L’eccitazione sui mercati riguardo l’ingresso del nuovo attore asiatico, è visibile. Nel recente rapporto di Morgan Stanley si sottolinea come, non solo l’Iran sia un territorio inesplorato ma sia anche un caso senza precedenti, non essendoci alcun confronto diretto nella storia data la sua dimensione economica, la scala delle sanzioni imposte e la sua struttura politica.
Alla luce del rallentamento dell’economia globale, i grandi investitori alla ricerca di una maggior remunerazione dei propri capitali, non possono ignorare l’opportunità offerta dal raggiungimento dell’accordo sul nucleare. Allo stesso tempo, i governi occidentali, intravedono non solo la possibilità di redditizie collaborazioni commerciali ma anche un incremento della domanda esterna che andrebbe a sopperire, almeno parzialmente, il collasso dei consumi interni.
GLI ANNI DELLO SVILUPPO SOCIALE
Negli ultimi vent’anni la crescita economica dell’Iran è stata discontinua e non sono mancati periodi negativi, tuttavia dopo anni di sanzioni, ciò che appare evidente è il fallimento della politica isolazionista portata avanti dagli USA. Gli interventi che hanno cercato di colpire l’establishment della Repubblica Islamica, sono per lo più andate a vuoto. Il governo iraniano è riuscito, negli anni, ad incanalare gli effetti negativi delle sanzioni sulle classi della società più abbienti risparmiando quelle popolari, garantendosi una sostanziale stabilità politica.
Secondo il Human Development Report 2015, tra il 1990 e il 2014, l’indice di sviluppo umano (HDI) della Repubblica Islamica dell’Iran, ha registrato un incremento del 35%, permettendole di guadagnare ben 7 posizioni nel ranking mondiale negli ultimi 5 anni.
Come si vede sopra, la performance di tale indicatore è dettata dal positivo trend dei suoi componenti. La speranza di vita alla nascita è aumentata di ben 21.3 anni e la scolarizzazione è in rapida crescita (5 anni di studio pro capite in più). Ciò contribuisce ad un incremento dell’indice di Gini (linea rossa), il quale testimonia, a sua volta, una riduzione delle disuguaglianze nel Paese (esclusi gli ultimi anni e di seguito vedremo il perché).
Le classi meno abbienti dunque, sono state “protette” da anni di politiche monetarie espansive e da una politica di sussidi che ha garantito un welfare forte e il progresso sociale della popolazione iraniana. I dati della Banca Mondiale stimano infatti, che al 2010, solo lo 0,7% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà, dato più che dimezzato rispetto ai primi anni duemila.
La svalutazione del Rial, come l’inflazione al 40% nei periodi di massima pressione sull’ex presidente Ahmadinejad, non hanno precluso l’accesso a beni primari come cibo e medicine alla popolazione meno abbiente. Il particolare “sistema di cambio multiplo” del Rial ha permesso infatti di sussidiare i prezzi dei beni con alta priorità rendendoli ugualmente accessibili, mitigando l’effetto dell’inflazione.
STAGNAZIONE ECONOMICA E CRITICHE
Proprio questa abbondanza di aiuti sono oggi sott’accusa da parte dell’attuale presidente Rhoani, secondo il quale, “promuovendo l’accattonaggio” avrebbero minato la stabilità finanziaria dello Stato. Fin dalla sua elezione, infatti, l’attuale presidente ha alzato il prezzo di pane, energia e benzina di oltre il 50%, senza aumentare i trasferimenti di denaro (oggi sono meno di 15$ per persona al mese e valgono un terzo di quello che erano con Ahmadinezhād).
Se la tutela delle persone meno abbienti non è mai mancata, le critiche verso l’ex presidente riguardano i “limitati” sforzi profusi per sostenere l’industria e l’occupazione, in particolar modo nei momenti in cui il greggio veleggiava a prezzi più di tre volte superiori ad oggi.
LE NUOVE SFIDE
La Repubblica islamica, ancora oggi, affronta sfide significative come la disoccupazione (stabilmente sopra l’11%), la stagnazione della produzione industriale e il basso prezzo del petrolio (che rappresenta il 40% delle entrate dello Stato). L’embargo ha inoltre lasciato il Paese ai margini del sistema finanziario, impendendo l’afflusso di capitale.
L’annullamento delle sanzioni rappresenta oggi un’occasione imprescindibile per l’industria. La Banca Mondiale, dopo il nuclear deal prevede una crescita del PIL per la Repubblica Islamica dell’Iran di ben 6,7 punti percentuali entro il 2017, con evidenti benefici sull’occupazione.
I settori potenzialmente sviluppabili e gli investimenti in programma, sono molteplici.
Petrolio
Il prezzo del petrolio si dovrebbe stabilizzare nel corso dell’anno sopra i 40$ al barile. Il budget dello Stato è già stato rivisto in rapporto a questo ammontare, rispetto al precedente tarato sui 70$. Sull’estrazione e la commercializzazione dell’oro nero, i più ingenti guadagni potrebbero arrivare dai nuovi interlocutori del vecchio continente, quali Total ed Eni.
Energia
Nel comparto energetico, il settore idrico ed elettrico hanno sofferto per la mancanza di investimenti e per la riforma dei sussidi. L’apertura economica, come confermato dal Ministro per l’energia Hamid Chitchianin, permetterà di attrarre 50 miliardi di dollari di investimenti in progetti realizzabili nei prossimi vent’anni.
Gas
L’Iran ha la seconda maggiore riserva di gas naturale del mondo e, con adeguati investimenti infrastrutturali, potrebbe affiancare la Russia nella fornitura di gas all’Europa. Le stime di alcune compagnie europee hanno calcolato in 35 miliardi di metri cubi di gas l’anno, l’apporto potenzialmente erogabile dall’Iran entro il 2030.
Automotive
Le più famose case automobilistiche (Fiat Chrysler, Volkswagen, Mercedes-Benz e Peugeot) hanno espresso il loro interesse ad investire nel Paese mediorientale, questo, secondo gli esperti, accrescerebbe i ricavi del settore di almeno un 4% dopo il crollo degli ultimi anni.
Cemento
L’Iran è il più grande produttore di cemento in Medio Oriente, ma ha sofferto negli ultimi anni per la scarsa domanda, le sanzioni e la concorrenza di altri produttori come la Turchia. Questo comparto, il più importante non energetico per la nazione, potrebbe riprendersi dopo il collasso del 2015.
Acciaio e minerali
E’ vicina la firma di una mezza dozzina di contratti multimiliardari nel settore dell’industria mineraria. Solo quelli con le aziende italiane ammontano a circa 5 miliardi di Euro. E’ condiviso che sia presente nella zona un enorme potenziale di minerali a costo relativo ma con alta qualità.
A Novembre, l’Associazione dei Produttori dell’Acciaio chiedeva l’intervento del governo per sostenere il settore di fronte alle difficoltà in cui si trovavano. In tal senso, l’ingresso di nuovi player (tra cui l’italiana Danieli) potrebbe portare una boccata d’ossigeno alle esportazioni.