua, dei trasporti, delle telecomunicazioni e della sanità pubblica. Dopo di ciò Montebourg abbandonò il ministero, gestito per due anni dal 2012 al 2014, in forte polemica con la svolta neoliberista di Valls, che aveva sostituito Ayrault come primo ministro di Hollande.

Qualunque sarà l’esito delle primarie, il candidato socialista non avrà gioco facile. Innanzitutto la marea di candidati, e tra di essi almeno quattro o cinque capaci di superare il 10%, aumenterà la frammentazione del voto al primo turno. In secondo luogo, i candidati favoriti per accedere al ballottaggio sono l’ormai fortissima Marine Le Pen, che ha allargato il suo bacino elettorale ben oltre quello della “destra estrema” del Front National, e François Fillon, democristiano e ultra-liberista che allo stesso tempo promette di portare i Repubblicani su posizioni più sovraniste e filo-russe in politica estera che ha stravinto a sorpresa le partecipatissime primarie del centrodestra. Fillon, con il suo programma lacrime e sangue, giudicato irrealistico ed eccessivo persino dagli altri repubblicano, potrebbe contribuire ad allontanare da sé il voto di potenziali elettori di sinistra che volessero sbarrare il passo a Le Pen, che anzi propone un programma economico nettamente più di sinistra e sociale.

Le elezioni, quindi, potrebbero essere ben più aperte e combattute di quanto i sondaggi lasciano trasparire, considerando il fatto che è ancora troppo presto per avere sondaggi attendibili ed è storia della Quinta Repubblica vedere candidati lanciatissimi mesi e mesi prima per poi deludere al momento del voto.  Ma il candidato socialista i più grandi pericoli forse non verranno solo da destra e dal Front National ma anche dal centro e da sinistra, dove si registrano rispettivamente altre due candidature pesantissime, quella di Emmanuel Macron e quella di Jean-Luc Mélenchon. Il primo è il successore di Montebourg al ministero dell’Industria nel governo Valls, ed è praticamente un fuoriuscito del Partito Socialista, visto che ha rifiutato di candidarsi alle primarie preferendo correre direttamente da solo con un partito da lui fondato, En Marche!. Macron è sicuramente un centrista, o favorevole a un centrosinistra molto liberale e moderato: sotto tanti punti di vista affine a Matteo Renzi, Macron potrà prendere voti tra chi nelle precedenti tornata votava i centristi del veterano della politica François Bayrou (ma anche lui molto probabilmente ricandidato, dopo essere stato il “terzo incomodo” nel 2007 tra (Nicolas Sarkozy e Ségolène Royal ed essere candidato nel 2012) e del suo Movimento Democratico. In altri termini, Macron contende a Valls una parte di elettorato che i due potrebbero avere in comune, e Macron sembra essere anche in vantaggio, segnalato dai sondaggi come il terzo candidato più votato, potendo raggiungere anche il 16-17%. Infine, a completare il quadro dei candidato più in vista, c’è Jean-Luc Mélenchon, fondatore del Partito di Sinistra, anche lui un fuoriuscito socialista (fin dal 2008) e attualmente indiscussa figura di riferimento di tutta l’estrema sinistra (non trozkista, che conta già due suoi candidati), stufa non solo del liberismo che accomuna repubblicani e socialisti ma anche di UE e NATO che Mélenchon mette apertamente in discussione. Mélenchon, ormai, e salvo sorprese, privo del sostegno della dirigenza Partito Comunista Francese con cui aveva dato vita a un fronte unico, ha impostato la sua campagna in modo autonomo e personalistico, con ottimi riscontri nei sondaggi, che gli valgono tra l’11% e il 15%. Alle presidenziali del 2012 era arrivato quarto con l’11.1%.

Con degli avversari così, è ovvio che per Valls, qualora gli elettori socialisti decidessero di dargli fiducia per le elezioni di aprile, si tratterà di una sfida proibitiva. I centrosinistra che hanno fallito nel “cambiare” l’Europa e che anzi si sono allineati alla realtà modellata dai poteri forti, sono rapidamente scivolati nella crisi e il caso francese non fa certo eccezione. La presidenza di Hollande si è rivelata tutt’altro che “normale” com’era nelle sue intenzioni perché gli ultimi cinque anni hanno aggravato crisi e smarrimento nelle classi medie e popolari che non esitano a rivolgersi ai partiti e ai leader “populisti”, che in Francia sono soprattutto Le Pen e Mélenchon. Se i Repubblicani restano competitivi perché favoriti dal ruolo di opposizione e liberatisi dell’ingombrante presenza di Sarkozy, i socialisti rischiano di essere declassati a quarta o quinta forza politica. Non un bel risultato per chi conquistò l’Eliseo tra grandi proclami nel 2012 dopo 17 anni di dominio della destra, ma non si è poi minimamente dimostrato all’altezza degli eventi da affrontare. Hollande, come il suo precessore Sarkozy, rappresentano bene il fallimento dei partiti tradizionali in una Francia più povera e più arrabbiata.

 

Giulio Zotta